GIORNI STRANI

Vita di comunità: mai come ora dobbiamo fare appello a ogni nostra singola cellula. E' giunto il momento di imprimere una violenta accelerazione all'intelligenza della nostra specie, come una frustata di tramontana: l'occhio non sarà occhio e la mano non sarà più mano, negli anni venturi.

Creato da sergioemmeuno il 22/04/2011
 

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Personaggi e fatti

Il nome e cognome dei personaggi appartenenti ai racconti e ai tag "frammenti di scrittori in erba" e "il mio romanzo", come pure i fatti narrati, sono frutto della mia fantasia.

 

Messaggi del 28/08/2011

APERTURA A CHI VUOLE SCRIVERE QUI>>>

Post n°181 pubblicato il 28 Agosto 2011 da sergioemmeuno
 

   Come già era successo più di un mese fa, rinnovo il mio invito affinché chi abbia qualcosa da dire, seria o grottesca che sia, lo possa esprimere sul blog di GiornI Strani. Mi piace pensare che questo possa essere una sorta di piazza virtuale. Faccio presente che non cambierò nulla di quello che mi verrà inviato... Non lasciatemi solo, ahahhahaa! Molti degli amici nella lista già hanno il loro invito. 

   Politica e società, quotidianetà, sport, musica, ectoplasmi, amori, eventuali confessioni e quant'altro...

Un modo anche efficace per ricordarci degli altri blogghini, del loro pensiero e agire, in questo mare magnum di Libero!

 
 
 

Io e Noesis 2

Post n°180 pubblicato il 28 Agosto 2011 da sergioemmeuno
 

   Lo scaltro mi condusse in un angolo del Cafe de la Esperanza. Ad un impercettibile cenno del pinguino, la terrazza si svuotò.

   Eravamo soli, io e l'uomo più impenetrabile della terra. Noesis. Un cinico perverso commediante. Gli diedi con disinvoltura i documenti da firmare. Ma era così perspicace all'ennesima potenza, che probabilmente afferrò la mia disinvoltura ben mascherata.

   <<Pure tu vai di corsa, eh? su questa giostra dell'effimero...>> L'ennesima pausa di studio. <<Cosa ti prendi?>>

   <<Un caffè.>>

   <<Nient'altro? piuttosto, dimmi dimmi, parleranno bene di me in giro...>> un gigno diabolico. Sapeva bene cosa pensavano di lui.

   <<Non ti conosco, magari sei meno peggio di quello che si dice.>> E scoppiammo in una risata fragorosa. Io e quella mente deviata. Forse la mia incosciente sicurezza l'aveva sorpreso. Lui, che era in grado di percepire il polso di ogni essere umano.

   Ma poteva benissimo attendermi al varco. Il minimo mio errore, un attimo di debolezza, una frase sbagliata, un'esitazione, un qualcosa non coerente col mio ruolo di rettore dell'Etica... e avrebbe chiamato un esercito di giornalisti, in qualità di spettatori non paganti, per polverizzarmi in pubblico.

   L'affondo era imminente. <<Immagino tu sia una persona retta moralmente. Ma non voglio dubitarne, rilassati. <<Dimmi, qual è il limite di una persona integerrima. Non l'ho mai capito.>>

   <<Cosa vuoi sapere precisamente.>> Ostentai sicurezza. Ero obbligato.

   Ordinò uno spumantino galeotto. <<In quale caso potrebbero corromperti... una donna stratosferica che ti ammalia? tutto il potere della comunicazione nelle tue mani? ll segreto del Sacro Graal?>>

   In quel momento, il mio videobat squillò. Mi mostrai dispiaciuto, e gli spiegai che dovevo ritornare nella mia città-stato. C'era in corso una benedetta agitazione degli studenti di Biologia. Già, mai come quella volta così provvidenziale.

