GIORNI STRANI

Vita di comunità: mai come ora dobbiamo fare appello a ogni nostra singola cellula. E' giunto il momento di imprimere una violenta accelerazione all'intelligenza della nostra specie, come una frustata di tramontana: l'occhio non sarà occhio e la mano non sarà più mano, negli anni venturi.

Creato da sergioemmeuno il 22/04/2011
 

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Il nome e cognome dei personaggi appartenenti ai racconti e ai tag "frammenti di scrittori in erba" e "il mio romanzo", come pure i fatti narrati, sono frutto della mia fantasia.

 

 

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Addestramento con i Kalash AK

Post n°148 pubblicato il 22 Agosto 2011 da sergioemmeuno
 

   Dopo la prima sessione di prove, con le tre modalità di sparo, ci eravamo scambiati le immediate impressioni: durante i colpi, in simbiosi con l’arma, udivamo solo battiti di tamburi solenni, metronomi inesauribili della nostra marcia gloriosa, sì da sospingerci verso orizzonti remoti ma ormai alla nostra portata, lì a poche centinaia di metri; poi uno, due, tre battiti di palpebre e bloccarsi, riaprire gli occhi – come  quando ci si risveglia da uno stato di trance –,  accorgersi di essere scesi dalla giostra e approssimarsi all’uscita di questo parco giochi del surreale; quindi, finalmente, ritornare sulla terra, deliziosa e piccola, fra gli umani: orbene, con i piedi per terra, ci guardavamo meravigliati l’uno con l’altro e sentivamo che un’immensa forza ci legava: eravamo un esercito privilegiato e invincibile, nel pensiero e nella coscienza prima che sul campo di battaglia. E in più di un’occasione, mi ero sentito un tutt’uno con gli altri del nucleo, cioè Flavio, l’Ungherese, Eugenio, Felice, Monica, Francesca e Giulia.

   Un esercito di gioventù, composto da anime forti prima che di soldati forti, contro qualsiasi entità e congiuntura, col vento del fato alle spalle. Un frizzante alito dolce e amaro che ci aveva convinto che d’ora in poi nulla più sarebbe stato negato alle nostre molteplici possibilità.

   Tutto attorno a noi lo vedevamo enormemente distinto e centuplicato: i contorni, i colori, le luci e le ombre, ogni cosa con le proprie misure e prospettive e distanze dalle altre; quasi fossimo in grado, all’improvviso, di penetrare la consistente materia, gli alberi e i muretti, le nostre figure con i fucili, le sagome lontane.

   Eravamo inondati appieno da questa condizione e la Consapevolezza di ciò – quel sublime pensiero-del-pensiero, quello sguardo al contrario verso l’interno della candela – ci donava un’ebbrezza che non era neanche lontana parente dei piaceri terreni più appetitosi…                                       

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