GIORNI STRANI

Vita di comunità: mai come ora dobbiamo fare appello a ogni nostra singola cellula. E' giunto il momento di imprimere una violenta accelerazione all'intelligenza della nostra specie, come una frustata di tramontana: l'occhio non sarà occhio e la mano non sarà più mano, negli anni venturi.

Creato da sergioemmeuno il 22/04/2011
 

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Il nome e cognome dei personaggi appartenenti ai racconti e ai tag "frammenti di scrittori in erba" e "il mio romanzo", come pure i fatti narrati, sono frutto della mia fantasia.

 

 

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Il sogno dell'uomo con i baffi 1

Post n°190 pubblicato il 10 Settembre 2011 da sergioemmeuno
 

L’ultimo giorno d’estate si sta consumando, esausto, sfibrato, così anomalo.

Ma io – non da solo – sono sempre qui, tra le mura che mi hanno partorito e vezzeggiato, vigile e fanciullo. Immoto e così piccino sul ciglio della ferrovia radente la costa, qui nel ventre della periferia di Sìagora, la metropoli del Tirreno che mi ha partorito e poi cresciuto.

Ai margini dell’asfissiante notte metropolitana dalle innumerevoli braccia, notte che ci attrae con vissuta maestria ai propri focolari.

Poi il meritato oblio.

     Davanti a me un corridoio. Disseminato di sagome.

È il regno dell’attesa, nel dominio del mondo potenziale: l’attimo che abbraccia l’Immutabile: un ammasso di creta informe.

Un uomo alto e distinto mi viene incontro; è una scena già vista, non nuova.

Il suo sicuro procedere calpesta lievemente il selciato del vicolo di un Centro storico.

Costui varca la soglia.

Siamo di spalle e, all’istante, le nostre teste si voltano all’indietro e si incrociano nel buio. Dalla sua imperiosa figura un po’ sfumata, spiccano intensi quegli occhi grigio-azzurri; occhi che la sanno lunga e mi pervadono di pensieri e sensazioni indescrivibili, intrappolati come ostaggi in una inaccessibile crepa temporale, a tal punto che io ricomincio a ricordarmi di me stesso e a ripetere più volte il mio nome.

     Il tizio, dai baffi e dai capelli scuri, accenna un sorriso a metà fra il diabolico e il santo, nonché paterno, che sembra dirmi: «Vedrai, vedrai… ci sarà da lavorare duro». Subito dopo il suo fermo indice, come per esortazione, mi mostra il corridoio che ho di fronte. In lontananza, un punto di luce mi acceca, sino a divenire una gigantesca aureola. 

     Un piacevole alito agita i ramoscelli degli arbusti lì attorno, privilegiati testimoni non casuali.

 
 
 
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