 
 
 

La musica dell'anima degli Interpol

Post n°179 pubblicato il 28 Agosto 2011 da sergioemmeuno
 
Tag: Musica

   Nell'immenso archivio della musica, ci sono brani commerciali ma belli, brani mediocri, e brani non commerciali ma bellissimi... Ecco, un nome che mi sovviene ora, non conosciuti da tutti: sono gli Interpol. E' una Band di New York che suona musica di genere indie rock, fondata nel 1998. La loro musica indubbiamente è cupa, malinconica, quasi fastidiosa. E può non allegrare. Ma è una creatura viva, che ti aggrappa l'anima... e talvolta ti fa volare...

   Eccovi una delle mie song preferite, The New, appartenente all'album del 2002 TURN ON THE BRIGHT LIGHTS, forse il loro apice.
                                                Che dolcezza nera narcisistica...

1: 48: But I can't pretend I don't need to defend some part of me from you
I know I've spent some time lying

 
 
 

I figuri a cavallo 3

Post n°178 pubblicato il 28 Agosto 2011 da sergioemmeuno
 

Lo Zio socchiuse il cancello e, scortato da Flavio e dal Greco, osò spingersi qualche metro più avanti; quindi lanciò ai nottambuli una richiesta pacifica affinché si presentassero. Non li invidiavamo affatto. Ancora, con voce più gracidante e perentoria, scagliò la richiesta dell’Officina fra le tenebre della campagna. Nessun segnale di ritorno, sonoro o visivo che fosse. Roland abbozzò un guizzo d’istinto puro, ma lo Zio lo bloccò con energia, afferrandogli il polso. Era ormai lampante che Giannetto non aveva affatto sognato.

Poi, interpretando un cenno di Silvano, aprii la cassa e assieme a Giulia distribuii
le cartucce e le doppiette. In men che non si dica tutti ne imbracciavano una: alcuni lo facevano con sorprendente disinvoltura; altri, come Laura e Patrizia, sembravano appena usciti dal fornaio con una baguette in mano, un filone che scottava; Felice era oltremodo esaltato della situazione, anche se più che un’arma pareva afferrasse una di quelle lance degli autolavaggi a gettoni.

Ora una buona parte del gruppo, su indicazione dello Zio, si era schierata su una linea di difesa al di fuori del cancello, un ginocchio sul terreno, doppiette alte in direzione degl’invasori. Tutti pronti a menare le danze all’imminente comando del sergente canuto.

Gli altri della seconda linea, in piedi e dietro alla cancellata, ci avrebbero dovuto coprire le spalle. Nel frattempo, il Direttore era piombato sulla scena. Nel caos, Laura, Patrizia e Raffaella brontolavano qualcosa a mezza bocca: le becaline non vedevano alcun aggressore, questo mi era sembrato di udire.

D’improvviso, un cavallo accennò una mossa verso la nostra porzione di scacchiera. Mai un tale irrilevante movimento fu così denso di significati. Una potente scarica di paura ed esaltazione mi pervase, gl’indici lisciarono a più riprese il grilletto rovente, ormai al bivio della via del non ritorno.

Adesso i nostri indici esercitavano una lieve pressione sul grilletto.

Silvano deglutiva senza requie.

Io ero in apnea. Ai miei lati, l’Ungherese respirava come un asmatico e il Greco schioccava la lingua come un cavallerizzo. Gabriel, imperturbabile, era un tutt’uno con le seconde linee: un polpettone umano.

Se fosse scoccata la scintilla sarebbe stato un massacro: era il mio pensiero fisso sul palcoscenico, così allucinatorio da sembrare al di sopra della realtà.

Ma una stella provvidenziale sorvolò Torre dell’Uovo e, uno per volta, lentamente, i figuri ci diedero le spalle e si dissolsero nella notte.

 
 
 

I figuri a cavallo 2

Post n°177 pubblicato il 28 Agosto 2011 da sergioemmeuno
 

Appiccicati al cancello, con un’espressione congelata tutt’altro che rassicurante, i tre guardiani occasionali avevano chiamato a raccolta l’intera brigata. Li raggiungemmo e lasciammo cadere a terra la cassa, quand’ecco che capimmo che l’attenzione generale era stata catturata da qualcosa al di fuori della muraglia.

