Creato da namy0000 il 04/04/2010

Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi di Febbraio 2019

La parola PACE

Post n°2941 pubblicato il 24 Febbraio 2019 da namy0000
 

Livni ha sostenuto di recente che la parola “pace” sia diventata una specie di volgarità da dire in Israele. Nella conferenza stampa in cui ha annunciato l’abbandono della vita politica, ha detto: «Lascio la politica, ma non permetterò alla speranza della pace di lasciare Israele. Vivo internamente un conflitto per continuare a combattere, ma non abbiamo abbastanza potere politico per realizzare da soli le cose come le vorremmo». (Il Post, 23 febbr. 2019)

 
 
 

Ditemi che sono ingenuo

Post n°2940 pubblicato il 22 Febbraio 2019 da namy0000
 

Ditemi che sono ingenuo e che, come al solito, sono sempre dalla parte sbagliata. Forse sbagliata no, ma dalla parte dei giovani, sì. Sono pronto a urlare come un matto quando sbagliano, ma sono altrettanto sicuro che possono cambiare il mondo. Tanto è vero che uno dei miei “comandamenti” è: ‹‹Nessuno è irrecuperabile››.

Giorni fa, ho letto un’intervista all’antropologo Franco La Cecla in cui diceva che Facebook tramonterà e tornerà la vera amicizia. Nelle ultime due righe dell’intervista, parlando sempre di Facebook, dichiarava: ‹‹Nessun adolescente lo usa. Si sta tornando a una società in cui i legami faccia a faccia sono più importanti di quelli virtuali››. Avevo tanto bisogno d’aria e, ancor più, avevo, o meglio ho, bisogno di sapere che c’è qualcuno più ottimista di me.

Ritrovare la parola calda, autentica, significa ritrovare la vita, rinascere, piantandoci gli occhi dentro gli occhi, le mani tra le mani, il tono musicale che ognuno di noi, senza accorgersi, si porta dentro, perché la parola è anche musica. Tornerà la speranza e la società non sarà più quella dei grattacieli e dei televisori accesi giorno e notte, ma quella in cui ci si parla a tavola, si torna a scrivere, a sedersi sul divano del salotto e, invece di accendere la televisione, si accende il cuore.

Perché c’è un tempo che si misura cliccando sul telefonino e c’è un tempo che si misura con i battiti del cuore. I suoi battiti danzano ai ritmi delle parole che ti escono dall’anima e non dal programma televisivo.

La nostra cosiddetta civilizzazione (mi vergogno di dare a nostri giorni un titolo così impegnativo) ha parole artificiali per dare un tempo alle notti del sabato, tra una discoteca e l’altra, ma ha perso le carezze che tra una parola e l’altra scandiscono le stagioni del cuore.

Ci sono parole autentiche che si sono radicate dentro di noi e che se ci rimarranno sempre vicine più delle altre che radici non hanno, ci faranno vivere e non solo sopravvivere.

Queste parole non le ha fatte nessuno, nemmeno la mamma. Erano già fatte e sono rimaste sempre fresche, appena sfornate. Dobbiamo tornare qui. E Franco la Cecla dice che ci stiamo tornando. Notizia divina! (Antonio Mazzi, FC n. 7 del 17 febbr. 2019).

 
 
 

Una storia iniziata

Post n°2939 pubblicato il 21 Febbraio 2019 da namy0000
 

Una storia iniziata il 2 gennaio 2018, con una bicicletta. Da un piccolo paese con poco più di 3.000 abitanti, Castelnuovo Don Bosco, in provincia di Asti, mio fratello Filippo, ingegnere aerospaziale, laureatosi al Politecnico di Torino nel 2013, e ospite del collegio San Giuseppe durante i suoi studi, è partito per il viaggio più importante della sua vita. Non penso sappia che vi sto scrivendo, ma questa storia è ancora in corso.

