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Messaggi del 19/05/2020

Un pulsar micidiale....

Post n°2949 pubblicato il 19 Maggio 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

12 MAG 2020 UNA PULSAR MICIDIALE IN M92 

Posted at 16:04h in AstronewsGRB, pulsar, stelle di neutroni,

Fast Radio Bursts e fenomeni estremi by Barbara Bubbi .

È uno degli oggetti più estremi e terrificanti del cosmo ed è stata

individuata all'interno dell'ammasso globulare Messier 92, situato

a circa 26.000 anni luce da noi.

Si tratta di una pulsar redback, una stella di neutroni in rapidissima

rotazione che cannibalizza una stella compagna, tanto da portarla

alla totale distruzione.

Utilizzando dati del telescopio FAST (Five-hundred-meter Aperture

Spherical radio Telescope), un team guidato da PAN Zhichen e LI Di

del National Astronomical Observatories of the Chinese Academy of

Sciences (NAOC) ha scoperto una pulsar millisecondo in un sistema

binario a eclisse, situato nell'ammasso stellare M92.

Da quando, nel 1967, è stata scoperta la prima pulsar, gli astronomi ne

hanno individuate centinaia nella nostra galassia.

In particolare sono state scoperte fino ad oggi 157 pulsar in una trentina

di ammassi globulari, raggruppamenti sferoidali di antiche stelle in orbita

attorno alla Via Lattea. La pulsar, chiamata PSR J1717+4307A o M92A,

è il primo oggetto di questo genere individuato nell'ammasso globulare

M92 e ha un periodo di rotazione di 3,16 millisecondi.

La stella compagna ha una massa 0,18 volte quella solare e il sistema

binario ha un periodo orbitale di appena 0,2 giorni.

M92A è stata individuata per la prima volta il 9 Ottobre 2017 da FAST,

attualmente il radiotelescopio ad antenna singola più grande al mondo,

tre volte più sensibile rispetto a quello dell'Osservatorio di Arecibo.

Nell'immagine l'ammasso globulare Messier 92 CREDIT ESA/Hubble

Un sistema binario a eclisse è costituito da due stelle in orbita

l'una attorno all'altra che, viste dalla Terra, si vengono a trovare

periodicamente una davanti all'altra, eclissandosi.

Nel caso specifico, questa binaria a eclisse è formata da una pulsar

e da una piccola stella, la cui massa si sta riducendo notevolmente

per la presenza della scomoda e implacabile vicina.

Le pulsar derivano dalla morte esplosiva di stelle massicce: sono

dense stelle di neutroni in rapida rotazione, la cui radiazione

elettromagnetica in fasci ristretti, simili a quelli di un faro, è osservata

come impulsi emessi ad intervalli molto regolari.

Tra questi oggetti così straordinari, le pulsar millisecondo sono quelle

che ruotano con eccezionale rapidità, centinaia di volte al secondo.

Si ritiene che aumentino il loro tasso di rotazione sottraendo materiale

da una stella compagna.

In effetti, dal momento che l'orbita è così stretta, la pulsar divora via via

materia dalla malcapitata stella vicina.

Un sistema binario di questo tipo viene chiamato redback, dal nome del

velenosissimo ragno dalla schiena rossa, la cui femmina tende a divorare il

compagno dopo l'accoppiamento.

La pulsar, in effetti, cannibalizza la sua compagna, sottraendole massa fin

quasi a farla scomparire.

Inoltre, ad ogni rotazione, la temibile stella di neutroni rotante dirige il suo

fascio di radiazioni ad alta energia verso la compagna, quasi fosse un raggio

mortale che disgrega via via la sventurata vicina.

Lo studio è pubblicato su Astrophysical Journal Letters.

Nell'immagine impressione artistica di una pulsar binaria
Copyright NASA/Dana Berry

 
 
 

Notizie sul Sole....

Post n°2948 pubblicato il 19 Maggio 2020 da blogtecaolivelli

 Fonte: articolo riportato dall'Internet
03 MAG 2020 UN SOLE MITE PER LA NOSTRA TERRA

Posted at 17:12h in AstronewsSistema SolareSole by Barbara Bubbi  

Analizzando l'attività di centinaia di altre stelle analoghe alla nostra, gli

astronomi hanno scoperto che il Sole, per gli standard cosmici, è sorprendente-

mente tranquillo: le sue variazioni in luminosità sono decisamente inferiori

rispetto a quelle dei suoi compagni stellari.

Sono i risultati di un nuovo studio presentato dai ricercatori del Max Planck

Institute for Solar System Research (MPS), Germania, in via di pubblicazione

su Science.