Mi feci largo tra le numerose facce sbigottite dei compagni, incollandomi al ferro della cancellata, gelido e fors’anche arrugginito: là fuori, nell’oscuro tappezzato di tanto in tanto dalle pallide luci delle case vicine, alla distanza di una ventina di metri, alcune sagome presumibilmente a cavallo stazionavano sulla sommità di un piccolo dosso. La loro incessante immobilità, l’orario inconsueto, forse un cappuccio sulle teste, quei contorni a campana che lasciavano supporre una mantella, e quelle braccia piegate all’insù quasi a reggere uno strumento indistinguibile, non facevano pensare a nulla di buono.

 
 
 

I figuri a cavallo 1

Post n°176 pubblicato il 28 Agosto 2011 da sergioemmeuno
 

All’istante, assieme a Eugenio, Tommaso e Daniela, mi fiondai per le scale del casale, con l’intento di svegliare lo Zio. Nel frattempo, un drappello si era appostato sotto l’olmo e i più coraggiosi – Flavio, Roland e Giulia – piantonavano l’ingresso in attesa dei rinforzi.

Prendemmo letteralmente a calci la porta della camera di Silvano, anche perché il gracchiante russare rivelava che navigava nell’oceano dei sogni. La sua camera era di fronte la prima stanza delle ragazze.

Finalmente, fra un bestemmiane e l’altro, ci aprì, con quell’inconfondibile pigiamino a strisce verticali biancazzurre. Quando ci vide, incredulo come non mai e scocciato per il disturbo – come tutti i grandi lavoratori considerava il sonno come un momento sacro –, biascicò con un occhio chiuso: <<Spero che sia una cosa seria… sennò domani so’ cazzi vostri>>.

Lo informammo di Giannetto e gli chiedemmo delucidazioni in merito.

<<Chi? Giannetto? Ah, lasciatelo stare... non fa fede… È uno che sta in cura da
noi>>, sembrò non dare peso alla vicenda.

<<In cura? Regà, mo’ siamo pure una clinica>>, ironizzai.

<<Volevo dire… insomma, noi ci prendiamo cura dei meno fortunati, da anni…>> si arrampicò sugli specchi. Bene, una società di mutuo soccorso.

Il primo grosso errore dello Zio dopo giorni e giorni di convivenza?

<<Non mi sembrava questo il senso della prima fase, zietto>> obiettò Daniela.

<<Bando alle ciance, avrà sicuramente trincato.>>

<<In verità sembrava parecchio terrorizzato e parlava di minacciosi personaggi a cavallo nelle vicinanze!>> gridò Tommaso. Lo Zio era dubbioso.

<<Dobbiamo fare qualcosa, gli altri ci stanno aspettando>>, coprii la voce stridente di Tommaso e per un attimo, a causa della foga, il mio muso si venne a trovare sopra la testa di Silvano, guarnita dell’immancabile zucchetto. E così fecero gli altri.

<<Ragazzi, vi giuro che se questa è una burla… ora seguitemi>>. Uscì di corsa ed entrò in una delle stanze di servizio sul lato opposto a quello delle ragazze. Spostò chincaglierie e scatoloni, e spalancò le ante di un armadietto da cui estrasse una fonda cassa di legno. Dentro c’erano svariate doppiette da cacciatori: da tempo immemore le canne non cantavano e forse quella poteva essere la nottata giusta.

Mentre in quattro portavamo via la cassa, urtando pesantemente con gli spigoli sul muro, e con lo Zio ancora in pigiama che dirigeva i lavori come un buon vigile, si affacciò sul corridoio il Direttore, alquanto contrariato per il gran baccano notturno: <<Ma che diamine… Ehi che roba è quella cassa? Silvano… Sil… Sil-va-no! Silvano!>> Scosse la testa. Ma noi già eravamo al piano terra sull’uscio, scattanti più che mai per rifornire la truppa.