Da Castelnuovo è passato per Alba, ha proseguito per Santo Stefano al Mare, per continuare poi lungo tutta la costa francese e spagnola, e prendere il traghetto che lo avrebbe portato in Marocco. Da lì, sempre in bicicletta, ha proseguito per la Mauritania, il Senegal, la Guinea Bissau, la Sierra Leone, la Liberia, la Costa d’Avorio fino ad arrivare, con molta calma e serenità, dov’è ora, in Camerun, passando anche per la Nigeria, con l’obiettivo di arrivare alle coste del Sud’Africa. Grazie al nostro don Bosco, è stato più volte ospitato presso le strutture salesiane africane che ha incontrato lungo la sua strada. Un’esperienza preziosa, pur nell’impossibilità di paragonarlo al “viaggio al contrario”, l’ha portato a sentirsi l’altro, lo straniero, che si è messo in discussione come una volta nella vita dovremmo fare tutti. Come sostiene anche lui, la non conoscenza porta istintivamente a chiudere le porte, a minimizzare i contatti. L’esercizio sta proprio nel provare l’opposto, ad aprirsi e ad accogliere. Questo è proprio il segreto della felicità. Si può sopravvivere di quello che si riceve, ma si vive di quello che si può donare. Questa è una grande lezione di Mamma Africa. Ecco uno dei suoi ultimi post pubblicati sulla sua pagina A-Roun About (https://m.facebook.com/aroundabout2018). ‹‹Sono su una nave che mi sta accompagnando fuori dalla Nigeria, verso nuovi mondi. E ho una parola in mente: accoglienza. Di cosa necessita una persona che arriva in un luogo a lui sconosciuto, da una situazione difficile, magari con un lungo viaggio alle spalle? Probabilmente ha fame, deve riposare, o ha freddo. Ma soprattutto ha bisogno di qualcuno che gli scaldi il cuore, magari che gli rivolga la parola e gli regali un sorriso. Non voglio assolutamente paragonare la mia esperienza con il viaggio che migliaia di anime intraprendono verso un nuovo mondo e una nuova speranza su camion derelitti e barche fatiscenti. Eppure, nel mio piccolo e per pochi giorni soltanto, ho percepito per la prima volta, nella mia fortunata vita, cosa voglia dire sentirsi esclusi, essere l’altro, senza un’apparente ragione, se non magari il colore della pelle. Ho cercato lo scambio, ho inviato sorrisi. Bianco. Sono stato allontanato e mi hanno urlato contro. Nero. E ho provato freddo al cuore. L’unico modo che ho per proseguire nel viaggio è attraverso l’accoglienza, sentendomi benvoluto e mai abbandonato. Umanità. È sempre stato così nei miei giorni africani, dove siamo tutti uomini, tutti uguali. Questa magia si è interrotta per pochi giorni, ma già ora ha ripreso a funzionare. Pochi giorni sono stati sufficienti per mostrarmi la necessità dell’accoglienza, per poter essere tutti umani e sentirsi tutti insieme in questo mondo›› - Martina (Lettera pubblicata da FC n. 7 del 17 febbr. 2019).

 
 
 

Che vergogna!

Post n°2938 pubblicato il 21 Febbraio 2019 da namy0000
 

Mentre le scrivo queste parole, mi sento fortemente egoista. Ci sono nostri fratelli e sorelle in balia delle onde e dei capricci d politicanti razzisti e ignoranti. E io chiedo loro scusa perché ho un tetto che mi protegge dalle intemperie e non ho nessuno alle calcagna che mi perseguiti per i miei credi religiosi e politici o per il colore della mia pelle. Perdonatemi, ma ora non riesco a trattenere più la rabbia e la frustrazione, comune a gran parte dei miei coetanei, nati negli anni 1980.

Abbiamo studiato, abbiamo raggiunto alte vette, siamo laureati, specializzati, con dottorato di ricerca e con master. Siamo spesso stati studenti Erasmus, abbiamo vissuto un clima di apertura e collaborazione all’Europa. Abbiamo imparato perfettamente altre lingue e collaborato con prestigiose università straniere. Ma, a meno di non fuggire a gambe levate dal nostro Paese, tutto questo in Italia non basta.

