GIORNI STRANI
Vita di comunità: mai come ora dobbiamo fare appello a ogni nostra singola cellula. E' giunto il momento di imprimere una violenta accelerazione all'intelligenza della nostra specie, come una frustata di tramontana: l'occhio non sarà occhio e la mano non sarà più mano, negli anni venturi.
Creato da sergioemmeuno il 22/04/2011Poll: Esistono oggigiorno condizioni per una coppia solida e serena nel tempo?
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Personaggi e fatti
Il nome e cognome dei personaggi appartenenti ai racconti e ai tag "frammenti di scrittori in erba" e "il mio romanzo", come pure i fatti narrati, sono frutto della mia fantasia.
Messaggi di Ottobre 2011
A tu per tu con un emissario delle schiere celesti. <<Scegli: un Amore buono, dalle fondamenta solide, tradizionale, senza alcun imprevisto, costante e lineare nel tempo? o...>> <<L’altra possibilità?>> chiedo esitante. <<Un Amore devastante, che ti farà toccare le alte vette come nessun'altra cosa in Terra, facendoti sentire un semidio, ma... ahimé... ti farà scendere, talvolta, nei sotterranei della Chiocciola>>, sussurrò l'emissario dagli occhi dilatati e imperturbabili, pronunciando e pesando col bilancino ogni sillaba, quasi a volerne sottolineare il momento cruciale. Un punto di non ritorno. ...Quando una scelta diventa per antonomasia la Scelta. E ne sentiamo tutta la pesantezza... come gravasse, sul nostro cuore e sulla nostra testa, una palla di ferro da una tonnellata... Voi che fareste? |
Dai quaderni di Dani La Salle. ...Ed infine, dal prodigioso ventre di Sìagora, nei primi decenni del Duemila, ecco svilupparsi, ingrossarsi a dismisura per poi ritornare e sbattere sulla costa italica, con un’impressionante forza d’urto, la nostra onda generazionale, l’onda della speranza nuova: sfrontata, irrequieta, straordinariamente talentuosa; una stirpe che, dall’adolescenza in poi, si stava riconciliando alla propria maniera con la strada.
Da lì a qualche lustro, sarebbe stata etichettata con marchio DOC come Generation **, quasi a indicare un punto di partenza zero della società, una rinascita dopo anni di povertà delle tasche e di torpore dello spirito. Nello zaino d’ordinanza era obbligatorio tenere almeno un pugnale e un libro. Nel nostro vocabolario, alla voce “p”, una parola era barrata: lemma: paura [pa-ù-ra] s.f. ** NdA: ritenuto opportuno non indicare il nome per esteso. |
Dai quaderni di Dani La Salle. Qualche volta, i racconti seppiati dei nostri bisnonni e nonni ritornavano a galla, ricordi di quando ancora si cresceva in simbiosi con la strada. I primi, fra campi di grano e fossi, si divertivano con ogni cosa, dalle bottigliette esplosive alle balestre costruite con un legno e una stecca di ombrello. Erano gli anni Cinquanta. I secondi, più fortunati, si potevano permettere le biciclette e i motorini, nonché una maggiore facilità di contatti col sesso opposto. Siamo agli albori degli anni Settanta. È idea largamente diffusa che, in Italia, l’arco di tempo fra gli anni Sessanta e Ottanta (per quanto il terrorismo fu una parentesi inquietante) toccò alte vette di qualità di vita, in quanto si raggiunse un ineguagliabile compromesso fra sviluppo economico, coesione sociale, stile di vita e qualità dell’ambiente.
