Creato da fedechiara il 14/11/2014
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L'ocurità che si mangia il futuro.

Post n°3248 pubblicato il 29 Giugno 2024 da fedechiara
 

L'oscurità del futuro e la Storia 29 giugno 2019
Il 'museo del 900' di Mestre è costruzione magnifica a vedersi, degna di una metropoli da un milione di abitanti ( studio Sauerbruch Hutton – Berlino) e segnale che una città può riqualificarsi negli anni e cambiare radicalmente volto, - perfino nelle periferie industriali dei decenni folli che abbiamo vissuto e, sotto i nostri occhi allibiti di bambini, cresceva (e avrebbe inquinato spaventosamente l'intera laguna in un breve volgere di anni) l'orrore urbano e industriale di Portomarghera.
E passi per tutta quella oscurità che ti avvolge all'ingresso dei due piani dell'esposizione – giustificata dalla scelta espositiva di ricorrere agli audiovisivi e alle varie diavolerie digitali interattive; l'oscurità non è un male se ti puoi vedere dentro – dentro gli anni della nostra Storia, intendo, e rivedi i fermo-immagine degli interni/esterni della civiltà contadina che ci siamo lasciati alle spalle, forse un filo troppo didattici/scolastici per chi ha memoria del bel film 'Novecento' di Bertolucci.
Ma bisogna dire che ce l'hanno messa tutta, i curatori, per offrirci un buon prodotto di rivisitazione della Storia, a partire dal 'come eravamo' delle prime immagini all'ingresso, a grandezza d'uomo, che confrontano le fotografie degli uomini e delle donne degli anni Trenta e dei Cinquanta e i presenti e vivi – noi visitatori, mutati di quel mo' nel vestire, acconciare i capelli, invecchiare, spendere e abitare.
Ed entrano in scena i 'migranti', sempre loro, e i curatori buonisti ci vanno a nozze nel predisporre gli audiovisivi giusti dei nostri migranti veneti che partivano per il Brasile a mucchi, perché il Polesine era un brodo di coltura di miseria e malaria e le montagne venete un ricettacolo di pellagre e incurabili solitudini che sfociavano nella demenza – ho ancora negli occhi una bella mostra di qualche anno fa allestita al proposito nell'ex manicomio di san Servolo, che ospitò una mia ava.
Ma salta agli occhi, date le violente polemiche dell'oggi sulle modalità intollerabili delle presenti migrazioni (che si sostanziano di barconi e gommoni fatiscenti dei naufragi organizzati dai criminali 'scafisti' e le lotterie del mare e le o.n.g. taxi del mare che si prestano al trasporto dei clandestini che hanno comprato il gaglioffo biglietto vincente sotto le mentite spoglie del 'salvataggio in mare'), salta agli occhi, dicevo, il racconto che si fa di come partivano quei nostri avi migranti dal Polesine e dai monti – e si mostra la foto di un biglietto prepagato dal proprietario di una grande 'fazenda' e, di seguito, quei migranti ivi alloggiati decorosamente e messi immediatamente al lavoro: a seminare e raccogliere e stivare.
Malissimo pagati, naturalmente, ma vivi e sani e figlianti la seconda generazione delle future metropoli e del lavoro diverso da quello dei padri/madri e ascensione sicura nella scala sociale dei futuri imprenditori e politici e avvocati e giudici del Brasile.
Per dire che i nostri avi emigravano in sicurezza (certo, non una crociera) su navi e piroscafi e 'su chiamata' degli imprenditori dei paesi ospitanti che necessitavano di manodopera a bassissimo costo. Un autogol dei curatori?
E ascoltiamo il racconto del ragazzino 'bangla' integrato nel quartiere Piave di Mestre che ci racconta allegramente del suo sentirsi italiano e bengalese insieme, e va a scuola e frequenta gli amici della sua comunità, per dire di queste nuove identità cittadine che riempiono gli autobus del trasporto urbano e che fatichiamo a digerire e dire 'belle' e tutte positive.
E, forse, la scelta di dare parola a un membro giovane della comunità 'bangla' – la più apparentemente integrata, insieme ai cinesi - è funzionale all'agiografia che hanno in testa i curatori : di una società capace di metabolizzare agilmente il diverso e la diversità, ma l'impressione è che noi si viva una 'convivenza armata', invece; e l'eco delle stragi del Bataclan e della promenade des Anglais e dei mercatini di Natale a Berlino e altrove degli anni di piombo 2015/16 ci risuona sorda nelle orecchie della memoria a dirci che, davvero, non è tutto oro quel si vuole che luccichi in questa volonterosa esposizione del secolo in questione e il seguente.
Ma l'intenzione è buona, ne conveniamo, e il futuro è dietro l'angolo, oscuro e con sprazzi di luce, come le stanze della presente esposizione.
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Siam pronti alla morte?