Possiamo fare facilmente lavori per i quali non è prevista la laurea, ma ogni qualvolta aspiriamo a qualcosa di più, dobbiamo superare concorsi su concorsi, selezioni su selezioni. E anche qualora abbiamo il merito di vincere un concorso pubblico, siamo sempre dei poveri precari, a cui rinnovano il contratto di 8 o 9 mesi per volta, senza possibilità di sapere se mai si verrà stabilizzati. Chi ha già avuto dei figli si trova a dover spostare l’intera famiglia nella sede di destinazione per soli 9 mesi, poi tornare a casa, pregare per il rinnovo, spostarsi nuovamente, ritornare a casa, attendere e rispostarsi.

Non so, forse non siamo temprati nell’acciaio, ma io trovo tutto questo estremamente destabilizzante per il lavoratore e la sua famiglia, in genere con bimbi piccoli, costretti continuamente a cambiare scuola e ambiente. Chi, come me, i figli li vorrebbe, non può avere questa aspirazione. Come si fa, se ci si vede con il proprio marito o compagno per due giorni scarsi a settimana? Come si può programmare un futuro sapendo che non si sa dove ci si troverà di lì a pochi mesi? Come si può, già in partenza, privare il padre dello stare con i figli e con la propria moglie? Dov’è qui l’idea di famiglia, di condivisione del quotidiano? Perché la mia vita deve svolgersi lontana dal mio compagno? Mi si potrà dire perché non c’è lavoro e bisogna accontentarsi. Il lavoro c’è, ma ci sono dirigenti che decidono per te.

L’anno scorso ho chiesto un trasferimento per il quale il mio dirigente non ha concesso il nulla osta. Non ha mai risposto alla richiesta, nonostante i solleciti. Un capriccio, un mero capriccio senza giustificazione. Quest’anno sarà la stessa cosa, dovrò stare nuovamente da sola, lontana da casa e dal mio compagno, lontano dalla mia famiglia. Ho iniziato ad avere attacchi di panico e crisi depressive al solo pensiero di riprendere servizio nella sede dell’anno scorso. Dopo tutti i sacrifici che abbiamo fatto per studiare e fare esperienza, dopo l’impegno economico che abbiamo richiesto ai nostri familiari, ritengo che questo non sia un bel trattamento. Alla soglia dei 40 anni, dopo gli studi e le esperienze intraprese, vorremmo solo poter avere dei figli e una famiglia, vorremmo poter contare su uno stipendio minimo, ma stabile, vorremmo non doverci continuamente spostare, continuamente dimostrare che sì, siamo bravi e con esperienza perché ci siamo sempre impegnati. Vorremmo che le nostre vite non dipendessero dagli egoismi, le gelosie e le ripicche tra dirigenti. L’Italia non è il paese adatto per la mia generazione. Ho resistito finora, ma credo che sia giunto il momento di andare via. Anzi, è già tardi, sono già vecchia. Perdoni lo sfogo – Lettera firmata (Lettera pubblicata da FC n. 7 del 17 febbr. 2019).

 
 
 

Un movimento nuovo

Ad agosto, una ragazza svedese di 16 anni ha cominciato una protesta contro il cambiamento climatico, dando vita a un movimento a cui partecipano migliaia di suoi coetanei in molti paesi.

Il messaggio di Greta Thunberg al mondo ha raggiunto Davos un giorno prima di lei. Infatti Greta è ancora in treno, visto che ci vogliono 32 ore per attraversare l’Europa da un capo all’altro, e discutere di cambiamento climatico al Forum economico mondiale. Il messaggio l’ha registrato prima di partire, su una piazza davanti al parlamento svedese, a Stoccolma. Si vede lei, Greta, una ragazza di 16 anni infagottata in una giacca a vento bordeaux. Le sue lunghe trecce quasi scompaiono sotto il berretto e la sciarpa di lana. Le sue parole sono accompagnate da nuvolette di fiato gelato: “C’è chi dice che la crisi del clima l’abbiamo provocata tutti quanti. Ma è solo una comoda bugia. Perché quando tutti sono colpevoli, nessuno è colpevole. Invece di colpevoli ce ne sono, eccome”. Greta ha postato su Twitter questo video mentre era ancora in viaggio, una ragazzina in uno scompartimento ferroviario.

