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Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi di Febbraio 2019

Telecomunicazioni 5g

Post n°2936 pubblicato il 19 Febbraio 2019 da namy0000
 

2019, Internazionale n. 1293 del 8 Febbr. – Gli Stati Uniti contro la Cina. Controllare le reti di telecomunicazioni 5g potrebbe garantire un enorme vantaggio tecnologico, economico e militare sul resto del mondo. Per questo Washington non vuole che a farlo sia un’azienda cinese. La primavera scorsa una delegazione statunitense si è presentata in Germania, dove s’incrocia la maggior parte delle reti in fibra ottica europee e dove la Huawei vorrebbe costruire i commutatori che fanno funzionare il sistema. In sintesi, il messaggio era: i rischi per la sicurezza degli alleati della Nato superano di gran lunga qualsiasi vantaggio economico legato all’uso delle reti di telecomunicazioni cinesi.

Nell’ultimo anno, gli Stati Uniti si sono imbarcati in una discreta, ma a volte minacciosa, campagna mondiale per escludere la Huawei e altre aziende cinesi dalla più importante trasformazione delle strutture che controllano internet da quando è nata la rete, 35 anni fa… Washington sta avvertendo i suoi alleati che i prossimi sei mesi saranno cruciali. Vari paesi cominciano a mettere all’asta le radiofrequenze per le nuove reti 5g e stanno decidendo con chi firmare contratti multimiliardari per la costruzione dei sistemi di commutazione…

La Huawei è stata fondata nel 1987 da Ren Zhengfei, un ex ingegnere dell’Esercito popolare di liberazione diventato uno degli imprenditori cinesi di maggior successo. Nel 2003 la Cisco System citò in giudizio la Huawei accusandola di aver copiato il suo codice sorgente. Poi le due parti hanno trovato un accordo senza andare in tribunale.

Nel luglio del 2018 i rappresentanti di Regno Unito, Stati Uniti, Canada, Australia e Nuova Zelanda hanno tenuto il loro incontro annuale a Halifax, in Nuova Scozia: all’ordine del giorno c’erano le aziende di telecomunicazioni cinesi, la Huawei e le reti 5g, e si è deciso di provare a impedire all’azienda di costruire nuove reti in occidente…

“Il controllo delle reti 5g è uno strumento potenzialmente pericoloso”, spiega Maleki, che ora presiede il consiglio d’amministrazione dell’istituto polacco per l sicurezza e la strategia. “Per la Polonia garantire la sicurezza di quelle truppe è più importante di qualsiasi altra cosa”.

Le reti di nuova generazione sono cruciali per il futuro delle operazioni di guerra. E questo fa crescere la posta in gioco nella competizione tra chi le sta sviluppando.

Al di là dei suoi enormi vantaggi commerciali, la rete 5g – la quinta generazione della comunicazione mobile – sta rivoluzionando la tecnologia militare e della sicurezza. .. La rete 5g è almeno 20 volte più veloce delle più avanzate reti di oggi… In realtà ha un potenziale molto maggiore.

Se le reti esistenti connettono tra loro le persone, quelle di prossima generazione connetteranno una vasta rete di sensori, robot e veicoli autonomi, usando l’intelligenza artificiale. Il cosiddetto internet delle cose consentirà agli oggetti di comunicare tra loro scamiandosi enormi volumi di dati in tempo reale e senza l’intervento umano. Fabbriche autonome, chirurgia a distanza o robot che preparano la colazione: cose che prima esistevano solo nella fantascienza diventeranno realtà…

Anche gli Stati Uniti stanno investendo da tempo nell’uso militare del 5g, mentre in alcune città sono stati lanciati dei prototipi per l’uso civile.

 
 
 

Venerdì per il futuro

Una delle cose peggiori che un giovane può fare pensando al proprio futuro e a quello della comunità in cui vive è smettere di studiare. Tuttavia non è su questo piano che andrebbe letta la protesta che sta unendo giovani e giovanissimi di vari Paesi europei in nome della lotta ai cambiamenti climatici. In diverse città francesi e britanniche, in Germania, ma anche in Italia, centinaia di studenti hanno "scioperato" nuovamente ieri e manifestato davanti a scuole e sedi istituzionali per chiedere azioni più incisive al fine di evitare la catastrofe ecologica.

