Creato da carpediem56maestral0 il 23/09/2006

come le nuvole

le guardi e credi di poter parlare di loro, di aver catturato la loro essenza ed ecco che sono altro e ancora altro e non le puoi incasellare, descrivere e neppure toccare...

 

 

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Post N° 370

Post n°370 pubblicato il 30 Luglio 2008 da carpediem56maestral0

   Per una fetta di anguria gelata

Questo racconto partecipa, in forma condensata e con un finale diverso, all’intrigante iniziativa della infaticabile Elliy. Alias “Tuttiscrittori”.

I

Luciano era steso a terra e Rossella, piegata su di lui sotto un sole impietoso, con gesti convulsi, tentava disperata di aprirgli la bocca e infilarvi dentro le dita, spingendole fino in fondo la gola.   Una parte della sua mente le domandava curiosa cosa diavolo credeva di fare.

Alle sue spalle udiva le grida isteriche della suocera che, mani levate al cielo, ripeteva ossessivamente il nome del figlio e udiva anche i singhiozzi delle ragazze.

Incredula su quanto stava accadendo, si ascoltò mentre ordinava, in tono perentorio, a suo marito che aveva gli occhi rovesciati a mostrare il bianco, di respirare.

- Respira, Luciano, respira.

II

Poco prima stavano mangiando seduti attorno al lungo tavolo bianco, sotto l’ombra del cannucciato e il vento di levante, che si alzava sempre a quell'ora, aveva garantito il giusto grado di fresco.

Rossella si stava appena rilassando dopo una mattinata trascorsa all'insegna del nervosismo dovuto al sopraggiungere della rituale, indefettibile settimana di coabitazione vacanziera con l'anziana suocera, presentatasi puntuale, garrula e petulante, con la gabbietta del canarino giallo al seguito.

Non aveva nulla contro la candida vecchina. Tanto cara, tanto buona, ma anche, ahimè, tanto, ma proprio tanto, sorda.  E affetta, per di più, da una inarrestabile, torrenziale, acuta ed autoreferenziale logorrea, iniziata poco dopo il compimento dei suoi ottanta anni e proseguita, in un crescendo rossiniano, fino ai vertici attuali, in cui di anni ne vantava addirittura novantatrè.

Solitamente lei parlava e lei si sentiva, lei domandava e lei si rispondeva, ma era tuttavia necessario assentire con la testa o sorridere o fare la faccia debitamente compunta, a tono con la conversazione.   Una cosa, questa di condiscendere per cortesia con l'interlocutore, che se già le era pesante sul lavoro, diventava insopportabile quando era nel pieno godimento delle sue legittime ferie.

Si era arrivati alla frutta, una dolcissima anguria rossa, ghiacciata al punto giusto, quando l'atmosfera tranquilla del pranzo familiare era divenuta addirittura ilare. Barbara, la maggiore delle sue figlie, stava raccontando, con la solita verve, un divertentissimo episodio accadutole la sera prima, in un pub.

Luciano rideva di gusto e ingurgitava il melone, con l’allegra voracità con cui affrontava tutto nella vita. 

Improvvisamente cominciò a tossire e si portò le mani alla gola continuando tuttavia a ridere forte. Poi, rosso in viso, si alzò rapido da tavola allontanandosi, sgranò gli occhi e si piegò in due sotto la violenza della tosse.

Il passaggio dalle risate allo sgomento fu repentino e Rossella realizzò, di botto, che suo marito stava soffocando. 

Mentre tutti loro gli si facevano intorno, Luciano strabuzzò gli occhi e cadde lungo per terra, sbattendo con un tonfo sordo, la testa. 

 

III

China su di lui Rossella sperimentò una sorta di dissociazione trovandosi imprigionata su due piani temporali paralleli, in cui il tempo scorreva alieno. Concitato, angoscioso e frenetico in uno.  Lento, surreale e strambo, nell’altro.