Nei decenni successivi imperò una triste generazione intermedia, cresciuta fra centri commerciali e mura domestiche, rincoglionita da videogiochi, telefonini e altri marchingeni elettronici tascabili, con nessuna speranza di un lavoro dignitoso per il futuro. Aria, acqua e latte di merda. Diffidenza verso la porta accanto. Criminalità disciolta nella società come sale nell’acqua di cottura della pasta. Erano i nostri genitori. >>> Continua |
Cos’è mai questa misconosciuta malattia, passione consimile al male e all’amore, che consuma la candela della vita da ambo i lati – del disprezzo e della devozione –, e, secco vento del Deserto, mi trafigge e mi percuote come un ramo spezzato? Cos’è questa marea – onda periodica – che scende e sale dallo strato più basso al più alto della mia coscienza, che mozza il respiro, un incessante dannato e soave logorio, un soffio di sofferenza che si nutre di luci e di ombre, all’unisono col disordinato moto della materia? E cos’è questa primigenia forza che mi soggioga e m’incatena a terra ogniqualvolta son pronto a librarmi in volo? Lavoro lavoro e lavoro. Dapprima con pala e piccone; poi con strumenti sempre più raffinati, man mano che si sale... La liberazione del sé ha un costo incalcolabile. |
Buon Hallowen a tutti! e se proprio non potete uscire, organizzatevi comunque fra le mura domestiche, mascheratevi alla bene e meglio riciclando tutto ciò che potete trovare, frugando pure nel bauletto di famiglia, spegnete le luci del pianerottolo, attaccatevi con bonaria cattiveria al campanello del vicino (ihihihih) e urlategli in faccia: Trick or treat, give me something to eat! p.s. 1 su 10 non vi manderà a quel paese... forse. |
Ora eravamo in una scarna stanza da letto, un armadio a tre ante e un letto di ferro battuto, adornata solo da un crocifisso, alcune pergamene, una bambola in biscuit e un paio di candelabri. Ero stordito, privo del minimo senso di orientamento, e pensavo di essere in un film del grottesco, e che prima o poi mi sarei svegliato di soprassalto, trovandomi sudato nel mio letto. Non poteva, una natura così austera, devota e impenetrabile nonché orgogliosa e astiosa verso il genere maschile, essere risucchiata, per giunta in età matura, nel vortice della carne. Testa di piombo. Mi ero rivolto verso la porta per uscire, quand’ecco la sua voce rassicurante, calda, ora insolitamente alterata per emettere un comando: <<Spegni la luce>>. Così feci. <<Vieni sopra di me. Shhh.>> Non mi era concessa parola. Adesso ero sopra di lei, nella posizione più classica… Le mie gambe erano sopra le sue, assai robuste e un pochino bitorzolute. Accennai un suono vocale, ma subito mi bacchettò: <<Shhh>>. In men che non si dica, mi affacciai sulla sua intimità, rigogliosamente folta, canne di giunco, ispida e secca. Sulle prime, dovetti spingere fortemente il mio strumento (?)… e incontrai una resistenza scoraggiante. Come un beduino che attraversa il Sahara e viene ostacolato dai venti di sabbia. Ecco finalmente l’affondo, un bruciore immenso, un profondo gemito di Ade. Aveva gli occhi chiusi, ma era tutta nervi tirati e ramificazioni di sangue. Talvolta ci toccavamo le labbra socchiuse. Non mi era concessa parola. Ora ne ero completamente all’interno. Non voleva che io cambiassi posizione né osassi profanare quelle cospicue sfere marmoree. Solo lenti affondi cadenzati e prolungati e il suo vibrare contratta come immediata controreazione. Affondo e controreazione. Affondo e controreazione. Mi sentivo tremendamente virile come mai lo ero stato… sarà stato per la conformazione a collo di bottiglia della sua tana… che mi aveva accolto nel profondo e al contempo mi strozzava senza pietà all’ingresso; sarà stato per quel corpo rovente che mi aveva ospitato con la santità che si offre a un ramingo, nulla a che vedere col corpo caldo di un’amante tutta massaggi e fitness; sarà stato perché era la roccaforte inespugnabile della fede, l’intransigente Madre Ade… tant’è che eravamo ormai in una discesa… una discesa… a velocità folle… una discesa… la rapida di un fiume… Lei era la mia imbarcazione… io e lei tutt’uno… ci si può fare del male così. Un grosso tonfo e toccammo l’auge per un tempo che si ostinava a perdurare, qualcuno l’aveva dilatato da lassù… forse da uno a venti… una commistione di liquidi e sangue e pensieri e contropensieri… Esausto, mi sollevai dalla nave madre, dando un poco di sollievo alla mia schiena demolita… Lei era immobile. E ancora più enorme, davanti ai miei occhi, dopo averla amata. <<Non ho parole...>>, sputai con un filo di fiato, quasi riverente. <<Shhh… grazie… una cortesia…>> Una pausa interminabile. <<Perdonami, ma se racconti una sola parola di ciò… ti rovino.>> Infine mi sussurrò, stringendomi le mie mani fra le sue: <<Fa' che la tua parola sia sempre creatrice.>> Era Madre Adelina Oderisi D’Arnia. L'aspra Carismatica.