La mobilitazione prende il nome di "Fridays For Future", i Venerdì per il futuro, e ha tutte le caratteristiche di un movimento informale, cresciuto con il passaparola in rete. Proteste sparse si erano tenute già lo scorso anno, poi la delusione per gli esiti della Conferenza sul clima in Polonia del dicembre 2018 ha impresso una spinta decisiva. La richiesta è per una riduzione più netta dei gas serra contro il riscaldamento climatico. In assenza di risposte è già stata fissata una nuova data: il 15 marzo, venerdì ovviamente. La provocazione dello sciopero scolastico fa quasi star male.

Non abbiamo forse bisogno di più sapere, di intelligenza, di conoscenza, di scuola e innovazione per affrontare le sfide globali? La frase che spiega tutto dei Venerdì per il futuro è stata pronunciata dalla sedicenne svedese Greta Thunberg, la ragazza che ha ispirato il movimento per aver incrociato le braccia davanti al Parlamento di Stoccolma a partire dallo scorso agosto: «Perché dovrei andare a scuola? Se i politici non ascoltano gli scienziati perché mai dovrei studiare?».

Nel contesto in cui sono espresse, queste parole non andrebbero prese alla leggera. Intanto perché marcano una differenza generazionale impressionante anche rispetto a quello che oggi si considera "nuovo", ma che di fronte a un’affermazione così appare di colpo vecchio e stantìo: per ragazzi neanche maggiorenni la scienza e la conoscenza hanno un valore, lo studio è importante, non sembrano esserci margini per negazionismi, scie chimiche, leggende metropolitane o saltimbanchi. La politica ne prenda atto e agisca. E poi nella rinuncia simbolica (e temporanea) allo studio sembra andare in scena più la rappresentazione del sacrificio di qualcosa che si considera prezioso e necessario, non un atto definitivo di auto-annientamento. Come dire: siamo pronti a fare la nostra parte.

Molte ricerche dimostrano come le generazioni più giovani abbiano una consapevolezza diffusa e trasversale della questione ecologica, non sembrano cioè divise nei blocchi ideologici e un po’ naif che ancora sopravvivono, dove ci si attribuisce il diritto di inquinare o il privilegio di vivere a impatto zero in base al colore politico o all’area culturale di appartenenza. Altri studi evidenziano poi un ritorno di passione politica e di desiderio di impegno proprio tra gli 'under 20'. Un’aria nuova, insomma, che pone la difesa dell’ambiente e della casa comune come dato irrinunciabile, tutt’altro che piegato sul presente.

«Forse un giorno i miei figli mi chiederanno come mai non avete fatto niente quando c’era ancora il tempo di agire» ha detto Greta Thunberg ai rappresentanti delle Nazioni alla Cop24 di Katowice, esprimendo un desiderio di futuro e di generatività lontano dalla disillusione che si respira altrove. Secondo le più recenti stime delle Nazioni Unite nell’ultimo decennio in Africa gli eventi atmosferici estremi hanno colpito in media 16 milioni di persone l’anno e l’aumento delle temperature ha danneggiato in modo devastante i raccolti nelle aree più povere, affamando milioni di persone e inducendole a migrazioni disperate.

Nell’enciclica Laudato si’, in cui la tensione per la promozione di un’ecologia integrale si accompagna all’indicazione di azioni concrete con le quali confrontarsi per il bene del Creato e dell’umanità, papa Francesco ha dato prova di saper cogliere più di tanti il senso di una questione che è anche generazionale: «I giovani – ha scritto – esigono da noi un cambiamento.

Essi si domandano com’è possibile che si pretenda di costruire un futuro migliore senza pensare alla crisi ambientale e alle sofferenze degli esclusi ». Soprattutto, ha sottolineato Francesco, questi giovani «hanno una nuova sensibilità ecologica e uno spirito generoso, e alcuni di loro lottano in modo ammirevole per la difesa dell’ambiente, ma sono cresciuti in un contesto di altissimo consumo e di benessere che rende difficile la maturazione di altre abitudini. Per questo ci troviamo davanti ad una sfida educativa».

Una sfida che chiama anche al cambio degli stili di vita e di fronte alla quale i giovani non possono essere lasciati soli. Perché a un certo punto i libri e le ricerche vanno riaperti e dovremmo tutti ricominciare a leggerli.

(Massimo Calvi Avvenire, sabato 16 febbraio 2019)

 
 
 

L'amore violento lo pagano i bambini

Pochi giorni dopo la morte del piccolo Giuseppe a Cardito, un altro bambino è diventato la vittima innocente di personalità immature e rapporti patologici tra adulti. La storia di Alice a Genzano.