Per la prima volta gli scienziati hanno confrontato il comportamento del Sole

con quello di centinaia di altre stelle con analogo periodo di rotazione e proprietà

fondamentali simili.

Gran parte delle stelle prese in esame sfoggiano un'attività molto più potente.

Non è chiaro se questa pacatezza del Sole sia un tratto caratteristico della nostra

stella o se riveli un fase quieta cui è andato soggetto il Sole soltanto degli

ultimi millenni.

La variabilità dell'attività solare, e di conseguenza il numero di macchie solari e la

luminosità solare, può essere ricostruita utilizzando vari metodi, almeno lungo un

certo periodo temporale.

Disponiamo, ad esempio, di registrazioni storiche delle macchie solari fin dai primi

anni del XVII secolo; inoltre la distribuzione di elementi radioattivi negli anelli

degli alberi e nei carotaggi del ghiaccio ci consente di trarre conclusioni sul livello

di attività solare negli ultimi 9.000 anni.

Per quanto riguarda questo periodo di tempo, gli scienziati hanno individuato fluttua-

zioni che ricorrono regolarmente di forza comparabile, come durante gli ultimi decenni.

"Tuttavia, paragonati all'intera durata di vita del Sole, 9.000 anni valgono quanto

un battito di ciglia", afferma Timo Reinhold, primo autore dello studio.

"È plausibile che il Sole sia andato incontro a una fase quieta per migliaia di anni e che

pertanto abbiamo una visione distorta della nostra stella".

Dal momento che non c'è modo di scoprire quanto fosse attivo il Sole nei precedenti

milioni di anni, gli scienziati hanno bisogno di rivolgere la loro attenzione ad altre

stelle simili, per verificare se il comportamento del Sole sia più o meno "normale".

Gli astronomi hanno selezionato stelle candidate che assomigliano al Sole per quanto

riguarda alcune proprietà significative, come la temperatura superficiale, l'età, la

proporzione di elementi più pesanti di elio e idrogeno, il periodo di rotazione.

"La velocità a cui una stella ruota attorno al proprio asse è una variabile fondamentale",

spiega Sami Solanki, coautore dello studio.

La rotazione di una stella contribuisce alla creazione del suo campo magnetico grazie

ai processi che si vengono a creare nel suo interno.

"Il campo magnetico è la forza motrice responsabile di tutte le fluttuazioni nell'attività",

continua Solanki.

Lo stato del campo magnetico determina quanto spesso il Sole emetta radiazione energetica

e spedisca particelle ad alta velocità nello spazio durante violente eruzioni, quanto siano

numerose le macchie solari e le regioni luminose sulla superficie solare.

Dal 2009 al 2013 il telescopio Kepler della NASA ha registrato le fluttuazioni in

luminosità di circa 15.000 stelle di sequenza principale.

I ricercatori hanno analizzato questo vasto campione, selezionando quelle stelle

il cui anno dura tra 20 e 30 giorni.

Utilizzando dati del telescopio Gaia dell'ESA, il campione è stato ulteriormente

ridotto, fino ad arrivare a un totale di 369 stelle che assomigliano al Sole anche

per quanto riguarda altre proprietà fondamentali.

L'analisi precisa delle variazioni in luminosità di queste stelle dal 2009 al 2013

rivela un quadro piuttosto chiaro.

Mentre l'irraggiamento solare tra fasi attive e inattive oscilla in media di appena

lo 0,07 percento, le altre stelle presentano variazioni molto più ampie, tipicamente

5 volte più incisive.

"Siamo rimasti molto sorpresi del fatto che gran parte delle stelle simili al Sole siano

così tanto più attive rispetto alla nostra stella", spiega Alexander Shapiro, tra gli

autori dello studio.

Tuttavia, non è possibile determinare il periodo di rotazione per tutte le stelle

osservate dal telescopio Kepler.

Per ottenere questo risultato, gli scienziati devono scoprire certi cali di luminosità

periodici nella curva di luce stellare, che possono essere ricondotti al passaggio

periodico di macchie stellari dal punto di vista del telescopio.

"Per molte stelle simili cali di luminosità periodici non possono essere rilevati;

vengono perduti nel rumore dei dati e in fluttuazioni di luce sovrastante", spiega

Reinhold.

I ricercatori, pertanto, hanno anche studiato oltre 2.500 stelle simili al Sole con

periodi di rotazione ignoti, le cui fluttuazioni in luminosità sono risultate molto

inferiori rispetto a quelle dell'altro gruppo.