 
 
 

Giannetto 2

Post n°175 pubblicato il 28 Agosto 2011 da sergioemmeuno
 

Il suo linguaggio era assai scarno e anche poco fluente, al contrario dell’eccezionale dinamicità del corpo. Presumibilmente qualcosa lo aveva turbato. Leggermente curvo e magro, il colorito del viso giallognolo. Ma l’essenza di  quell’individuo – e sì, perché già da subito si era avvertito di trovarsi di fronte un marziano – era tutta racchiusa sotto un paio di occhiali neri grossolani, in quelle orbite profonde da cui emergevano piccoli occhi lucidi e di un odioso celestino, sormontati da sopracciglia folte e quasi unite. Come età sarà stato sulla quarantina.

Dondolava e pareva non darsi pace, muovendo asincronicamente i polsi, le mani e le braccia.  <<Buona gente…!>>

<<Che cazzo hai da strillare? Cosa cerchi qui?>> lo interrogò il Greco, mentre ci stavano raggiungendo pure gli altri. Come primo impatto non ci fece una gran bella impressione.

<<Aprite il cancello, vi prego. Là fuori non c’è sicurezza.>>

Ci consultammo rapidamente appena rischiarati dalla lanterna: <<E perché mai dovremmo farti entrare? Dicci il tuo nome>>, insistette Eugenio.

<<Giannetto, Giannetto. Ma ascoltate… chiamate Gabriel, chiamate… ci sono dei nemici pericolosi là fuori, gente cattiva…>> E mentre farfugliava accennava a indietreggiare come un gambero. I suoi occhiali si erano appannati.

Un altro rapido consulto e gli promettemmo un tetto per la notte. Ci raccontò, con qualche difficoltà nell’espressione verbale, che stava tornando a piedi da casa dello zio per rientrare nella sua dimora, dove viveva da anni con la sorella molto più vecchia. E si era imbattuto in alcuni personaggi a cavallo, incappucciati, indossanti lunghi mantelli e con un qualcosa in mano. <<Ho pensato a un cinema, ma poi ho visto che non rispondevano e… ho avuto paura e sono fuggito da voi. Anche perché Gabri e Silvano sono miei grandi amici>>, spiegò, mentre le donne provvedevano con solerzia a coprirlo con un pullover. Ritenemmo opportuno credergli e lo prendemmo sottobraccio, dato il suo modesto senso di orientamento nello spazio.

I cuori picchiavano a mille. Non dubitammo minimamente del suo racconto sconnesso.

 
 
 

La qualificazione per Tarna 3

Post n°174 pubblicato il 28 Agosto 2011 da sergioemmeuno
 

   In quella fase di stallo, l’Ungherese recuperò un pallone e iniziò a trotterellare sulla fascia sinistra. Roland e Vladimiro rimasero nella bambagia delle retrovie. Il trainer lanciò una saetta e mi ordinò di seguire l’Ungherese, dovevo assolutamente seguirlo! Fui ipnotizzato dal suo comando a distanza ed eccomi correre in avanti come un invasato, certamente, prima o poi, qualcuno mi avrebbe dato una spallata o un calcione. Correre, correre sino a sentirmi scoppiare i polmoni… non sapevo dove stesse il mio compagno… Dovere solo perforare il Centro del campo… e tanto più avanzavo quanto più mi sembrava impossibile che non incontravo alcun ostacolo… forse ero in fuorigioco? O forse addirittura tutti erano da un bel pezzo sotto le docce?   Non importava granché. Quando mi fui ritrovato all’altezza del dischetto di rigore degli avversari, con la coda dell’occhio intravidi, alla mia sinistra, la sagoma dell’Ungherese, e fra lui e me due maledette maglie verdi. Un pallone infuocato, forte e radente, si indirizzò verso di me, e, quando capii che l’ultimo difensore non lo poteva più intercettare, ebbi tanta, tanta paura di non farcela, di non colpire bene quel pallone violento. Fu un attimo: la sfera la feci scorrer via di quel tanto che bastava per impattarla pienamente col mio piede destro, rimanendo in apnea: un piattone – o un interno, se preferite – violento e centrale, che passò sopra le braccia del portiere, rimasto fino all’ultimo in piedi, e si conficcò sotto la traversa gonfiando la rete.

