Creato da carpediem56maestral0 il 23/09/2006

come le nuvole

le guardi e credi di poter parlare di loro, di aver catturato la loro essenza ed ecco che sono altro e ancora altro e non le puoi incasellare, descrivere e neppure toccare...

 

 

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Post N° 360

Post n°360 pubblicato il 25 Giugno 2008 da carpediem56maestral0
 

“L’economia è una cosa troppo seria per lasciarla fare agli economisti” (Pier Peter)

 

 

Tremonti, ha recentemente scoperto come siano tornati di moda,  quasi fossero un nuovo modello di gonna o i colori per le meches della prossima estate, "i poveri".

Con la sua solita genialità creativa ha quindi pensato bene di consegnare loro, ai nuovi derelitti del regno, per di più con l’aggravante “anziani” , una card, che consenta di apparecchiare il desco e pasteggiare a pane e cipolla unici cibi che, con 400 euro al mese, ci si potrà permettere. E questo sempre che l’anziano sia sufficientemente arzillo da sapere che, la “card”, non và utilizzata per pulirsi le unghie.

La repentina scoperta del buon Tremonti mi ha riportato alla memoria qualcosa di maledettamente “vintage”!

Figuratevi che mi ricordo ancora di quando in Italia esistevano i poveri, quelli originali, prima dell’avvento del “benessere”.

In quel tempo lontano, i poveri erano, come solo da poco abbiamo novella consapevolezza, persone in carne ed ossa.   Individuati ed individuabili, consci della loro triste condizione esistenziale.

All’epoca non era uso andare troppo per il sottile nel sottolineare le differenze di censo e di reddito, per cui capitava che, in piena lezione scolastica, interrompendo piacevolmente la monotonia di dettati e tabelline, arrivassero misteriosi pacchi con dentro scarpe o altri beni di prima necessità (credo che il mandante fosse la famigerata "beneficenza").

Da un elenco, la maestra chiamava alcuni bambini che si alzavano e andavano a ritirare gli scatoli.

Inutile dire che, a tutti gli altri , il poter ricevere uno di quei doni, sembrava proprio un invidiabile privilegio.   

Solo più tardi,  a casa, chiedendo alla mamma, si scopriva che quello che avevamo creduto essere un favoritismo era, in realtà, motivo di vergogna.     Significava che un papà e una mamma non erano in grado di comprargliele loro, le scarpe al figlio, significava che quei bambini non erano “come noi”.

In seguito, col diffondersi del benessere e il sopraggiungere della contestazione studentesca, si comprese come, sottolineare, in modo così brutale, le differenze, a maggior ragione tra i bambini, non fosse “cosa buona”.

 

Adesso mi pare che si stia velocemente tornando indietro e che ognuno desideri non essere mischiato con chi, nella scala sociale, stà dietro di lui.    

 

                         

 

P.S.: Piccola nota personale.

Non ho mai dimenticato il sapore delizioso di una fumante pasta e fagioli, mangiata francescanamente (e ai miei occhi di bambina, originalissimamente) in una scodella, di quelle che io usavo per il latte del mattino, e ricordo il soave profumo del panino imbottito al tonno, che costituiva la seconda portata. Per non parlare della tavoletta di cotognata che era il “dessert”. Entrambi li mangiai di “sgarrubbo” quando la maestra di prima elementare, amica di mia madre, mi consentì di pranzare assieme ai bambini “poveri”, nella mensa scolastica loro riservata.

Tornai a casa entusiasta, decantando le lodi di quella pasta, che a casa avrei rifiutato e che, mangiata in refettorio, mi era sembrata roba da gourmet.

 

                                         

 

 

 
 
 
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