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Io, Robot!

Post n°219 pubblicato il 06 Febbraio 2009 da crisse
 
Foto di crisse

Sarà il fatto di far colazione da solo, in questo grande albergo genovese, ma mi è tornato alla mente il periodo in cui, giovane universitario, zaino in spalla inforcavo la bicicletta la mattina presto, e incurante delle condizioni meteorologiche percorrevo quei 3 / 4 chilometri che mi dividevano dalla stazione e salivo sul locale per Parma delle 6:58 (allora c'erano ancora i locali… sigh!). Era forse un po' prestino, ma questa scelta aveva qualche vantaggio: il treno era quasi vuoto, era composto da parecchie carrozze di prima declassata (e quindi particolarmente comode), e impiegava poco più di un'ora per arrivare a destinazione. Questo mi permetteva di trovare uno scompartimento tutto vuoto, solo per me, e sprofondare nella lettura di libri di fantascienza.

Il mio autore preferito era, e se avessi tempo di leggere lo sarebbe ancora, Isaac Asimov.

I suoi libri avevano un pregio fondamentale: tutta la sua opera, piuttosto voluminosa, descriveva le vicende di un ipotetico mondo futuro. Ed in ogni suo libro i fatti narrati concordavano con quelli descritti negli altri, come se egli avesse la capacità di trasferirsi davvero in quell'unico mondo futuro ed in ogni racconto o romanzo ne descrivesse un pezzettino.

Perché racconto questo? Un po' di pazienza…

Nel mondo di Asimov esistevano dei robot, macchine pensanti in grado di svolgere lavori faticosi o pericolosi. E introducendo i robot, ci si poneva il problema del loro rapporto con la razza umana. Può un robot arrecare danno ad un essere umano? La diffidenza verso apparecchiature di questo tipo era prevista in questo ipotetico mondo, per cui Asimov enunciò nei suoi libri le famose tre leggi della robotica, che dovevano necessariamente essere scritte come programma fondamentale nel cervello positronico di ogni robot:

1) Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno.

2) Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge.

3) Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Prima e con la Seconda Legge.

Questo avrebbe dovuto salvaguardare gli umani da comportamenti poco virtuosi delle macchine, ed in effetti in tutta l'opera di Asimov queste leggi hanno funzionato.

Purtroppo Asimov, come tutti gli autori di fantascienza, qualche errore lo ha fatto nel prevedere le cose future. Egli stesso si rammaricava di non aver previsto la miniaturizzazione degli apparati elettronici. Il primo computer realizzato nel corso della seconda guerra mondiale aveva meno capacità di calcolo di un orologio da polso e occupava un'intera palestra. Asimov immagina elaboratori potentissimi dalle dimensioni di uno stabilimento industriale, a due, tre o quattro piani. L'equazione era semplice: maggior potenza di calcolo = maggiori dimensioni. L'invenzione del transistor spiazzò completamente questa teoria.

Qualche decennio prima, quando il progresso scientifico sembrava legato alla meccanica più che all'elettronica, si immaginava un mondo basato sul funzionamento di enormi macchine a vapore. Nel film Metropolis, ad esempio, fu necessario immaginare addirittura una città sotterranea dove alloggiare gli enormi macchinari indispensabili al mantenimento della civiltà avanzata ipotizzata; ma si era all'inizio del '900.

Sicuramente Asimov non fece questo solo errore, e probabilmente nello stendere le sue leggi della robotica non avrebbe mai immaginato che la realtà lo avrebbe superato a destra, rendendole di fatto oggi già superate.

C'è, infatti, qualcosa che non capisco.

Le vicende di cronaca di questi giorni sembrano dirci che si sta affermando un principio disumano, fuori da ogni logica. Volendo essere relativisti, come la cultura di oggi ci impone, dovrei dire che A MIO AVVISO in molti affermano un concetto la cui portata è abominevole.

Pare, e qui bisogna stare attenti, che sia legittimo rifiutarsi di dare da mangiare a chi non sia in grado di alimentarsi da solo. Immagino tutti i distinguo e le eccezioni che in molti possano sollevare, ma di fatto questo è quanto si evince.

E credo di non sbagliare di molto dicendo che in Italia forse più di un milione di persone sono in questa situazione.

Fino ad oggi qualcuno si è spinto ad a dire se una persona sia sana o malata, se il suo stato di salute o la sua consapevolezza dell'essere al mondo la renda degna o meno di vivere. Oggi si fa un passettino in avanti: se non sei in grado di mangiare da solo io, che oggi ti nutro, posso anche decidere di non aiutarti più.

La mia inazione, che potrebbe portare qualcuno alla morte, non è vista come un qualcosa di sbagliato, ma di legittimo.

La portata di questo modo di pensare, se accettato, è ad oggi inimmaginabile.

Va addirittura oltre alla prima fondamentale legge che Asimov aveva inscritto nelle sue macchine, immaginandolo come principio fondamentale di un ipotetico mondo futuro.

L'inazione è legittimata, come espressione dell'individualismo che sta, di fatto, disgregando la comunità degli uomini.

Tradotto in modo bruto: se sei capace di arrangiarti bene, altrimenti nessuno sarà tenuto ad aiutarti.

 

Postilla

Ho verificato come la stampa, ossia le persone che per lavoro si occupano di diffondere notizie, siano fondamentalmente esseri incapaci. Ancora mi rifiuto i pensare che certi comportamenti siano coscienti, meglio pensare che siano sostanzialmente un branco di ignoranti che non si rendono conto del mezzo che conducono.

Il meccanismo è diabolico: non c'è una notizia? Allora la si inventa!

Ho sentito parlare in perfetto condizionale, tra ieri ed oggi, di un fantomatico decreto legge che sarebbe in procinto di essere presentato dal governo. Di questo decreto si sono comunicati i dettagli, si sono trasmessi commenti, e si è anche citato un parere del Presidente della Repubblica.

Ore e ore di notiziari, pagine di giornali… ma dov'è la notizia? Quali sono i fatti? Semplice: non ci sono. Il decreto non c'è, il parere del Presidente nemmeno.

Il risultato, che invece è certo: i giornalisti hanno riempito i loro spazi e aumentato l'audience, i politici di ogni schieramento hanno fatto la loro bella figura.

L'unica a perderci è la verità.

Ma oggi, quello di verità, è un concetto scomodo. Dan Brown lo dimostra, ma qui si aprirebbe un altro, enorme, tema che per il momento lasciamo da parte.

 
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