Si saltano le tappe, si corre, si riflette poco o niente. E si combinano guai sovente irreparabili. Ogni persona porta dentro di sé un mondo sconosciuto a tutti, a volte perfino a se stesso. Ognuno è figlio della sua storia, dell'educazione ricevuta, delle sue patologie, dei suoi studi, del suo carattere, dei suoi ideali. Ognuno ha progetti da perseguire, sogni da sognare, mete da raggiungere. L'uomo non basta a se stesso, perciò si guarda attorno, cerca, trova, o crede di trovare, in un'altra persona quello che gli manca. Innamorarsi è bello. Spontaneamente, ingenuamente bello. Rimanere innamorati, invece, è un'arte, una decisione, un traguardo da raggiungere. L'amore si fa in due. Puoi essere certo di te, non dell'altro. Occorre metterlo in conto sin dall'inizio. Quando scatta, quella "cosa" misteriosa, coinvolge tutto il tuo essere, entri in un'altra dimensione, diventi più fragile, più vulnerabile, meno obiettivo. L'altra, la sua voce, le sue carezze, i suoi baci, i suoi pregi, e finanche i suoi difetti, ti attraggono. 
Momento incredibilmente bello ma terribilmente "pericoloso" è quello dell'innamoramento. Ti fa perdere la percezione della realtà. Momento da affrontare con intelligenza, serietà, onestà, severità. Occorre tempo. Per conoscersi, confrontarsi, studiarsi. Per capire come l'altro pensa, come si comporta quando inciampa in un imprevisto. Che rapporto ha con i soldi, il sesso, la droga, l’alcol, l'azzardo, la fede. Come gestisce la rabbia, il dolore, le avversità. Che concetto ha della libertà, della dignità altrui. Come si comporta con i bambini. Non è facile, anzi, è terribilmente difficile. Perciò occorre dare il tempo necessario per non fare scelte sballate, per non saltare le tappe. Per non correre a perdifiato. Inutilmente. Pericolosamente.

È accaduto a Genzano. Sara, la mamma di Alice, la bimba di nemmeno due anni percossa dal compagno fin quasi a farla morire, ha confessato di conoscere quell'uomo da due mesi. Due mesi appena e ha già deciso di andare a convivere con lui? Convivere vuol dire mettere in comune la casa, i corpi, gli animi, il denaro, i piaceri e anche i dispiaceri. Sara, però, non aveva da badare solo a se stessa ma soprattutto ai 4 figli. 
Il brutale pestaggio di Alice ha in comune con la recente morte del piccolo Giuseppe di Cardito diversi elementi. In entrambi i casi l'uomo non è il papà dei bambini. Se questo vuol dire molto o poco non sta a me dirlo, però è un fatto. In entrambi i casi abbiamo a che fare con uomini immaturi, violenti, incapaci di gestire la rabbia e gli imprevisti. Finanche con i bimbi. E questo è un altro elemento che la dice lunga. Avevano bisogno di essere aiutati per affrontare i loro problemi personali, sempre accantonati e mai risolti. Problemi che sono esplosi nel modo più vigliacco, più becero, più odioso. Tony ha ucciso Giuseppe a bastonate, Federico ha torturato la figliastra con morsi e sigarette accese. Due film dell’orrore. Sconcerto allo stato puro. 
Verrebbe da scappare. Ci sentiamo tutti sotto accusa. «Ci amiamo, voglio stargli vicino», ha detto Sara riferendosi al suo compagno. Parole che avrebbero potuto, in altro contesto, emozionare, adesso fanno rabbia. Parole che dicono quanta attenzione occorre fare prima di donarsi a un altro, perché Sara a un altro si era già donata e con lui aveva in comune 4 figli. Un altro, oggi, invisibile. Un fantasma, un'ombra nella vita di questi bambini. 
Sara ha solo 23 anni, Federico appena uno in più, la stessa età di Tony di Cardito. Nella loro breve esistenza tutto è avvenuto in fretta. Troppo in fretta. Questi giovani non erano preparati per affrontare una convivenza del genere, complessa, problematica, da nessun punto di vista, compreso quello economico. Pur amando, o credendo di amare, le compagne, non avevano la forza, la capacità, la possibilità, la volontà di accollarsi la responsabilità dei loro figli. La violenza non trova nessuna giustificazione. Mai. In nessun modo. La violenza esercitata sui bambini è odiosa. Vergognosa. L'adulto che fa male a un bimbo è un vigliacco. Sara ha ammesso: «Sua mamma mi diceva che è malato, ha una specie di schizofrenia... Si arrabbia spesso, sbotta, poi si pente, ma io non mi arrabbio, lo lascio sfogare...». Com’è possibile che un malato di schizofrenia possa prendersi cura di 4 bambini? Chi avrebbe dovuto tenere sotto controllo questa strana situazione? 
Sara non ha ancora superato la fase dell'innamoramento e va a convivere con un uomo malato e problematico? Coinvolgendo la vita dei suoi bambini? Ha detto che vuole «stargli vicino, aiutarlo». Ma anche lei necessita di essere aiutata a capire che l'amore coniugale non è filantropia. La donna innamorata non è una crocerossina, non spetta a lei indossare i panni della missionaria. Come nel dramma di Cardito, anche stavolta chi ci ha rimesso pesantemente sono i bambini. Sono stati loro a morire o a rimanere feriti e traumatizzati. È a loro che vogliamo rivolgere il nostro pensiero. Qualsiasi decisione verrà presa, saranno sempre loro a pagare il prezzo più alto. Una volta per sempre decidiamoci di andare incontro ai ragazzi, aiutiamoli a distinguere l'amore dall'innamoramento, a fare i passi giusti. A non saltare le tappe. Soprattutto quando in ballo c'è la vita di bambini in tenerissima età.