È possibile che esista una differenza ancora inspiegabile tra i due gruppi di stelle

presi in esame.

Oppure può essere che la nostra stella sia rimasta insolitamente tranquilla negli ultimi

9.000 anni e che, su scale temporali molto più vaste, sia andata soggetta a fluttuazioni

di luminosità ben più ampie.

Nell'immagine il Sole ripreso nell'estremo ultravioletto dalla sonda SDO della NASA

Credits: NASA/SDO

https://www.mps.mpg.de/6541879/news_publication_14769465_

transferred?c=2169

 
 
 

Notizie da Europa....

Post n°2947 pubblicato il 19 Maggio 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet
03 MAG 2020 LA SUPERFICIE DI EUROPA AL MICROSCOPIO 

Posted at 15:28h in AstronewsLune e satellitiSistema Solare by Barbara Bubbi 

La luna di Giove Europa è uno dei luoghi del Sistema Solare in cui con maggiore

probabilità potrebbero prosperare forme di vita elementare, data la presenza di un

vasto oceano sotto la crosta ghiacciata.

 Eppure le caratteristiche superficiali del satellite non sono meno interessanti: il

paesaggio variegato delle formazioni include crepe, striature, cupole derivanti da

moti di sollevamento, avvallamenti, regioni caotiche dovute forse alla solidificazione

di acqua salata fuoriuscita attraverso i ghiacci della crosta.

Tre immagini riprese dalla sonda Galileo oltre due decenni fa sono state riprocessate

dagli scienziati, svelando così la movimentata superficie di Europa con

straordinario dettaglio.

Le immagini potranno tornare utili per programmare la futura missione

Europa Clipper della NASA, il cui lancio è previsto nei prossimi anni.

La missione studierà il satellite mediceo grazie ad una serie di fly-by

durante la sua orbita intorno a Giove.

"Abbiamo osservato soltanto una parte molto piccola della superficie di

Europa con questa risoluzione.

La sonda Europa Clipper aumenterà immensamente le aree osservate",

afferma Cynthia Phillips del Jet Propulsion Laboratory della NASA.

Tutte e tre le riprese sono state acquisite da Galileo durante un passaggio

ravvicinato ad Europa, nel Settembre 1998.

Le immagini rivelano formazioni estese fino a 460 metri e sono state

riprese con un filtro in scala di grigio.

Utilizzando immagini a colori a più bassa risoluzione della stessa regione,

riprese durante un altro flyby, i tecnici hanno mappato i colori nelle

immagini a maggiore risoluzione.

Le riprese a colori arricchiti permettono agli scienziati di evidenziare le

formazioni geologiche e le varie composizioni chimiche della superficie.

Le aree che appaiono in azzurro chiaro o in bianco sono composte

principalmente di ghiaccio d'acqua puro, mentre le aree rossastre rivelano

la presenza di materiali differenti, come i sali.

Studiare le riprese consente agli scienziati planetari di ricavare informazioni

sull'età della superficie di Europa, molto più giovane rispetto alla luna stessa,

che si è formata insieme al Sistema Solare circa 4,6 miliardi di anni fa.

La superficie di Europa è, in effetti, tra le più giovani del nostro sistema,

con età media tra 40 e 90 milioni di anni.

Si ritiene che le creste e le bande lunghe e lineari che attraversano la superficie

siano in relazione agli effetti della possente gravità di Giove, in grado di

modificare la struttura della crosta ghiacciata.

Le creste possono nascere quando si apre e si chiude ripetutamente una frattura

superficiale, andando a formare una struttura tipicamente alta poche centinaia

di metri ed estesa qualche chilometro.

Le bande sono invece aree in cui le fratture continuano ad allargarsi orizzontal-

mente, producendo formazioni ampie e relativamente piatte.

Le cicatrici superficiali caratteristiche chiamate "chaos terrain" contengono

blocchi di ghiaccio staccati, spostati e ricongelati in nuove posizioni.

Proprio in queste zone le osservazioni del telescopio Hubble hanno rivelato

la firma spettrale del cloruro di sodio.

Simili regioni si sono formate più recentemente rispetto al resto della superficie

di Europa, e l'individuazione di sali nella zona rappresenta un'ulteriore conferma

della possibile risalita di liquidi sottostanti.

La Terra e, probabilmente, la luna di Saturno Encelado presentano oceani

contenenti sali di cloruri, e camini idrotermali nelle profondità oceaniche.

Pertanto, se anche Europa vanta un oceano sotterraneo ricco di cloruro di sodio,

forse ospita sorgenti idrotermali in cui potrebbero prosperare forme elementari

di vita extraterrestre.