Post n°3247 pubblicato il 28 Giugno 2024 da fedechiara
 

Siam pronti alla morte. (Ma andate avanti voi...) 17 giugno 2022

Mi ha provocato un moto di tenerezza, uscire stamattina e assistere all'alzabandiera dei ragazzetti/e della vicina colonia alpina. Tutti sull'attenti in posa militaresca e sguardo fiero, tipo 'film di Pupi Avati' - e il vetusto inno patriottico che snocciolava le sue improbabili proposizioni che: '...siam pronti alla morte'. ('Ma fate davvero?', chioserebbe una mia amica.) E quell'altra al seguito che: 'l'Italia chiamò'. Si?
Chiama l'Italia di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta (non donna di province, ma bordello)? Ma non ce l'avevamo di riserva un inno meno rusticano e di vecchissimo patriottismo obsoleto che solo la guerra di Ucraina ha risvegliato da un lungo sonno - una guerra combattuta per procura della NATO (residuato bellico) e con l'avvertenza tutta italiana de: 'Andate avanti voi, che a noi ci vien da piangere.'
E guardavo in viso quei ragazzetti/e e la loro serietà imposta era davvero imbarazzante e mi venivano in mente i pensieri della post modernità che si è creduta, fino a quattro mesi fa, indenne e salva da guerre e massacri, almeno in terra europea. C'è perfino un libro, di un noto scrittore/professore, 'The Game', in cui si afferma(va) che mai più si avrà in Occidente la postura bellica: 'Spada, corazza, cavallo.', perché sarà definitivamente sostituita da quella: 'sedia, tastiera, computer' delle auspicate 'magnifiche sorti e progressive' dei nostri prossimi viaggi spaziali.
E forse è proprio questo lo scandalo che ci ha fatto strappare i capelli in testa e gridare come ossessi (non tutti, per fortuna, e forse nemmeno una maggioranza di italiani): 'Io sto con l'Ucraina.' La terra europea che si è creduta indenne da guerre per il suo essersi (malamente) federata - ed essersi lasciata alle spalle i nazionalismi assassini e bellicosi (sic).
E abbiamo assunto d'emblè, e senza un briciolo di grano salis, le funeste e stupide decisioni relative alle sanzioni-boomerang - che ci impoveriscono e ci incanagliscono politicamente, senza peraltro trovare sponda in un partito che dica in chiaro in pubblico parlamento: 'No alla Nato' e 'no' alle vetuste e punitive 'scelte atlantiche' del Draghi e di quell'altro figlio dell'emergenza politica: il convertito sulla via della Farnesina, lo scissionista dello zero virgola, il parvenu che fra mesi sei si toglierà di torno e sostituirà Carneade nel noto interrogativo di don Abbondio mentre leggeva il Breviario.
Ma davvero quei ragazzetti/e avevano contezza di quello che significa 'dare la vita per la patria' o si applicava un protocollo vetusto, uno 'strano arnese' a discrezione degli istruttori, di chissà che fede ed obbedienza politica, che, a loro volta, non sanno bene che significhi 'dare la vita per la patria' (nel senso ungarettiano de: 'Si sta/ come d'autunno / sugli alberi / le foglie.), in un tempo in cui l'idea di patria è andata sciogliendosi nel melting pot universale degli arrembaggi con i barconi e le frontiere colabrodo?
Vabbè, mi son detto accelerando il passo al ritmo del 'porompompom' patriottico, forse lo fanno per via delle medaglie in gran copia che ha vinto l'Italia, (intesa come astratto e convenuto confine 'dalle Alpi alla Sicilia') in quel di Budapest.
Un puro refrain di strano orgoglio di popolo privo di senso reale che si accompagna alle cerimonie della premiazione.
Magari se sostituissimo il: '...siam pronti alla morte' con: '...siam pronti sul podio' suonerebbe meglio, isn't it?


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Nausicaa figlia di Alcinoo.