   Avevamo staccato il biglietto per Campi di Tarna, grazie al mio destro!

   Chissà cosa avrebbe pensato Laura. Le maglie nemiche erano divenute di un verde pistacchio.

   Subito dopo, l’arbitro sancì la fine e tutti mi zomparono addosso, deliranti, fradici, esausti, festosi come bimbi, un mucchio color arancio nel mezzo del campo. Flavio e il Greco erano incontenibili. Gli sconfitti erano afflitti, un paio di loro ebbero una crisi di pianto. Uno si autoflagellava prendendo a capocciate il terreno di gioco. Un altro, singhiozzante come un bimbo, si era conficcato la testa fra le ginocchia, quella buon’anima di Tommaso cercò invano di consolarlo. Nel mezzo del loro petto, quella odiosa e ipocrita spiga di grano si era ammosciata.

L’allenatore si aggiunse al nostro cumulo, con un vistoso sorriso a muso di cavallo, e si mise a sedere sulla sommità, intonando melodie incomprensibili e battendo con foga le mani quasi stesse a un concerto rock. <<Sotto le docce calde, andiamo campeones>>, ripeteva, <<fra poco ci aspetta altra gloria, campeones!>> E il folle si avviò verso gli spogliatoi, simulando il trotterellare di un cavallo.

Daniela, con molto acume, da tempo aveva etichettato quei scatti improvvisi, giocosi e pazzerelli, come i “guizzi di gioventù di Gabriel”.

Intanto, nella piccola area riservata alla stampa locale e regionale, non pochi erano
i commenti negativi degli addetti ai lavori. <<Non è possibile che questi fabbri vadano alle finali, e quei rulli compressori dei romani e dei viterbesi… no, non ci posso credere.>>

E una voce isolata dal resto del coro: <<Fabbri o non fabbri, l’hanno buttata una volta nel sacco>>.

 
 
 

La qualificazione per Tarna 2

Post n°173 pubblicato il 28 Agosto 2011 da sergioemmeuno
 

Per quanto riguardava il nostro schieramento in campo, Flavio difendeva i pali, coadiuvato, da sinistra verso destra, da Alessio, Eugenio e Pietro; in mezzo al campo danzavano le gambe del terribile Ungherese, di Vladimiro e le mie, che dovevano a turno sostenere l’azione di Roland. La panchina era scaldata dai culi pigri di Felice e di Tommy.

La notizia più sorprendente era che i due intossicati della sera precedente, Pietro e il Grifo, si erano miracolosamente ripresi e non avevano più alcun dolore né conati di vomito, a parte una lieve e giustificabile spossatezza. Evidentemente, in quella brutta storia dell’acqua inquinata, ci eravamo fatti prendere dal panico per nulla.

Fischio d’inizio. Gli avversari si catapultarono subito nella nostra metà campo. Un nanetto, sulla fascia sinistra, tutto finte e scatti, iniziò a fare il cattivo e il brutto tempo, facendo impazzire i tre della difesa: cross bassi e alti a ripetizione per gli arieti in maglia verde. Si preannunciava una giornataccia, con loro a spingere come posseduti, colpire di testa, calciare da tutte le angolazioni e correre, entrare duro, correre, guadagnare calci d’angolo uno dietro l’altro; ma per fortuna eravamo difesi da quei prodigiosi guantoni da ciclope di Flavio. Il portierone dapprima spedì lontano la palla su un paio di insidiosi corner, con la nostra area paragonabile a Fort Apache; poi, per ben due volte, uscì a valanga sui piedi di un nemico lanciato a rete. E quando la sorte lo stava abbandonando, con lui ormai col sedere per terra, il centravanti si mangiò un goal fatto calciando la sfera in tribuna.

Scoccò l’ora della pausa e Gabriel, all’istante, ci sputò tutti gli insulti immaginabili, sottolineando che non avevamo effettuato nemmeno un tiro nello specchio della porta nemica.