Le immagini sono visibili qui https://go.nasa.gov/2WoHg0

 
 
 

Marte era abitabile miliardi di anni fa...

Post n°2946 pubblicato il 19 Maggio 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall' Internet
01 MAG 2020 ANTICA ABITABILITÀ MARZIANA
RIVELATA DA UN METEORITE 

Posted at 18:01h in AstronewsPianetiSistema Solare by Barbara Bubbi 

Un team di astronomi giapponesi, utilizzando tecniche avanzate, ha

individuato composti organici contenenti azoto in un meteorite marziano

risalente a circa 4 miliardi di anni fa.

La scoperta suggerisce un ambiente umido e ricco di molecole

organiche per l'antico Marte, che in quella remota epoca potrebbe essere

stato adatto ad ospitare forme di vita.

Il team, guidato da Atsuko Kobayashi del Tokyo Institute of

Technology e da Mizuho Koike della Japan Aerospace Exploration

Agency, ha scoperto il materiale organico in minerali carbonati

all'interno di un meteorite marziano, parte di una roccia

spaziale che è precipitata sulla Terra circa 15 milioni di anni fa.

Le tracce di composti organici si sono preservate intatte e risalgono

all'era Noachiana del Pianeta Rosso.

Il Noachiano, compreso tra 3,7 e 4,1 miliardi di anni fa, è stato

caratterizzato da un'elevata frequenza di impatti di meteoriti e

 asteroidi e dalla probabile presenza di abbondante acqua sulla

superficie marziana.

La scoperta, in effetti, suggerisce un ambiente umido e ricco di

materiali organici sull'antico Marte, che in quella lontana epoca

potrebbe essere stato adatto a ospitare forme di vita.

Anche se recenti studi basati sulle esplorazioni dei rover che

hanno esplorato la superficie marziana suggeriscono forti

evidenze della presenza di composti organici, si san ben poco

della loro provenienza, della loro età e della loro possibile

relazione con attività biochimica.

Le meteoriti marziane rappresentano pezzi della superficie di

Marte che sono stati espulsi nello spazio in seguito a impatti

meteorici, e che infine hanno raggiunto la Terra.

Simili materiali possono fornire indizi fondamentali sulla

storia del pianeta.

Un meteorite in particolare, chiamato Allan Hills (ALH) 84001

dalla zona dell'Antartide in cui è stato scoperto nel 1984, si è

rivelato particolarmente importante: contiene minerali carbonati

color arancio, derivanti dalla precipitazione di acqua salata

sulla zona sub-superficiale di Marte avvenuta 4 miliardi di anni fa.

L'azoto è un componente fondamentale delle molecole organiche

più importanti dal punto di vista biochimico, ed è presente anche

nel DNA, nell'RNA e nelle proteine.

Non era mai stato individuato prima in ALH84001.

Analisi precedenti di questo meteorite presentavano, in effetti,

l'inconveniente della possibile contaminazione di materiale terrestre

dovuto alla presenza di nevi e ghiacci antartici.

Per evitare questo problema, il team ha sviluppato una combinazione

di tecniche innovative di preparazione dei campioni in laborarorio.

Un procedimento chiamato Nitrogen K-edge micro X-ray Absorption

Near Edge Structure (μ-XANES) ha poi permesso agli scienziati di

rilevare azoto presente in quantità molto piccole nei minuscoli granelli

di carbonato estratti dal meteorite.

L'attuale suolo marziano è troppo estremo perché possano

sopravvivere gran parte dei composti organici.

Tuttavia, secondo gli scienziati simili molecole si sono preservate

nei pressi della superficie per miliardi di anni.

Ma quale potrebbe essere l'origine di questi composti fondamentali

per la vita che conosciamo? "Ci sono due principali possibilità: provengono

da Marte o sono arrivati dall'esterno sul Pianeta Rosso.

Nel periodo del Sistema Solare primordiale Marte subì una pioggia

di asteroidi e comete,in grado di portare con sè quantità significative

di materiale organico.

Parte di questo materiale potrebbe essere rimasto intrappolato all'interno

dei carbonati",spiega Kobayashi.

Ma l'altra possibilità è che i composti organici contenenti azoto siano

stati prodotti in situ.

Qualsiasi sia la spiegazione, le scoperte evidenziano la presenza di azoto

organico su Marte prima che diventasse il pianeta arido e inospitale che

conosciamo oggi.