Post n°3246 pubblicato il 27 Giugno 2024 da fedechiara
 

27 giugno 2014

E il potente affresco di Allen su: 'Incontrerai l'uomo (o la donna) dei tuoi sogni' dimostra l'azzardo della metafora perché non esiste una donna (o uomo) 'da sogno' e perfino Nausicaa - pare abbia confidato Odisseo a un amico, prima di morire -, era un filo balbuziente, pur nella sfolgorante bellezza e nobiltà dei patri lombi e, a volte, le puzzava il fiato perché era ghiotta di interiora di pesce-palla cotte sulla brace. E Achille era un brutalone e, a letto, la cosa si concludeva in una mezz'oretta scarsa e svogliata e con scarsi e rudi preliminari.
E, ne converrete, anche i sogni fanno spesso cilecca e sono strambi e bizzarri e menzogneri - ne sono prova le troppe battaglie perdute di condottieri a cui un sogno aveva predetto la disfatta dell'armata nemica.
E la verità è che la vita non è sogno e 'una vita da sogno' ce la sogniamo solo di notte e sfuma nelle nebbie mattutine col profumo del caffè, ma chissà se la vivremmo di giorno con tutte le buffe varianti e le occulte simbologie che ci rimanda l'inconscio.
Meglio, molto meglio, incontrare l'uomo e la donna delle approssimazioni e degli aggiustamenti progressivi e delle rivelazioni ' a posteriori': di tenerezze e allegrie che 'neanche ce la sognavamo' e bella/o dentro oltre che fuori e con negli occhi il fiore di un amore sognato, si, ma da condividere qui e ora 'nella buona e nella cattiva sorte' ; e i sogni e le iperboli oniriche lasciamoli agli indovini e agli azzardi degli psicanalisti, - che per una che ne imbroccano vivono di rendita il resto dei loro giorni e hanno postuma fama di studiosi e scienziati.
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Lauda delle Terre Alte.

Post n°3245 pubblicato il 26 Giugno 2024 da fedechiara
 

Lauda delle terre alte. 26 giungo 2022
Io qui sono come il Kranebet, amaro d'antan che 'respira montagna'. Non lasciatevi ingannare dal nome complicato cimbro. Si tratta di 'grani amari' e macerazione di bacche di ginepro e radici alpine ed in effetti io sono come le ife dei funghi ipogei che si legano a quelle salutari radici e inter scambiano gli zuccheri, nell'immenso tessuto sotterraneo delle ramificazioni diverse che cuciono la varia superficie terrosa dei monti - e respiro a fondo le fragranze di ogni erba e dei rami resinosi di ogni arbusto del sottobosco nel fresco mattino che ognora mi illude (oh Ermione) dell'eterno ciclo vitale.
Pagato lo scotto alla poesia dell'ambiente naturale che commuove e sommuove le emozioni profonde dei corpi e delle anime vi è da dire che le terre alte sono l'epitome del buon vivere e sano (in alto i cuori) e, di questi tempi di siccità e acque avare e fiumi in secca, avere nelle orecchie il costante crosciare delle molecole d'acqua sui sassi del letto del torrente che transita qui sotto offre l'illusione che il mondo sia ancora saldamente sostenuto sui suoi cardini e nessuna pandemia e/o guerra di Ucraina ci sconvolge e il nominarsi nei tiggi dei politici di ogni risma e ridicolo partito/ucolo neonato ci pare litania sciocca di un mondo a parte (a world a part), - un mondo di marziani e mefitici venusiani che presto si imbarcheranno sulle loro astronavi aliene e libereranno l'orizzonte degli eventi dalla loro malefica e asfissiante presenza (tié!).
E se gli avi valligiani uscissero dalle tombe fiorite e si aggirassero non visti nei paesi nuovi e nei meandri delle frazioni più alte e nascoste dal folto dei larici e dei faggi sarebbero fieri dei bis nipoti loro e degli architetti sapienti che quelle case hanno restaurato egregiamente, mantenendone l'antico aspetto dei bellissimi fienili (i 'tabià') e salvandone l'anima (il genius loci) con l'uso accorto delle assi di legno variamente colorate che rimandano all'antico e lo sfidano.
E questa valle era detta la valle della miseria dei valligiani mangiatori di sola polenta e che morivano nei manicomi di pellagra - e Sebastiano Vassalli, nel suo romanzo 'Marco e Mattio' ci descrive il canto triste e straziante che si levava, al tempo dei francesi occupanti, nella piazza di Belluno, di fronte al palazzo del podestà, dalla folla degli occupanti che protestavano invano per la fame atavica che provocava le allucinazioni di un banchetto pantagruelico che trasformava l'intero panorama dei monti in cibo:
'Se il mar fusse de tocio e i monti de po'enta, oh mama che tociade, po'enta e baca'à...'
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Tutte le rea


 

 
 
 

L'imperialismo della democrazia di Atene e la strage dei 'meloni'.

