come le nuvole
le guardi e credi di poter parlare di loro, di aver catturato la loro essenza ed ecco che sono altro e ancora altro e non le puoi incasellare, descrivere e neppure toccare...
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Post N° 382“I cavalli davanti mordono, dietro scalciano ed in mezzo sono scomodi” (Ian Fleming)
Questa estate mi hanno invitato in un maneggio e ho declinato, senza tentennamenti, la proposta. Il fatto è che posso già vantare “esperienze” nella nobile arte dell’equitazione. Una! Premesso che amo gli animali e ho debitamente letto “L’amante di Lady Chatterley”, (alla tenue luce di una lampadina subito spenta non appena si sentiva il passo di mia madre in avvicinamento), un pomeriggio di qualche anno fà accettai entusiasticamente la proposta di andare in un country club dove erano disposti a dare lezioni anche a pivelle come me. Sin da subito le cose non si misero per come me le ero immaginate. Innanzi tutto quel colosso di carne e muscoli che và sotto il nome di cavallo mi incuteva soggezione ed era evidente la sua siderale distanza dal, per me più familiare, concetto di gatto. Niente morbido pelo da accarezzare, né fusa o code dritte da interpretare come segnale di felicità. La bestia mi guardava con occhi assenti e non sembrava nutrire nei miei confronti alcuna aspettativa particolare. Come fù e come non fù, mi ci fecero salire sopra e il simpatico ragazzo che si occupava di me e teneva il puledro per le redini, con gesto repentino, me le passò, iniziando a darmi velocemente tutta una serie di dritte. “Lui si chiama Kiky e adesso sarai tu a guidarlo”- disse- “bada bene di fargli capire da subito chi è che comanda!” (e qui cominciai ad intuire il possibile evolversi della faccenda). “Devi tenere le redini con decisione”- continuò- “tirando verso destra se vuoi che lui giri a destra e viceversa. Se poi desideri farlo arrestare, allarga le redini e tirale verso di te”. Facemmo delle piccole prove con lui al mio fianco ed effettivamente Kiky, girava obbediente a destra o a sinistra al mio comando. L’istruttore aggiunse “Mi raccomando, non farlo avvicinare dagli altri cavalli perché potrebbero cominciare a scalciare tra loro!”. Detto questo, considerò terminata la sua lectio magistralis di equitazione (della durata di circa tre minuti abbondanti), mi guardò sorridendo e, incurante del mio evidente pallore e dell’azzeramento salivare che mi impediva di implorare pietà e comunicare che mi ero già pentita e volevo tornarmene a casa, mi abbandonò al mio destino. Anzi, non ne sono proprio sicura, ma giurerei che abbia dato pure una pacca di incoraggiamento sul sederone di Kiky. Fatto stà che quest’ultimo, che già dalla stretta delle mie cosce doveva aver capito che aveva a che fare con un animo gentile e assolutamente democratico, iniziò a trotterellare con finta indifferenza. Dapprima al passo, poi sempre più “allegramente andante”, ed infine si diede alla folle corsa. Il tutto senza che io gli avessi dato una qualsiasi indicazione circa le mie volontà, ne in forma scritta ne per vie informali. Un vero e proprio ammutinamento equino. L’itinerario da lui scelto sembrava per lo più puntare dritto a schiantarsi sulle palizzate bordo pista e mentre correvo al galoppo verso la morte mi vidi, con gli occhi della mente, per come dovevo probabilmente apparire ad un inconsapevole pubblico: una amazzone dai capelli al vento, disinvolta ed ardita come un Mohicano.
La realtà era che me la stavo facendo sotto. Tirai, allora le redini, con la forza della disperazione, verso destra e l’effetto fu immediato e sorprendente: cioè il nulla. Provai allora ad allargarle con decisione e fermare la folle corsa: macchè! Per l’ascendente che esercitavo su Kiky potevo benissimo essere una zecca sul suo lucido mantello. Cominciai ad avere veramente paura soprattutto quando vidi gli altri cavalli, montati dai miei amici, dirigersi affettuosamente verso di me e cominciai a gridare come un’ossessa chè stessero lontani, terrorizzata al pensiero di trovarmi nel mezzo di una contesa a suon di calci tra quadrupedi imbizzarriti. Mentre il cerchietto che avevo nei capelli volava via, perdendosi nella polvere, mi si pararono davanti diverse modalità di discesa dal cavallo, alcune delle quali contemplavano la rottura dell’osso del collo mentre altre, più rosee, si limitavano a prevedere una più lieve, seppur dolorosa, culacchiata per terra tra le risate generali. Entrambe erano, in modi diversi, inaccettabili. L’equino, intanto, continuava a correre in tondo, divertendosi a schivare gli ostacoli all’ultimo minuto e ignorando sia le redini che me, che gli gridavo tutto il mio disappunto con espressioni idiomatiche senza necessità di traduzione. Ogni volta, poi, che mi trovavo a passare al galoppo sfrenato davanti a quell’imbecille d’istruttore che mi aveva così brutalmente abbandonato in balia di un cavallo chiaramente disturbato, gli gridavo con voce finto dignitosa : Scusiiiiii, vorreiii scendereeeeeee!!! Ma quello si limitava a sorridere, mentre le mie parole si disperdevano nel vento, e annuiva con la testa… Il maledetto! Che aggiungere ancora se non che, allo scadere della mezz’ora di “lezione” in cui avevo disposto dei miei pochi beni terreni e rivalutato la preghiera, quando mi fù alfine consentito di abbandonare quella sella del diavolo, solo un atavico senso dell’ igiene e del decoro impedirono che mi inginocchiassi, faccia a terra sulla segatura sporca, a baciarne la consistenza?
Come dicevo, ho declinato il gentile invito. |
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