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La "chiocciola", lentissimamente, ha conquistato il mondo ...

Post n°2611 pubblicato il 31 Maggio 2015 da g1b9

Il logogramma @ è  universale.   A fare linguisticamente il punto ha provveduto, per i tipi di Castelvecchi, l'italianista Massimo Arcangeli, con un librino divertente intitolato Biografia di una chiocciola. Storia confidenziale di @ (pagg. 116, euro 16,50). La storia della chiocciola, iniziata nel medioevo e non ancora finita.

 

 Si sta parlando di uno svolazzo che incontriamo, tutti i giorni: «@». Sì la chiocciola che indica a chi è indirizzata una e-mail o che nei social network, preposta al nome, indica a chi è indirizzato un tweet o un particolare messaggio.  I giovani , che la conoscono da ora, forse non sanno che era un segno di uso commerciale e si trovava già sulle vecchie macchine da scrivere, ora abbandonte, polverose in qualche sgabuzzino .Lì la trovò l'uomo che - senza immaginare che sarebbe diventata uno dei simboli più utilizzati nel pianeta - l'ha adottata: Ray Tomlinson, ingegnere elettronico americano di origine olandese. La vide su una vecchia telescrivente ASR-33. Era sulle tastiere da tanto, se ne trova traccia persino su una vecchia macchina da scrivere Caligraph III del 1882 (dove aveva un tasto tutto suo). Ma non aveva avuto grande successo, anzi. Solo che Tomlinson stava sviluppando nuove applicazioni per Arpanet, l'embrione di Internet, e nel novembre del 1971 mandò la prima mail... E inserì la «@» per distinguere la posta elettronica interna a un certo programma (che ne è priva) dalla posta elettronica che andava spedita a qualcuno che si appoggiava «presso» un altro programma.

 

Come è andata dopo lo sappiamo, il primo vero programma di posta elettronica è arrivato nel 1982, ma magari quella di @ è una storia che conosciamo a spanne. Perché il simbolo lo si usa in tutto il mondo, ma i modi e i nomi che gli si danno variano. Arcangeli, direttore dell'Osservatorio della lingua italiana Zanichelli, spostandosi con agilità da un ambito più divertito a uno più accademico, ricostruisce la storia del logogramma e dei suoi effetti sul modo di comunicare.

Tanto per dire, “ at ”  è il nome inglese della chiocciola, ricorda il guscio del simpatico gasteropode. Ma in giro per il mondo ognuno dice la sua: in Armenia a volte è chiamata «la scimmia» - kapik - perché da quelle parti sembra ricordare una scimmia che si appende a un ramo; in Russia è sia «la Rana» che «l'orecchio»: per i greci diventa papaki , il paperotto - in realtà del papero sarebbe solo l'occhio - e per i cinesi diventa un topolino. Forse perché si avvolge nella sua coda... Ma la varietà è infinita, gli esempi portati da Arcangeli sono tantissimi e qualche volta anche legati all'origine del simbolo.Sì perché in spagnolo è anche chiamata arroba , con rimando chiaro a una delle unità di misura che dovrebbero essere alla sua origine.
 Termine spagnolo tratto dall'arabo che equivarrebbe a circa un quarto di quintale. Quindi l'abbreviazione verrebbe dalla scrittura mercantesca del XIV secolo. Non bastasse, ci sono un sacco di simboli curvilinei simili su cui il testo regala una panoramica, dando uno spazietto, molto dubbioso, alla teoria che «@», tanto per cambiare, sia opera di Leonardo.

Alla fine, la chiocciola comunque resta sfuggente, per quanto ubiqua. Tanto ubiqua da essere finita anche al MoMA di New York come “oggetto” stabile della collezione. E forse le notazioni più utili sono quelle relative ai suoi nuovi utilizzi linguistici. Fra le sue tante e secolari metamorfosi, ora la chiocciola sta contribuendo a reintrodurre il neutro. O meglio, per usare le parole del preciso Arcangeli: «marca flessionale neutra, comprensiva del maschile e del femminile». Un incipit di lettera o di mail che inizi con «Car@ Amic@» negli ambienti ad alta tecnologia delle rete significa rivolgersi a maschi e femmine. Ma è ormai ovvio che «@» non ha limiti.

Però è buffo, ora che la chiocciola è diventata un comando fondamentale, sulle tastiere di moltissimi computer continua a non avere un tasto tutto suo. E invece nella Caligraph III del 1882 l'aveva. È una piccola nemesi (scomoda per tutti). Non bastasse, ora ha anche un concorrente informatico potente, il cancelletto «#». Ma questa è un'altra storia, tutta da scrivere.

 Da un articolo di
Matteo Sacchi ( Il Giornale)                            

 
 
 
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