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CAMINO MONFERRATO - 10
Post n°1945 pubblicato il 17 Luglio 2015 da anonimo.sabino
La lettura dei grandi convertiti mi confermò che il loro mistico salto nel buio era al massimo una superficiale avventura intellettuale, quando non era un salto nell’angoscia, come dimostravano il pensiero e la vita di Kierkegaard e di Pascal, che io vedevo non usciti ma entrati nella disperazione; a parte la considerazione che, se fossero nati altrove, il loro salto nel buio li avrebbe gettati in braccio a Confucio o a Maometto. Li lasciai perdere. Cominciamo da Dio che si rivela… Come? Facendo un figlio. Dio, l’Immenso, l’Eterno, che a un certo punto (perché proprio e solo a quel punto?) fa un figlio… Ed ha un nome, Gesù… Incredibile ma vero. Sentivo e leggevo che la fede cristiana aveva solide fondamenta razionali: san Tommaso, il teologo di sinistra che aveva accettato il razionalismo arabo, aveva trovato ben cinque vie per dimostrare l’esistenza di Dio; e che il figlio di Dio si fosse incarnato era dimostrato dalle profezie che l’avevano preannunciato e dai miracoli che Dio ha sempre compiuto e ancora compie attraverso Cristo e i suoi santi. Oh, verifichiamo, dunque! Se la rivelazione è razionalmente evidente, perché tutto il cristianesimo si è sempre affannato a inculcare la fede cieca e a reprimere il dubbio, anziché spingere alla verifica? Tutti i miei compagni passavano come me per la strada del dubbio; che occorreva soffocare attraverso la preghiera, l’umiltà, la mortificazione. Virtù significava abitudine a vivere la fede senza discuterla e coltivarla come virtù si traduceva in un esercizio di volontà sostitutivo dell’intelletto: il “beato chi crede senza vedere”. E la nostra vita di mortificazione e di rinuncia non aveva lo stesso scopo, di uccidere la nostra capacità critica? Dei miei studi paralleli non facevo mistero, pur astenendomi dal manifestare conclusioni o dissensi: i Padri me lo raccomandavano ed io, già abituato alle censure, non stavo a discuterne i motivi. Tutto mi portava a uno studio sistematico delle origini del cristianesimo. E mi accorsi subito che la letteratura sovrabbondava, mentre i documenti scarseggiavano; e scarseggiavano perché erano stati eliminati, affinché li sostituisse una pletorica produzione didascalica, denominata “patristica”, impegnatissima a spiegare per coprire il mistero e correggere l’errore. Mai mi imbattevo in un passo che apparisse impegnato a documentare. Sembrava anzi che tutti i documenti, non solo le testimonianze pagane, ma anche quelle paleocristiane, fossero stati oggetto della cristiana damnatio memoriae, perché la fede trionfasse sul dubbio, ossia sulla ragione. |
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