<<Zeus! Dobbiamo giocare più raccolti e ripartire in contropiede>>, ci martellava. Teste basse e bocche cucite. <<E Sandor, sulla fascia, lo dobbiamo sempre accompagnare con almeno due… che devono tagliare in diagonale>>, le sue mani affettavano l’aria. <<Se uno và al Centro, l’altro deve andare dall’altra parte! chiaro?>> Teste basse. Il suo schema di gioco era lineare, ma di fatto ci eravamo ritrovati sempre con le bocche spalancate a rincorrere le maglie verdi.

E ancora: <<E in difesa, passate o buttate la palla sempre di lato, mai al Centro. Se queste zappe ci sbattono fuori, prima vi sodomizzo a sangue, e poi vi giuro che me ne vado a piedi fino al Tibet.>> Era furioso. Nessuno osava immaginare che si potesse alterare per una partita di pallone.

Quanto più il tempo passava, tanto più il risultato rimaneva inchiodato sul pareggio, con la sensazione che solo un colpo di genio avrebbe sbloccato la partita. Ora anche loro annaspavano, con i piedi sempre più simili a quelli dei palmipedi, piedi pesanti nella sabbia. E anche la loro punta di diamante, quella perfida e velocissima ala, era a corto di fiato.

Dalle due panchine, i rispettivi mister si sbracciavano e fischiavano per impartirci le loro istruzioni. Avevo talmente la vista annebbiata che, a un certo punto, volgendomi verso la nostra panchina, al posto del trainer vidi una sagoma che sbraitava e salterellava come un canguro irrequieto.

Ognuno si  incazzava con  un proprio  compagno:  Flavio  ormai  comunicava  solo
attraverso gli occhi, poiché non aveva più voce; Eugenio strillava per chiedere l’aiuto di noi Centrocampisti; i laterali Pietro e Alessio sbruffavano e sacramentavano; là davanti, noi quattro chiedevamo sfrontatamente giustizia al padre Eterno, e ci scagliavamo di volta in volta contro la vittima di turno. Ma gli stessi avversari non è che se la passassero meglio di noi.

 

 
 
 

La qualificazione per Tarna 1

Post n°172 pubblicato il 28 Agosto 2011 da sergioemmeuno
 

 Difficile dire perché ci tenevamo così tanto a fare bella figura. Di sicuro sarebbe stato un grosso smacco non emulare l’impresa delle ragazze; oggigiorno è duro il confronto con loro: a differenza dei tempi passati, il gentil sesso è molto più determinato e smaliziato,  galoppa in spazi aperti e inala aria densa di libertà.

In secondo luogo, sull’intero evento si era venuta a creare tutta un’atmosfera vibrante di eccitazione, attesa, calore: merito di Gabriel e dello Zio con quel  profetizzare un vento nuovo in ogni attività; ma qualche minuscola particella di energia la sentivamo sbirciando lembi di giornali locali all’edicola di Torre dell’Uovo, od osservando di sottecchi, negli ultimi giorni dei fichi, gli occhi e le movenze della comunità del borgo. Globi carichi di frenesia e d’incoraggiamento, seppure silenziosi, faville ardenti di contadini e pastori, di domestiche e bambini birichini. Gente marginale ma solida.

Poi, non meno importanti, vi erano le motivazioni squisitamente personali. La nostra rabbiosa energia, alimentata e tuttora compressa fra le geometrie dell’Officina, bisognosa di esplodere in qualche maniera, per non andare avanti con altre scazzottate puerili o assemblee inquisitorie. A tal proposito, Pat mi aveva confessato che pure loro covavano una certa qual rabbia repressa, con la sola differenza che riuscivano abilmente a dissimularla.

Infine, dopo svariati giorni di chiacchiere, cinguettii, fantasticherie, adunanze, bicchieri conviviali, confessioni e pugnalate alle spalle, alleanze e pippe mentali, si presentava l’occasione per ottenere qualcosa di concreto, qualcosa da raccontare alle generazioni future.

