GIORNI STRANI

Vita di comunità: mai come ora dobbiamo fare appello a ogni nostra singola cellula. E' giunto il momento di imprimere una violenta accelerazione all'intelligenza della nostra specie, come una frustata di tramontana: l'occhio non sarà occhio e la mano non sarà più mano, negli anni venturi.

Creato da sergioemmeuno il 22/04/2011
 

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Il nome e cognome dei personaggi appartenenti ai racconti e ai tag "frammenti di scrittori in erba" e "il mio romanzo", come pure i fatti narrati, sono frutto della mia fantasia.

 

 

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>>>> Gli innumerevoli amori sintetici dell'Officina.

Post n°882 pubblicato il 24 Gennaio 2014 da sergioemmeuno
 

 

Nei legami affettivi, dopo il Deserto, si erano ormai consolidate le coppie formate da Eugenio e Raffaella, e dal lungo Flavio e Valentina. Rientravano, a buon diritto, nella vasta categoria dei rapporti in cui ci si accontenta del minimo sindacale; dalle lusinghe, coccole e baci a quelle cosette più ardite; legami dove l’importante è possedere un salvagente di carne a cui aggrapparsi. Quel tipo di storie che farebbero sprofondare in depressione anche il più grande dei romanzieri, incatenando sul nascere ogni forma d’ispirazione, a causa della mancanza di una minima scossa emotiva.

Per il resto, erano emerse variegate affinità, alcune delle quali tutt’altro che intelligibili. Era passionale il rapporto fra Roland e la cedevole Daniela, basato su una profonda attrazione fisica; e i due giocavano a fare gli stupidini e i civettuoli e i triviali alla luce del sole, assumendo atteggiamenti più da amanti occasionali e libertini che da fidanzati, fra una strusciata di lei e una mano sui fianchi o sulle chiappe da parte di lui. Ma c’era anche un non so che di sintonia cerebrale: la rossa apprezzava molto la duplicità dell’intelligenza di lui, ora pratica ora astratta; il Greco percepiva – non a torto – la buona cultura di vita di lei, che nonostante la giovane età era stata già foggiata dai frequenti viaggi da un continente all’altro.

Incuteva tenerezza la fortissima simpatia fra Giulia e Tommaso. Erano partiti in sordina, però avevano avuto la possibilità di trascorrere molte ore in comune, essendo stati assegnati allo stesso gruppo di lavoro. Comunque, dopo insormontabili timori, avevano preso man mano coraggio ed era ormai prossima la loro dichiarazione pubblica di fidanzamento nella scuola, con tanto di benedizione del bislacco Zio, che, in situazioni del genere, si mostrava sempre sensibile e gioviale.

C’era l’amicizia sincera fra me e quella mattacchiona di Patrizia. Lei nutriva nei miei confronti qualcosa che andava oltre a una semplice amicizia, e, quantunque non si fosse mai esplicitamente dichiarata, i suoi gesti e quegli occhioni sgranati valevano più di mille parole. Pur tuttavia, e non per un masochismo dell’animo, il mio sentimento non andava al di là di un’amicizia fraterna. E ciò, forse, la faceva soffrire. Del resto, il Deserto ne era stata una prova ulteriore, ormai guardavo in una sola direzione.

L’intesa fiorita fra la raffinata Laura e quello scapigliato di Vladimiro, per la linguacciuta congrega dell’istituto, era stata un mero fulmine a ciel sereno. Non è che i due esibissero gesti affettuosi o compromettenti; nondimeno era evidente, a un occhio attento nella media, che era sorta una salda complicità, tutta fatta di sguardi di sottecchi, ammiccamenti, pudichi sorrisi, allusioni e immotivate esplosioni di riso. E una cosa che mʼirritava oltremodo era quel loro linguaggio di comunicazione del corpo, quel volgare e improprio costume di strumentalizzare il sacro corpo per lanciare messaggi in codice all’altro e irridere il prossimo. Non era più dignitoso mostrare le passioni e le proprie intenzioni in modo spontaneo e chiaro? Solo una volta mi capitò di vederli appiccicati, a loro insaputa: il pennellone, languido e operoso, si strofinava al suo straripante seno con la golosità di quei bimbi che fanno merenda con pane, burro e marmellata.

Per completare la gamma dell’intero spettro emozionale, assai degno di nota era il potere psichico che Francesca esercitava nei confronti del povero Pietro. La scaltra sapeva benissimo che il ragazzo era in cerca di qualcuno con cui sfogarsi e confidarsi, sicché si era avvicinata a lui, garantendogli una certa protezione dal gruppo e una preziosa capacità di ascolto. In cambio, la sanguisuga se ne serviva per carpire ogni minimo cicaleccio riecheggiante fra le mura dell’Officina, se non addirittura per umiliarlo e poi gongolarne davanti alla sanguinaria platea.

Una considerazione a parte meritava il rapporto fra l’enigmatica e irresistibile Monica e Alessio. La bionda serbava verso il Grifo un ambiguo sentimento di amore fraterno, sbocciato dalla convinzione di appartenere alla medesima aristocratica stirpe: la famiglia dei ribelli e degli Inquieti: in sostanza, una mistica fratellanza che valicava le molteplici diversità ed era uscita rafforzata dall’esperienza del Deserto. In presenza della bionda, lui si trasformava: socievole, mite, allegrone; e talvolta improvvisava pessime scenette da cabaret.

Viceversa fra Monica e Roland c’era una sorta di odio-amore. Ambedue erano forti, nel fisico e nella mente, perciò si temevano e si mantenevano lontani, quasi fossero delle bestie rivali; ma ecco che a volte si cercavano, si avvicinavano, si misuravano, si studiavano, si odoravano, si sfioravano, per sentire scorrere l’adrenalina di un’acerrima lotta sul nascere, fra una battibecco senza senso e un’occhiataccia.

Tutto ciò all’avvenente ragazza non bastava; tant’è che non era raro vederla gingillarsi e ridere da oca giuliva con quel fatuo di Vladimiro, mentre si tiravano addosso secchi d’acqua o si accapigliavano come nei sollazzi adolescenziali, suscitando l’invidia degli altri due e del resto della truppa. Rideva a trentasei denti col Principe.

Si tacerà, infine, su quegli infelici amori – a cui va la terrena com­passione – che sono destinati a non essere contraccambiati dall’altra sponda. In un futuro remoto, nel trattato sull’Homo sapiens, i nostri successori avrebbero avuto altro materiale su cui rimanere alquanto perplessi.

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Tratto dal cap. 7 di Generazione oltre la linea.

 

 

 
 
 
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