E suggeriscono quindi, insieme alle altre evidenze trovate dagli scienziati

analizzando la composizione chimica marziana, che il Pianeta Rosso fosse

in un tempo lontano molto più simile alla Terra di quanto possiamo

immaginare.

Nell'immagine impressione artistica di come Marte potrebbe essere

stato oltre 3 miliardi di anni fa

Credit: ESO/M. Kornmesser/N. Risinger (skysurvey.org)

https://eurekalert.org/pub_releases/2020-04/tiot-4no042720.php

 
 
 

Scontro di una stella con un buco nero..

Post n°2945 pubblicato il 19 Maggio 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

24 APR 2020 INCIDENTE QUASI MORTALE CON UN BUCO NERO

Posted at 22:37h in AstronewsBuchi neriChandraStelle by Barbara Bubbi 

Una stella gigante rossa si avvicina pericolosamente a un buco nero con massa

40.000 volte quella solare, tanto da vedersi strappare via gli strati gassosi esterni.

Nonostante il devastante incontro ravvicinato, il nucleo stellare è sopravvissuto

e continua ad orbitare attorno all'oscuro oggetto, soltanto per essere divorato

molto lentamente.

È l'insolito scenario scoperto dagli astronomi nel cuore della galassia GSN 069,

situata a circa 250 milioni di anni luce di distanza da noi.

La straordinaria accoppiata è stata scoperta grazie ai dati dell'osservatorio a raggi X

Chandra e del telescopio XMM-Newton dell'ESA.

Quando la nana bianca è stata catturata dalla stretta gravitazionale del buco nero,

il temibile divoratore cosmico ha strappato via gli strati esterni della stella contenenti

idrogeno, trascinandoli nelle sue fauci e riducendo la stella a un nucleo compatto,

una densa nana bianca.

"In base alla mia interpretazione dei dati in banda X, la nana bianca è sopravvissuta,

ma non è riuscita a sfuggire", spiega Andrew King dell'University of Leicester, che ha

realizzato lo studio.

"Ora è rimasta catturata in un'orbita ellittica attorno al buco nero, compiendo un giro

completo ogni nove ore, più o meno".

Ogni volta che la nana bianca raggiunge il punto dell'orbita più vicino al buco nero

(arrivando fino ad una distanza non oltre 15 volte il raggio dell'orizzonte degli eventi),

il buco nero sottrae materiale alla povera stella.

I detriti stellari entrano a far parte di un disco che circonda il temibile oggetto ed

emettono lampi di raggi X che possono essere rilevati da telescopi come Chandra

e XMM-Newton.

Secondo King, inoltre, durante la danza ravvicinata dei due oggetti vengono emesse

onde gravitazionali.

L'effetto combinato dell'emissione di onde gravitazionali edella variazione in

dimensione della stella, man mano che perde massa, dovrebbe far sì che l'orbita

diventi più circolare e più larga.

Il tasso di massa che va perduta dalla stella diminuisce, via via che aumenta la

distanza tra la nana bianca e il buco nero.

"La stella cercherà di sfuggire al suo destino, ma non c'è scampo.

Il buco nero la divorerà sempre più lentamente, ma non smetterà di cibarsi",

afferma King.

"In linea di massima questa perdita di massa dovrebbe continuare fino a che

la nana bianca non si ridurrà a una perfino inferiore a quella di Giove, nel

giro di centinaia di miliardi di anni.

È davvero un modo estremamente lento e contorto perché l'Universo crei un pianeta!".

Gli astronomi hanno scoperto molte stelle che sono andate incontro a una completa

distruzione dopo essersi avvicinate troppo a un buco nero, ma sono ben pochi i

casi riportati di incidenti mortali sfiorati, in cui la stella probabilmente è sopravvissuta.

Incontri radenti come questo potrebbero essere più comuni rispetto alle collisioni

dirette, ma potrebbero essere difficili da individuare per una serie di ragioni.

In primo luogo, le stelle coinvolte devono essere massicce e sopravvivere a lungo

per completare orbite attorno a un buco nero, in modo che gli astronomi possano

rilevare ripetuti lampi in banda X.

Inoltre i buchi neri giganti, molto più massicci di quello che si annida nella galassia

GSN 069, solitamente divorano del tutto una stella, piuttosto che indurla a percorrere

orbite in cui è costretta a perdere ripetutamente massa.

"In termini astronomici, questo evento è visibile con i nostri attuali telescopi soltanto

per un tempo ridotto, diciamo per duemila anni", afferma King.

"Pertanto, anche se siamo stati straordinariamente fortunati ad aver catturato questo

evento, potrebbero essercene molti altri che non riusciamo a individuare.