Al Forum economico mondiale, il vertice che ogni anno riunisce a Davos, in Svizzera, i leader economici e politici di tutto il mondo, il nome di Greta Thunberg non è tra quelli degli oratori in scaletta. Ma Jennifer Morgan, direttrice di Greenpeace, ha insistito perché il messaggio della ragazza arrivasse lo stesso ai partecipanti e scorresse su uno schermo nel centro congressi di Davos. Ottenerlo, spiegherà Morgan più tardi, non è stato facile: “Io però ho cercato di dirglielo chiaro e tondo; che figura ci fa il Forum di Davos a concedere la parola a Bolsonaro e negarla a una sedicenne che ha addirittura fatto partire un movimento?”.

Greta lancia accuse implacabili. Questa studente svedese è riuscita dove organizzazioni enormi come Greenpeace hanno fallito. Ora migliaia di adolescenti seguono il suo esempio e scendono in piazza per ricordare agli adulti le loro responsabilità in materia di cambiamento climatico.

La ragazza ha il volto coperto di lana a eccezione di una fessura per gli occhi quando, la sera del 23 gennaio, sale fin sulla Schatzalp, partendo da una delle tende dell’Arctic basecamp. Sì, perché trecento metri sopra la promenade di Davos, nel freddo glaciale, alcuni ricercatori della Lancaster university che studiano il clima dei poli hanno allestito un accampamento. Da lì illustrano il loro lavoro, e i risultati delle loro ricerche sono allarmanti. Ma la maggior parte dei venti giornalisti presenti, che cercano di scaldarsi con l’aiuto di bracieri, sta aspettando Greta.

Il 20 agosto 2018, quando era andata in piazza per protestare contro il cambiamento climatico, il mondo non le aveva prestato attenzione. Era rimasta seduta da sola davanti al parlamento svedese. Accanto aveva un cartello su cui aveva scritto a mano le parole: skolstrejk für klimatet, sciopero scolastico per il clima, più una pila di volantini che dicevano: “Di solito noi ragazzi non facciamo quello che gli adulti ci dicono di fare: li imitiamo. E visto che voi cagate sul mio futuro, ci cago anch’io”.

Il giorno dopo c’erano altri ragazzi seduti accanto a lei. Quello è stato l’inizio. Da allora, ogni venerdì gli studenti scendono in piazza in Germania, in Italia, nel Regno Unito, in Uganda, in Australia e negli Stati Uniti, sotto ‘hashtag ♯FridaysForFuture. Ora tutto il mondo vuole sapere chi è quella ragazza che è riuscita da sola a mobilitare le masse.

Dopo aver ottenuto dalla scuola una giustificazione per la sua assenza dovuta all’invito a Davos, Greta ha raggiunto la destinazione del suo viaggio. Ha l’aria stanca, e alle domande dei giornalisti risponde a bassa voce e a monosillabi.

Trascorre la prima notte all’aperto, in compagnia dei ricercatori. È un’avventura, dice: “C’è chi arriva a Davos a bordo di un aereo privato e dorme in alberghi di lusso. Altri arrivano in treno e dormono in tenda”. Ma non sente un po’ freddo, visto che siamo 18 gradi sotto lo zero? “Sì, sono un tantino preoccupata”, risponde Greta con un sorrisetto… “I giovani più di tutti dovrebbero rendersi conto che se non si fa qualcosa – prestissimo, adesso, subito – il loro futuro è a rischio”, dice… “Un giornalista belga mi ha appena detto che oggi a Bruxelles 35.000 studenti hanno partecipato alla protesta! Grandi!”.

A un certo punto però riusciamo ad acciuffare Greta per parlarci un quarto d’ora. “Visto che baraonda, Greta?”.

“Questi vertici sono sempre frenetici, ma l’interesse nei miei confronti non durerà a lungo”. “Perché pensi questo?”. “Perché è sempre così”. …

Greta Thunberg aveva 11 anni quando i medici le hanno diagnosticato la sindrome di Asperger, una forma di autismo. … “Se non avessi l’Asperger, se non fossi così strana, forse sarei rimasta impigliata in questo gioco di società che appassiona tanto gli altri”. Quando Greta parla della sindrome di Asperger, sembra quasi che i disturbi dello spettro autistico possano essere delle armi di protesta politica nel ventunesimo secolo.