Maurizio Patriciello, Avvenire, venerdì 15 febbraio 2019

 
 
 

Ha il coraggio della pace

Post n°2933 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da namy0000
 

“Ha il coraggio della pace, papa Francesco. Di chi sa che non c’è più tempo e che l’avvenire dell’umanità passa attraverso lo sforzo ‹‹urgente›› delle religioni di ‹‹costruire ponti fra i popoli e le culture››. Per questo, al termine dell’incontro interreligioso, presso il Founder’s Memorial, con un gesto senza precedenti, insieme con i musulmani, firma una dichiarazione che impegna la massima autorità islamica sunnita, che fa capo ad Al-Azhar, il noto centro teologico e spirituale del Cairo, ‹‹con i musulmani d’Oriente e d’Occidente››, insieme alla Chiesa cattolica ‹‹con i cattolici d’Oriente e d’Occidente›› ad ‹‹adottare la cultura del dialogo come via; la collaborazione comune come condotta; la conoscenza reciproca come metodo e criterio››.

Cattolici e musulmani chiedono ‹‹a tutti di cessare di strumentalizzare le religioni per incitare all’odio, alla violenza, all’estremismo e al fanatismo cieco, e di smettere di usare il nome di Dio per giustificare atti di omicidio, di esilio, di terrorismo e di oppressione››. ‹‹Lo chiediamo››, si legge nella dichiarazione, ‹‹per la nostra fede comune in Dio, che non ha creato gli uomini per essere uccisi o per scontrarsi tra di loro e neppure per essere torturati o umiliati nella loro vita e nella loro esistenza. Infatti Dio, l’Onnipotente, non ha bisogno di essere difeso da nessuno e non vuole che il Suo nome vega usato per terrorizzare la gente››.

No alle violenze e a tutti i fondamentalismi, dunque, ‹‹in nome di Dio che ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro, in nome dell’innocente anima umana che Dio ha proibito di uccidere, affermando che chiunque uccide una persona è come se avesse ucciso tutta l’umanità e chiunque ne salva una è come se avesse salvato l’umanità intera››, nel nome dei poveri e dei ‹‹popoli che hanno perso la sicurezza, la pace e la comune convivenza, divenendo vittime delle distruzioni, delle rovine e delle guerre, in nome della fratellanza umana che abbraccia tutti gli uomini, li unisce e li rende uguali››, fratellanza ‹‹lacerata dalle politiche di integralismo e divisione e dai sistemi di guadagno smodato e dalle tendenze ideologiche odiose, che manipolano le azioni e i destini degli uomini››.

Un passaggio su tutti è la misura della novità storica: ‹‹La libertà è un diritto di ogni persona: ciascuno gode della libertà di credo, di pensiero, di espressione e di azione. Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi. Per questo si condanna il fatto di costringere la gente ad aderire a una certa religione o a una certa cultura, come pure di imporre uno stile di civiltà che gli altri non accettano››.