Post n°3244 pubblicato il 25 Giugno 2024 da fedechiara
 


Se ne sapete poco di geo politica e vi mancano i riferimenti storici in proposito prenotate i posti a teatro per l'11 settembre (data emblematica) a Roma, all'Auditorium parco della Musica dello spettacolo di Alessandro Baricco: 'Tucidide: Atene contro Melo.' – storia emblematica di una gloriosa democrazia (quella di Pericle) che fa strage degli abitanti di un'isola famosa perché, dicono gli Ateniesi agli ambasciatori di Melo: 'La vostra amicizia ci danneggerebbe più di quanto possa fare il vostro odio.'
A voi di trovare i riferimenti con l'oggi dei presenti attori geo strategici. Occidente (una coalizione di democrazie pretese di folli Stranamore al servizio di un possente 'apparato militar-industriale' che testa i suoi nuovi missili e le varie armi e satelliti in Ucraina) versus Oriente – Russia e Cina che provano a riequilibrare i sempre più faticosi equilibri tra potenze e imperi ed economie sorgenti ed aggressive. Troppo difficile? Si.
Perché Baricco la prende sempre alla lontana e ciurla, oh se ciurla! Ciurla nel manico da Dio (e i suoi libri e gli spettacoli incantano), ma ciurla, è un gran ciurlatore di ardite metafore, e non sai bene se si frega le mani leggendo i giornali perché 'Alta è la confusione sotto al Cielo.' (Mao Dse Dong dixit, e aggiungeva: 'La situazione è, quindi, eccellente.') e tutta questa confusione di guerre e confini incerti gli fa gioco (The game, è uno dei suoi ultimi libri 'geo strategici').
'Atene è la Nato.' suggerisce Baricco al giornalista che lo intervista (articolo su 'la Stampa' di oggi).
Ne conseguirebbe, nello svolgimento della metafora, che Melo è un tranquilla isola di pacifisti ('siamo tutti 'meloni' (?) che si facevano i fatti loro a galla sull'Egeo e avanzavano con discrezione le loro denunce e le indignazioni per il durare della guerra maggiore, quella di Atene contro Sparta (metafora della Russia?).
No, vabbè, è un azzardo, un casino, la metafora è davvero tirata per i capelli, però lo spettacolo è bello ed offre 'spunti di riflessione' nel merito – ed è pur vero che Stoltenberg (nomen omen) e i paesi filo Nato associati farebbero strage, se non fosse controproducente sul piano mediatico, di tutti i maledetti pacifisti che li accusano di imperialismo bellicista e di ipocrisia nella loro 'guerra per procura' in Ucraina.
E mi viene in mente quella storia dei confini difesi con la vita (e la morte di milioni di loro) dai nonni e dai padri (quelli più longevi) e degli immensi sacrari della prima e della seconda guerra mondiale dei 'caduti per la patria' - citati nel libro di Baricco 'The Game' come una ridicola e maledetta 'ossessione'.
L'ossessione per i confini che noi post moderni giocatori della Rete, pacifisti ad oltranza e per mutazione di dna, non condividiamo, ma ci ritroviamo sotto schiaffo e succubi dei post moderni imperialisti filo Nato che ce li ripropongono in Ucraina sotto le mentite spoglie di una 'nuova patria europea'.
Ma chi la vuole, chi la sottoscrive, checcefrega di questa retorica ridicola di dover allargare le maledette alleanze Nato fino a ridosso dei confini dell'orso russo che, giustamente, chiede cautela militare e neutralità e rispetto dei patti politici e militari prospettati fino ad ieri, ma traditi e rigettati dai maggiorenti Nato con la complicità dei presenti leaders europei in fregola di revanscismo occidentale e stolida obbedienza ai folli Stranamore d'Oltratlantico.
Beh, prenotate lo spettacolo a Roma, l'undici di settembre, ne vale la pena. Se saremo ancora tutti qua (il fungo termonucleare ci tallona da presso, lo sapete) a discutere di pace di guerra e di equilibri geo strategici che mutano per causa di imperialismi assassini ne riparliamo.

 

 
 
 
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