Per Greta, tutto è cominciato con un documentario sui rifiuti di plastica presenti nel mare. Quando l’hanno proiettato a scuola, anni fa, quel documentario l’ha sconvolta. Ha pianto molto, parlato poco, e a un certo punto ha addirittura smesso di mangiare, tanto che i suoi genitori, su consiglio di uno psicologo, hanno cominciato a prender nota di quanto cibo mangiava e quanto impiegava a farlo. “Colazione: un terzo di banana in 53 minuti. Pranzo: cinque gnocchi in due ore e dieci minuti”. In seguito, la madre di Greta, nota cantante d’opera, ha pubblicato un libro intitolato Scener ur hjärtat (scene dal cuore). Nel libro la mamma di Greta ha scritto che le immagini dei rifiuti di plastica in mare si sono impresse sulla retina di sua figlia come un marchio a fuoco. E che, da allora, Greta vede ciò che gli altri non vogliono vedere. …

“Greta, ti fa innervosire quando ti attaccano sui social network?”.

“Succede. La gente sparge voci sul mio conto. Chiaro, la cosa mi disturba un po’. ma dimostra anche che sta succedendo qualcosa da cui la gente si sente minacciata. E questo è un bene”. … “Noi non andiamo a mendicare la comprensione dei politici. In passato ci hanno ignorato e continueranno a farlo. Ma le cose cambieranno, che gli piaccia o no”. … Greta si è sfilata dalle spalle le bretelle dei pantaloni rosa da sci e ha i capelli tutti spettinati. Beve un sorso dalla sua borraccia, mangia fragole e sembra una bambina parcheggiata lì dai genitori.

Alla fine, quando il moderatore del dibattito le si avvicina e le chiede se le va di aggiungere qualcosa, Greta si alza in piedi senza esitazione e ripete un passo del suo messaggio a Davos: “C’è chi dice che la crisi del clima l’abbiamo provocata tutti quanti. Ma è solo una comoda bugia…”.

Racconta che sua madre ha rinunciato alla carriera per non dover più volare. E suo padre, un attore, da 6 mesi mangia vegano, e l’accompagna a ogni conferenza: anche qui a Davos. …

Chiude con queste parole: “Gli adulti dicono sempre: ‘Abbiamo il dovere di dare una speranza ai giovani’. Io, però, la vostra speranza non la voglio. Non voglio che siate ottimisti, voglio che vi prenda il panico. Voglio che proviate la paura che provo io ogni giorno. E poi voglio che passiate all’azione. Voglio che facciate come se casa vostra andasse a fuoco. Perché sta andando a fuoco”.

Lei sparisce a un angolo di strada, dietro i giornalisti e i fotoreporter. Lì si è radunato un gruppetto di studenti svizzeri. Due ragazze cercano di arrampicarsi su un muro e di mettersi in posa per i fotografi. Qualche studente si fa un selfie ridendo. In mezzo a loro c’è Greta, seduta per terra tra la neve, seria e muta, come fosse sotto vetro, e strizza le palpebre per il sole. Passa una signora che fa jogging in pelliccia nera. È costretta a evitarla, scuote il capo e ride sprezzante: “Ach, Grrrrretttta, Grrrrretttta, Grrrrretttta”.

Il treno parte da Davos il pomeriggio del 25 gennaio. Alcuni passeggeri stanno filmando dai finestrini le montagne innevate. Non fanno attenzione alla ragazza con le trecce seduta accanto.

“Spesso mi sento dire: ‘Quanto sei brava, quanto sei coraggiosa’. Ma in realtà io sono timida. È per questo che davanti al parlamento ero seduta da sola. Se non fossi così timida sarei entrata a far parte di qualche organizzazione insieme ad altri ragazzi. Ma siccome non sono capace, preferisco fare da sola”. (Internazionale n. 1293 del 8 Febbr. 2019).

 
 
 

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