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Sono sempre io, l’impiegato medio, un single che più single non si può: Fabrizio Berni. A volte certe cose capitano a chi non ci pensa. E quanto più sono singolari tanto più capitano a chi pensa a tutt'altro. Il fatto narrato è relativo a una decina di anni fa. Il carissimo Don Luigi, parroco del mio paese di origine, mi chiese se mi potevo recare al Convento sul lago, dove avrei dovuto sistemare l’obsoleto impianto elettrico. E così passai molte giornate di quel mese di Ottobre fra cavi, prese, scatole di derivazione e quadri. Fu veramente un lavoro ostico che mi portò via moltissimo tempo. Scambiare due chiacchiere con le Sorelle – manco a dirlo! – era stato impossibile. Avevo solo interloquito con la Badessa, una certa Adelina Oderisi D’Arnia, che si faceva chiamare Madre Ade. Al mondo esterno ci erano pervenuti alcuni spifferi non rassicuranti sul suo conto: era rinomata per la sua asprezza, esigeva che le sue Sorelle non interagissero con nessun membro esterno, eccetto questioni di pura necessità. Si vociferava altresì che, in certi casi, impartisse persino delle punizioni corporali alle sue inferiori. Pur tuttavia, in quelle poche occasioni che la vidi, si era mostrata dolce e finanche sommessa nei mie confronti. L’ultimo giorno mi ritrovai nel suo ufficio per spiegarle il quadro elettrico principale con i vari interruttori. Prese degli appunti. E iniziammo a parlare della società di oggi, della politica e del futuro della gioventù. La Madre sosteneva che il nostro tempo era corroso da molti mali, dalla superficialità al protagonismo, dall’edonismo al consumismo; perciò occorreva una trasfusione di santità, un ritorno al silenzio e alla preghiera. <<Certo, Madre, voi siete proprio su un altro mondo… nel senso buono, eh?>> <<Guarda, noi ci informiamo su ciò che succede là fuori.>> <<Senza Tv e Internet?>>, le replicai sorpreso. <<Leggiamo comunque certi quotidiani, così possiamo assumere le necessità di tutti, gioia e dolori.>> Ora avevo la piena percezione della sua figura. Sarà stata sulla sessantina, corporatura massiccia, altezza modesta, occhi molto grandi e neri che erano capaci di leggerti dentro. La sua storia, pesante e lucida come il marmo più pregiato, parlava attraverso quegli occhi, sormontati da decise ciglia nere. A un certo punto, mi chiese se ero sposato e il mio rapporto con la fede. Poi ritornò sul discorso della difficoltà delle Novizie: <<Il momento più arduo è all’inizio… ma noi donne lo sappiamo affrontare meglio>>. <<Come mai?>> chiesi interessato. <<Perché la natura ci ha dato un dono: quello di saperci sacrificare e donarci a un’idea, a uno spirito. Un dedizione assoluta che voi uomini ignorate…>> si sfiorò con lieve civetteria il velo. <<Madre… non so come spiegarglielo… ma lei emana una luce immensa. Le sue allieve avranno un forte riferimento in lei.>> <<Sicuro. Ma non ti credere sia stato così facile, soprattutto quando ero ragazza…>> Un mio sguardo interrogativo. <<Voglio dire, anche noi avevamo i nostri demoni…>> Si alzò di scatto e mi mostrò un album della storia del Convento. Poi, con un minimo cenno, mi disse perentoria di seguirla. Accedemmo a una porta interna dell’ufficio. E qui il sangue mi si raggelò: ero dentro l’intimità della Badessa. Inaudito. E non una qualunque, ma di Adelina Oderisi D’Arnia.
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Notte a tutti. Vorrei anticiparvi che i prossimi due post potrebbero offendere la sensibilità e il pudore di certuni, soprattutto nei riguardi dei credenti cattolici. In questo caso, vi suggerisco di saltare i prossimi due e di andare direttamente al post n. 333. D'altronde, penso che chiunque si cimenti a raccontare storie, a qualsiasi livello, debba spaziare nella vasta gamma dei pensieri e delle emozioni umane; meglio ancora se lo fa impersonificandosi nei propri personaggi. Purtroppo e per fortuna... ciò capita quando scrivere diviene una necessità, un qualcosa che si nutre del proprio capriccio. |
Post n°329 pubblicato il 29 Ottobre 2011 da ComeLa_Paprika
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