Simili incontri devastanti potrebbero rappresentare uno dei vari meccanismi per cui

i buchi neri di queste dimensioni riescono a crescere".

Secondo King la massa della nana bianca è pari ad appena due decimi di masse solari.

Se la nana bianca è il nucleo residuo di una stella gigante che ha perso completamente

i suoi strati esterni di idrogeno, dovrebbe essere ricca di elio, creato dalla fusione di

atomi di idrogeno nel cuore della gigante rossa.

"È straordinario pensare che possiamo dedurre l'orbita, la massa e la composizione

di una piccola stella distante 250 milioni di anni luce da noi".

Lo studio è riportato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.

Nell'immagine rappresentazione artistica del buco nero e della nana bianca
Credit: X-ray: NASA/CXO/CSIC-INTA/G.Miniutti et al.;

Illustration: NASA/CXC/M. Weiss

https://chandra.harvard.edu/press/20_releases/press_042320.html

 
 
 

Un sestetto planetario....

Post n°2944 pubblicato il 19 Maggio 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

19 APR 2020 IL RITMO DI UN SESTETTO PLANETARIO 

Posted at 15:32h in AstronewsEsopianeti by Barbara Bubbi 

Un team internazionale guidato da ricercatori dell'Università di

Ginevra ha scoperto un sistema planetario composto da sei pianeti

in orbita attorno alla stella HD 158259, situata a 88 anni luce da noi.

La caratteristica insolita del sistema è la particolare danza orbitale

condivisa dalla famigliola planetaria: mentre uno dei pianeti percorre

tre orbite, il suo compagno più vicino ne completa circa due.

La stella HD 158259, quasi invisibile ad occhio nudo, è stata osservata

dagli astronomi negli ultimi 7 anni, utilizzando lo spettrografo SOPHIE,

installato al Haute-Provence Observatory nel Sud della Francia.

Un team internazionale di ricercatori guidato dall'Università di Ginevra

ha analizzato centinaia di dati, riuscendo a scoprire che attorno alla stella

orbitano ben sei pianeti: una super-Terra e cinque mini-Nettuno.

I mondi alieni sono distanziati uno dall'altro in modo sorprendentemente

regolare, offrendo indizi sui meccanismi della loro formazione.

Lo studio, pubblicato su Astronomy & Astrophysics, utilizza anche

osservazioni del telescopio spaziale TESS, che hanno permesso di rivelare

la densità del pianeta più interno.

Grazie ai dati di SOPHIE la velocità radiale della stella è stata misurata

con precisione estrema.

"La scoperta di questo sistema eccezionale è stata resa possibile grazie

all'acquisizione di un gran numero di misurazioni, così come al miglioramento

delle capacità dello strumento e delle nostre tecniche di processamento del

segnale", spiega François Bouchy dell'UNIGE.

"Questo è un gran lavoro e dimostra l'importanza che rivestono i telescopi più

piccoli nel raggiungere progressi nel campo astronomico grazie a ricerche di

elevata qualità, utilizzando vecchi, ma ben equipaggiati osservatori", aggiunge

Paul A. Wilson dell'University of Warwick, tra gli autori dello studio.

I dati hanno rivelato che il pianeta più vicino alla stella e i cinque pianeti esterni

presentano masse di due e sei volte quella terrestre, rispettivamente.

Il sistema è assai compatto, nel senso che la distanza del pianeta più esterno

dalla sua stella è 2,6 inferiore rispetto alla distanza tra Mercurio e il Sole.

Abbiamo scoperto centinaia di sistemi con molteplici pianeti, ma soltanto

una decina di questi contengono sei o più esopianeti.

La presenza del sestetto planetario attorno a HD 158259 rende particolarmente

interessante il sistema, ma non è l'unica caratteristica di rilievo.

Infatti, ciò che rende eccezionale il sistema è la sua regolarità: il rapporto tra i

periodi di due pianeti successivi è prossimo a 3:2.

Questo significa che, quando il primo pianeta, quello più vicino alla stella,

completa tre orbite, il secondo ne compie circa due.

E così via, a due a due, per tutti gli altri pianeti successivi del sistema.

In pratica, i pianeti sono coinvolti in una risonanza orbitale.

Il sistema è particolarmente interessante perché può fornire indizi sui

meccanismi di formazione dei pianeti a partire dal disco di gas e polveri

che circonda una giovane stella.

Non sappiamo ancora con certezza, in effetti, se i pianeti si formino vicino

alla loro posizione finale o se migrino attraverso il sistema dopo

la formazione.

