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Giornata proficua

Post n°124 pubblicato il 24 Aprile 2007 da In_mezzo_alla_segale
 

(tempo di lettura: 4 minuti e 1/2)

Istvan parcheggia il fuoristrada in uno dei tanti garage vuoti. La porta basculante, benché danneggiata, si chiude abbastanza bene. Si mette in spalla l’attrezzatura e s’incammina a piedi verso il centro del paese. È ancora buio, ma non accende la torcia che ha nello zaino e procede per viuzze secondarie. Ci sono più macerie e rottami, ma è più difficile incontrare qualcuno. Conosce il posto, è già stato qui, un buon sopralluogo è una delle regole per ridurre al minimo i rischi.

Il suo obiettivo è la fontana della piazza, l’unica che funzioni ancora. Quando arriva nei pressi, cerca il palazzo più alto e malconcio che si affacci sulla via principale. Ce n’è uno quasi completamente sventrato, ma che si regge ancora in piedi. Mano a mano che sale controlla uno a uno gli appartamenti, stavolta accendendo la torcia. Sono troppo diroccati per ospitare qualcuno, ma non si sa mai. Altra regola fondamentale: assicurarsi di non avere mai nessuno alle spalle.

Da un certo punto in poi non ci sono più le scale, sono crollate. Finché riesce, Istvan si arrampica nonostante i quasi dieci chili sulle spalle, poi cerca una finestra da cui si veda la fontana. Se ha fatto bene i conti, il palazzo si trova nella zona est del centro, così il sole gli sorgerà alle spalle.

Manca ancora un paio d’ore, prepara il necessario e controlla che tutto sia in ordine, poi può concedersi un pisolino. Fa freddo, ma si è portato il sacco a pelo termico.

Dorme, Istvan, ma non sogna, o almeno non ricorda. Non è sonno riposante, è un dormiveglia leggero, che il minimo rumore potrebbe spezzare.

Alle prime luci Istvan si sveglia. Dallo zaino estrae un thermos e si beve una tazza di caffè, che non è più bollente ma dà comunque un po’ di conforto. Si sgranchisce, fa ginnastica, arrotola il sacco a pelo, poi s’affaccia con prudenza dalla finestra e controlla la visuale. La fontana si vede benissimo, l’aria è limpida. Il vento è leggermente di traverso, come sempre a quell’ora, ma a livello del terreno s’incanalerà tra i palazzi e correrà dritto verso la piazza. Non c’è ancora nessuno in giro, ma è questione di poco, lo sa. Si siede e aspetta.

Pochi minuti e sbucano i più mattinieri, controllano la via e s’incamminano a passetti veloci verso la piazza. Quasi tutti donne e ragazzini, gli uomini sono stati arruolati o si sono dati alla macchia. Qualche vecchio, ma pochi. Tutti con taniche e contenitori di fortuna.

Istvan lascia che arrivino fino alla fontana e riempiano i loro bidoni. Saranno più lenti, oppure dovranno abbandonare la loro provvista idrica. Trecentoquarantatré metri, dice il telemetro. Si può fare. Istvan inspira ed espira a fondo diverse volte fino a rallentare il battito cardiaco e dolcemente preme il grilletto. Mezzo secondo dopo la testa di una donna con un secchio per mano scoppia come un cocomero maturo preso a calci. Prima che i recipienti tocchino terra e l’acqua si spanda sull’asfalto si è già scatenato il fuggifuggi. Tutti corrono a zigzag, ma Istvan sa fare il suo mestiere, e ne stende altri due prima che abbiano trovato riparo dentro i portoni aperti o dietro ai cumuli di macerie che ingombrano la strada.

Un ragazzino si è nascosto male, non ha capito da dove arrivano i proiettili, e Istvan lo vede tremare, con le mani a coprirsi gli occhi. Colpisce anche lui, ma non alla testa, no, allo stomaco, e lascia che si dimeni per terra. Nessuno resiste a un bambino che urla. Infatti, dopo un paio di minuti qualche stupido mette fuori la testa dal proprio nascondiglio e prova ad arrivare al ferito. Fin troppo facile centrare altri bersagli. In ultimo Istvan inquadra una vecchia che trotterella con le mani al cielo. La donna acchiappa il ragazzino per un braccio e comincia a trascinarlo verso la carcassa di un’auto bruciata. No, a questa non tirerà, troppo facile. Tanto non vivrà a lungo nessuno dei due.

Istvan sente degli spari lontani. Qualcuno ha capito dove si è appostato e cerca di rispondere. Non lo colpiranno mai, ma perché rischiare? Finora è andata così bene la giornata. È ora di smobilitare. Terza regola: mai esagerare.

Istvan scende dentro il palazzo sventrato e si dirige a corsetta leggera verso il garage dove ha lasciato il suo fuoristrada, con lo zaino e il fucile che gli ballonzolano sulla schiena.

Davvero strano come girano le cose, pensa Istvan mentre carica l’attrezzatura sui sedili posteriori. Prima ero un signor nessuno, adesso sono un professionista rispettato e pagato. Che bella la guerra, spero non finisca mai. E anche dovesse finire, ce ne sarà un’altra, da qualche altra parte, no? Ce n’è sempre una, da qualche parte. 


Nessundove
Aprile 2007

 
 
 
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