Il campo di terra sembrava più grigio e arido rispetto alle altre due partite. Fra un’ora e mezza, uno dei due l’avrebbe ingoiata quella terra; e ce n’era a sufficienza. E che fine avevano fatto tutti quei castagni che ci frusciavano attorno le volte precedenti?

Negli spogliatoi il trainer ci inculcò le ultime raccomandazioni: giocare raccolti, non strafare e cercare di risparmiarci per gli ultimi venti minuti. Tuttavia la montagna ci pareva insormontabile. Le tribune in cemento erano costituite da una decina di piani.

Entrammo sul terreno di gioco e subito notammo che gli avversari già ci attendevano da un bel pezzo, gagliardi e tonici, avvelenati e con la voglia di strapparci le mutande davanti a tutti. Facevano paura, le cosce e i loro polpacci stragonfi ci irridevano. I fischi e i cori sugli spalti gremiti – non ci rendevamo conto di quanti fossero lassù –  ci giungevano come un monocorde sottofondo di bambagia. Dovevamo mantenere la mente sgombra: i troppi pensieri ci avrebbero, inevitabilmente, intrappolati nell’idea paludosa di una deprimente eliminazione. Aguzzando la vista scorsi un messaggio di incitamento: un lungo striscione di parecchi metri, forse l’unico, che sospingeva le nostre gesta.

 
 
 

Profilo reso non pubblico

Post n°171 pubblicato il 28 Agosto 2011 da sergioemmeuno
 

   Ancora una volta farò la figura dello scassamarroni o del pignoletto che dir si voglia, ma c'è una cosetta che proprio non la mando giù: l'oscurare il proprio profilo pubblico.

   Perché mai, all'improvviso, un utente inserito nella nostra lista di "amici" dovrebbe trasformare il proprio profilo in invisible mode? E' successo ultimamente con un' "amica" della mia lista, con la quale avevo raggiunto un ottimo dialogo. Per me è mancanza di rispetto, come se, nella vita reale, un nostro "amico" si rendesse irraggiungibile.

   Magari fino alla sera prima abbiamo comunicato tre ore, e, il giorno dopo, svanish! credo che in letteratura evoluta sia conosciuta come la Sindrome della bolla di sapone... altresì detta nel mondo anglosassone soap bubbles syndrome (SBS). Non è più corretto scrivere sul proprio blog:

A CAUSA DI PROBLEMI PERSONALI, PER UN TEMPO INDETERMINATO, IL MIO PROFILO SARA' INACCESSIBILE. ME NE SCUSO. A PRESTO!

                                                   CHE DITE?

OPPURE ANCHE UN ERMETICO: PER MOTIVI MIEI NON AVRO' PIU' IL PROFILO PUBBLICO.

 
 
 

La mia guida: Laura

Post n°170 pubblicato il 28 Agosto 2011 da sergioemmeuno
 
Tag: Poesie

 

 

Ancora alla mia protettrice... sono passati ormai venti anni...

                                                      

                            A Laura

 

 

                                                 In te io nasco.

                                                 In te mi disseto

                                                 e mi affogo;

                                                 in te io ricordo;

                                                 fra tutte le tue conchiglie

                                                 io son la più bizzarra.

 

                                                 In te mi disperdo

                                                 come goccia

                                                 nel mare;

                                                 ora -nell’immenso-

                                                 muoio.

           

                                                 Poi rinasco.

                                                 Ignaro.

                                                 Ebbro…

                                                 In te.

 

 
 
 

Il rimorso e il rimpianto

Post n°169 pubblicato il 28 Agosto 2011 da sergioemmeuno
 

   L'uomo d'azione avrà sempre qualche rimorso nel proprio armadio... Il riflessivo, il meditabondo, il logico avrà invece qualche rimpianto in più.

   Meglio un'anima spappolata dal demone del rimorso o un'anima disidratata, succhiata dal rimpianto?

   Non lo so. E forse sono a metà del guado... Quello di cui sono convinto è che dobbiamo fare la scelta che ci appare giusta in quel momento. E nient'altro.

 
 
 
 
 

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