Così, mentre batteva senza costrutto i pugni sul petto di Luciano e cercava di arrivare alla sua inaccessibile gola per trovare quel pezzetto di melone andatogli di traverso, nel contempo la sua mente andava a ripescare un vecchio ricordo di un racconto, letto secoli prima sul Reader's Digest in cui, una inesperta e coraggiosa passeggera, durante un volo aereo, aveva effettuato una tracheotomia di urgenza ad un altro passeggero, utilizzando la cannuccia vuota di una vecchia penna Bic. 

Non credeva tuttavia che potesse tornarle utile. Non sapeva nemmeno dove fosse esattamente ubicata la trachea, figuriamoci pensare di bucarla.  E con che cosa poi? 

Iniziò, quindi, ad elencare e a scartare nomi e facce di amici e parenti a cui poteva rivolgersi per aiuto, a cui telefonare per consigli e suggerimenti. Si immaginò mentre al telefono diceva:

- Ciao, Roberto caro, potresti avvicinare qui a casa mia un attimo? Sai, Luciano ha perso i sensi ed è già da un po’ che non respira più.…

Le parve chiaro che nessuno avrebbe potuto fare qualcosa per lei.  Né le sarebbe servito caricare Luciano in macchina e portarlo di corsa al Pronto Soccorso. Intanto sollevare un metro e ottantasei centimetri di uomo, per ottanta chili di peso, privo di sensi, era una impresa decisamente superiore alle sue forze...

No. Qualsiasi iniziativa avesse adottato, i tempi erano incompatibili con l’evidente esigenza, inderogabile per ogni essere umano, di inspirare ed espirare ogni tot secondi. Pochi tot di secondi.

Una parte di lei prese, allora, razionalmente e freddamente atto, che suo marito stava morendo lì, tra le sue braccia, in quella luminosa giornata di sole, su quelle calde mattonelle rosse del patio, davanti agli oleandri leggermente mossi dal vento, senza un perchè né una ragione, con nemmeno un motivo accettabile.

Luciano sarebbe  morto per un insulso pezzetto di melone andato di traverso e non ci sarebbe stata nessuna vecchiaia vissuta insieme né, se è per questo, nessun viaggio come quello che avevano programmato, di li a poco, a  Berlino. Le ragazze sarebbero cresciute senza un padre e lei sarebbe rimasta sola, ad affrontare una vita nuova, di inedita, sconosciuta, desolazione.   

I due piani temporali si fusero di colpo e la sua mente prese ad urlare che non se ne parlava nemmeno, che la cosa era decisamente fuori discussione, che non era semplicemente possibile che una persona morisse così, soprattutto se questa persona era suo marito. Lei si rifiutava di accettarlo. Ecco. Anzi era quasi sicura che ci doveva essere un errore da qualche parte, era quasi certa che quello non era, ne poteva essere, il destino riservatole dal Cielo.

 

IV

Improvvisa, come una risposta a una richiesta ancora non formulata, Varadhà, l’energica ragazza che una volta a settimana veniva ad aiutarla per le pulizie (e, ora le era evidente, era giunta dal lontano, esotico e dilaniato Sri Lanka per essere lì, in quel momento preciso della storia del mondo), uscì correndo dalla cucina e di forza alzò Luciano mettendolo a sedere. Lo strinse con le braccia vigorose da dietro e lui sputò. Sputò fuori un po’ di poltiglia rossastra e riprese a respirare.

Eh si, così è la vita e tanto ci separa dalla morte. Qualche frammento poltiglioso di melone dolce e ghiacciato e siamo morti, qualche sputo e una robusta ed intraprendente cameriera Tamil e torniamo alla vita e alle nostre attività.

Per qualche tempo Rossella non riuscì a impedirsi dall’andare a ripercorrere, quasi con dita curiose su una cicatrice in rilievo, le sensazioni sperimentate in quella anomala dimensione temporale.   Per un po’, anche se con fatica, costrinse il suo animo recalcitrante, a tornare al ricordo di quella rapida occhiata, data dall’orlo, giù nel baratro.  Alla visione, durata solo qualche istante, più intuita che percepita (e di questo sia reso grazie a Dio), del reale spessore della corda su cui tutti camminiamo spavaldi, a passi lunghi e sicuri.

 
 
 
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