Questo secondo scenario, chiamato migrazione planetaria, potrebbe spiegare

la struttura dei sei pianeti iorbia attorno a HD 158259.

Nell'immagine rappresentazione artistica di un sistema multiplanetario
Credit: NASA/Tim Pyle

https://www.unige.ch/communication/communiques/en/2020/un-systeme

-de-six-planetes-presque-en-rythme/

 
 
 

Cosmo News....

Post n°2943 pubblicato il 19 Maggio 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

21 APR 2020 SCONTRO CATASTROFICO ATTORNO A FOMALHAUT

Posted at 18:47h in AstronewsComete, asteroidi e oggetti minoriStelle

 by Barbara Bubbi  ShareSecondo uno studio basato sui dati del telescopio

Hubble, la collisione titanica tra due corpi ghiacciati in orbita attorno alla

giovane stella Fomalhaut, a 25 anni luce di distanza da noi, ha prodotto una

brillante nube in espansione formata da fini particelle di polveri.

Fomalhaut è un sistema stellare piuttosto vicino a noi, nella costellazione del

Pesce Australe, con un'età di appena 440 milioni di anni, pertanto dieci volte

più giovane rispetto al nostro Sistema Solare.

Un disco di polveri e corpi ghiacciati ampio circa 2 miliardi di chilometri si è

formato a oltre 20 miliardi di chilometri dalla stella. Simili anelli di detriti sono

formazioni comuni attorno a giovani stelle e rappresentano un periodo molto

dinamico e caotico nella storia di un sistema stellare.

Si ritiene che la loro formazione sia dovuta alla collisione tra comete, planetesimi

e detriti rocciosi nelle regioni esterne di un giovane sistema planetario.

"Il sistema Fomalhaut rappresenta un ottimo laboratorio di prova per tutte

le nostre teorie sull'evoluzione degli esopianeti e dei sistemi stellari", afferma

George Rieke dell'University of Arizona.

"Abbiamo evidenze di simili collisioni in altri sistemi, ma non ne è mai stata

osservata alcuna con una simile luminosità.

È un esempio delle conseguenze della distruzione reciproca tra protopianeti".

Illustrazione delle osservazioni di Hubble della nube di polveri Fomalhaut b

dal 2004 al 2013 Credit: NASA, ESA, and A. Gáspár and G. Rieke

(University of Arizona)

Nel 2008 venne annunciata per prima volta la presenza di un oggetto in

orbita attorno alla stella, scoperto sulla base di dati ripresi nel 2004 e nel

2006.

Venne scambiato per un pianeta e catalogato come Fomalhaut b, poiché

era chiaramente visibile in molte osservazioni di Hubble come un puntino

in movimento.

Tuttavia, rimanevano alcune questioni aperte da risolvere.

L'oggetto era insolitamente brillante in luce visibile, ma non presentava

tracce termiche nell'infrarosso.

Gli astronomi ipotizzarono che la luminosità derivasse da un enorme

anello di polvere che circondava l'oggetto, dovuto a una precedente

collisione.

Ben presto, le osservazioni di Hubble rivelarono che probabilmente

l'oggetto non percorreva un'orbita ellittica, come fanno di solito i pianeti.

Immagini del telescopio Hubble del 2014 hanno dimostrato che l'oggetto

era sparito dalla vista, mentre le riprese precedenti evidenziavano che

l'oggetto perdeva progressivamente luminosità.

Gli scienziati hanno dedotto pertanto che Fomalhaut b non era affatto un

pianeta, ma una nube in lenta espansione espulsa nello spazio a seguito di

una collisione tra due grandi corpi celesti.

È stato possibile osservare chiaramente la nube nel 2014, ma attualmente,

essendo formata da minuscole particelle di circa un micron, la nube non

è più visibile perché al di sotto del limite di rilevamento di Hubble.

Si ritiene che la nube si sia già espansa fino a una dimensione maggiore

dell'orbita terrestre attorno al Sole.

"Queste collisioni sono eccezionalmente rare, pertanto è stato un bel colpo

riuscire a vederne una", spiega András Gáspár dell'University of Arizona.

"Il nostro studio, che ha analizzato tutti i dati di archivio di Hubble, incluse

le immagini più recenti, ha rivelato varie caratteristiche che, prese insieme,

suggeriscono che non sia mai esistito l'oggetto di dimensioni planetarie

ipotizzato inizialmente".

Dal momento che Fomalhaut b si trova attualmente all'interno di un vasto

anello di detriti ghiacciati che circonda la stella, i corpi che hanno colliso

erano composti probabilmente da un insieme di ghiaccio e polveri, come

gli oggetti cometari che esistono nella Fascia di Kuiper del nostro Sistema

Solare.