Non è tutto. ‹‹La protezione dei luoghi di culto – templi, chiese e moschee – è un dovere garantito dalle religioni, dai valori umani, dalle leggi e dalle convenzioni internazionali››, si legge nel testo firmato da Ahmad al-Tayyeb, grande imam di al-Azhar, e dal Papa. ‹‹Ogni tentativo di attaccare i luoghi di culto o di minacciarli attraverso attentati o esplosioni o demolizioni è una deviazione dagli insegnamenti delle religioni, nonché una chiara violazione del diritto internazionale. Il terrorismo esecrabile che minaccia la sicurezza delle persone, sia in Oriente che in Occidente, sia a Nord che a Sud, spargendo panico, terrore e pessimismo non è dovuto alla religione – anche se i terroristi la strumentalizzano – ma è dovuto alle accumulate interpretazioni errate dei testi religiosi, alle politiche di fame, di povertà, di ingiustizia, di oppressione, di arroganza; per questo è necessario interrompere il sostegno ai movimenti terroristici attraverso il rifornimento di denaro, di armi, di piani o giustificazioni e anche la copertura mediatica››…. (FC n. 6 del 10 Febbr. 2019)

 
 
 

Chiudere i porti non è la soluzione

Post n°2932 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da namy0000
 

‹‹Chiudere i porti non è la soluzione. Servono vie sicure e legali per i disperati che rischiano le loro vite in cerca di salvezza. L’Italia ha l’obbligo morale e legale di accettare i rifugiati che fuggono dalla guerra e dalla violenza, da paesi come la Libia e il Congo. La decisione del governo italiano di partecipare ai bombardamenti della Libia del 2011 ha contribuito ad aggravare il problema dei rifugiati, spingendo gente a fuggire verso l’Europa. Per fermare l’esodo dei rifugiati l’Italia e l’Unione europea devono adottare una migliore politica nei confronti dell’Africa. Gli europei devono fare in Africa investimenti sociali ed economici, andando alla radice dei problemi che costringono gli africani a fuggire. Devono impegnarsi a fermare i conflitti locali e trovare urgentemente delle soluzioni politiche. Da 3 anni sto ripetendo che le grandi potenze, gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, l’Europa devono lavorare insieme per fermare le guerre prima che queste peggiorino e devono aiutare i rifugiati che fuggono da queste guerre. La guerra in Siria e in Yemen non si ferma, la gente continua a soffrire e le sofferenze dureranno per anni fino a quando  leader mondiali non troveranno una soluzione e io sono convinta che, se vogliono, possono farlo. Essi devono considerare la vita umana più importante degli interessi economici e delle convenienze politiche. Abdullah vive a Erbil, ancora tormentato dal suo dolore. Ripete sempre che nessuno può entrare nel suo cuore e capire la sua sofferenza. Ma la sua speranza è di sviluppare le attività della Fondazione che porta il nome di Kurdi, in modo da aiutare i bambini rifugiati, soprattutto gli orfani. Abdullah spera di poter dare a loro quello che non ha potuto dare ai suoi figli, Ghalib e Alan. Per non dimenticare i tanti bambini colpiti dalla guerra e aiutarli ad avere un futuro migliore, dando loro istruzione, assistenza sanitaria e tutto ciò di cui possono avere bisogno. Quando io e i miei familiari parliamo della guerra e della tragedia che ci è successa, piangiamo. Ma allo stesso tempo, ricordiamo i nostri momenti felici a Damasco, specialmente i ritrovi del venerdì sera in famiglia, con gli amici e i vicini, il buon cibo, i balli, le risate. Questi ricordi mi danno conforto e aiuteranno tanti siriani a riprendersi dopo la guerra. Negli ultimi 8 anni i siriani hanno sofferto abbastanza, ma chi è rimasto in Siria cerca di andare avanti con la propria vita. Di recente sono stata a Damasco e ho visto che molte persone stanno tentando di ricostruire il loro Paese. I siriani hanno bisogno di aiuti, non di sanzioni, queste fanno solo male alla popolazione. Spero che il mio libro La storia di una famigli che cercava la salvezza possa spingere tante persone a prendere iniziative a favore della pace››. A parlare è una donna la cui famiglia è stata devastata da una tragedia del mare. È Tima Kurdi, la zia del piccolo Alan, il bambino curdo siriano di 3 anni morto annegato sulla spiaggia turca di Bodrum nel settembre del 2015. La foto di quel piccolo corpo riverso sulla spiaggia, con indosso una maglietta rossa e dei pantaloncini blu, ha commosso il mondo. Insieme ad Alan morirono anche suo fratello Ghalib e la mamma Rehana. Sopravvisse solo Abdullah, il capofamiglia. Tima, 48 anni, la sorella di Abdullah, fa la parrucchiera e vive dal 1992 in Canada, a Vancouver, con il marito e il figlio. (FC n. 6 del 10 febbr. 2019).

 
 
 

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