Secondo i ricercatori, ognuno di questi corpi simili a comete misurava circa

200 chilometri e il sistema di Fomalhaut potrebbe sperimentare una collisione

di questo tipo ogni 200.000 anni.

Nell'immagine la giovane stella Fomalhaut, molto più calda del nostro

Sole e 15 volte più brillante
Credit: NASA, ESA, and the Digitized Sky Survey 2, Davide De Martin

(ESA/Hubble)

https://www.spacetelescope.org/news/heic2006/

 
 
 

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Post n°2942 pubblicato il 19 Maggio 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

24 APR 2020 STELLE NATE DALL'ESPLOSIONE DI ALTRE STELLE

Posted at 22:39h in AstronewsStelleSupernove e Novae by Barbara Bubbi 

Secondo un nuovo studio una serie di esplosioni di supernova può provocare

la nascita di nuove stelle nelle regioni esterne di galassie come la Via Lattea,

allontanando e comprimendo il gas necessario, materia prima per la loro

formazione.

"Le nostre simulazioni numeriche particolarmente accurate ci hanno dimostrato

che probabilmente la Via Lattea ha diffuso stelle nello spazio intergalattico grazie

a deflussi gassosi innescati da esplosioni di supernova", spiega James Bullock

dell'University of California, Irvine, tra gli autori dello studio.

"È davvero affascinante, perché quando muoiono molteplici stelle massicce, l'energia

risultante può provocare l'espulsione del gas dalla galassia, gas che poi si raffredda,

permettendo la nascita di nuove stelle".

La distribuzione diffusa di stelle nell'alone stellare che si estende ben al di là del

disco galattico è il luogo in cui cercare le "registrazioni archeologiche" della

galassia.

Per lungo tempo gli astronomi hanno ipotizzato che le galassie si assemblino

nel corso di lunghi periodi di tempo, man mano che raggruppamenti stellari più

piccoli si avvicinano e vengono inglobati nel sistema più grande, un processo

che provoca l'espulsione di alcune stelle lungo orbite più distanti.

Il team, invece, propone un modello innovativo, ipotizzando un meccanismo

detto "supernova feedback", in base al quale l'espulsione di gas dovuta a

molteplici esplosioni stellari è la sorgente da cui si sono formate circa il 40

percento delle stelle dell'alone esterno.

Secondo la prima autrice dello studio, Sijie Yu, le scoperte sono state rese

possibili dalla disponibilità di un nuovo insieme di strumenti.

"Le simulazioni del progetto FIRE-2 (Feedback in Realistic Environments

2) ci permettono di generare moti che riproducono le osservazioni di una

galassia reale", afferma Yu. "Ci dimostrano che, man mano che la galassia

ruota, si sviluppa una bolla creata dal meccanismo di feedback delle supernove,

con stelle in formazione nei suoi bordi.

Sembra quasi che le stelle vengano espulse fuori dal centro".

Ma quella che viene espulsa in realtà è una gran quantità di gas, che si raffredda

e va a formare stelle mentre si dirige verso le regioni esterne.

Le stelle morenti possono emettere venti poderosi, in grado di spazzare via

nello spazio gas e polveri per centinaia di anni luce.

Secondo gli scienziati le conclusioni delle simulazioni sono confermate da una

serie di evidenze osservative del satellite Gaia dell'ESA, dalle quali si ricava

che possono nascere stelle lungo i deflussi gassosi espulsi dal centro galattico.

Il team ritiene inoltre che le stelle formate da questo processo fossero molto

più numerose nei remoti periodi in cui la galassia ha sperimentato episodi

molto attivi di formazione stellare: forse il 20 percento di quelle antiche stelle

si formarono grazie alle bolle gassose prodotte dall'esplosione di molteplici

supernove.

Lo studio è pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.

Nell'immagine una sezione della bella galassia a spirale NGC 891, osservata

di taglio.

La galassia presenta filamenti di polvere e gas che si estendono per centinaia di

anni luce dal piano della galassia verso l'alone, chiaramente visibili contro lo

sfondo luminoso dell'alone galattico stesso.

Gli astronomi ritengono che questi filamenti derivino dall'espulsione di materiale

dovuta a esplosioni di supernova o a intensa attività di formazione stellare.
Credit:ESA/Hubble & NASA

https://news.uci.edu/2020/04/19/milky-way-could-be-catapulting-stars-into-

its-outer-halo-uci-astronomers-say/

 
 
 

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