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Tra mito e realtà: Frank Sinatra.1915-2015

Post n°2913 pubblicato il 12 Dicembre 2015 da g1b9
 


Nel ricordare i cento anni  di«The Voice», come si chiama da noi, «Ol’ Blue Eyes» in America conviene davvero  considerarlo  tra mito e realtà per capire l’artista che in 63 anni di spettacolo ha venduto 150 milioni di dischi, interpretando 2200 brani in 60 album avventurandosi al confine della realtà, l’atmosfera da crooner, luci basse, voce perfetta, un whisky in mano, l’amore lontano
 
Sinatra era italiano, italianissimo, per tutta la vita ricevette lettere dal nostro Paese di suoi parenti, veri o presunti,
A Manhattan, nel 1929 anno della terribile crisi di Wall Street, arriva anche la famigliola Sinatra, trasferita in ferry a Little Italy, allora ancora dei nostri paisà e non inghiottita da Chinatown. Ci sono i caffè con le tazzine e la scorza di limone, ricordo di quando gli italiani sbarcavano esausti dalle navi e ricevevano per scaldarsi una tazza di caffè ripulita poi con mezzo limone, la pasta fresca, i provoloni, il vino nei fiaschi, ma a Frank il quartiere pittoresco sta stretto, vuol scappare al WNEW Dance Parade a cantare, e sperare che qualcuno lo ascolti .   Sul palcoscenico la voce, lo swing e lo stile ironico di Frank furoreggiano, con il pubblico e con le ragazze,



A molte ore di treno o con le lunghe attese dei pochi voli disponibili, il giovane cantante italiano occhieggia un altro miraggio, nel deserto, Las Vegas. Si parla di gangster, pupe avvenenti, prostitute per gli allocchi, gioco d’azzardo, macchinette con gli spiccioli o fortune perdute al tavolo verde, ma non c’è notte di Las Vegas senza musica. Sinatra è l’uomo per la stagione, crea intorno a sé il Rat Pack, la gang dei topi, i cui membri variano col tempo e gli incessanti pettegolezzi: Humphrey Bogart, Spencer Tracy, David Niven, l’altro italiano che si finge ubriaco ma ha la mente aguzza, Dean Martin, Sammy Davis Jr - irresistibile nelle sue gag: «Handicap? Io sono guercio, nero e ebreo!» -, Peter Lawford, fascinoso attore inglese che sposa una Kennedy e consacra Sinatra nel giro del giovane presidente. Da Las Vegas Sinatra torna con l’aura di «amico dei mafiosi», un po’ pregiudizio antitaliano, ma nessuna sentenza lo condannerà mai come complice dei gangster.



 
L’America cambia, il rock dei ragazzi bianchi, il blues dei neri, i ritmi latini mettono i crooner in giacca attillata e bourbon sul pianoforte in crisi. Non Sinatra: una sola stagione opaca ed è il cinema, con il regista Fred Zinneman, 1953, Da qui all’eternità, a rilanciarlo. Se Frank sembrava il cocco del ceto medio benpensante, repubblicano con Eisenhower, democratico con Kennedy, ecco nel 1955 L’uomo dal braccio d’oro di Preminger, dal romanzo di Algren, scrittore che fece innamorare di sé Simone de Beauvoir, compagna di Sartre, al punto da volersi far seppellire con l’anello avuto in regalo. Sinatra ammalia gli intellettuali impegnati, la pellicola - storia di un drogato in cerca di riscatto - si scontra con la censura, e in Va’ e uccidi del 1962 (ridicolo titolo italiano del bellissimo The Manchurian Candidate) di John Frankenheimer, Sinatra interpreta un soldato che soffre il lavaggio del cervello in Corea e viene trasformato in kamikaze, sceneggiatura che ancora oggi si legge rabbrividendo.
 
Un Oscar, 21 Grammy, 2 Emmy, la Medaglia del Congresso, quattro mogli, poi sì, ci sono le canzoni, Strangers in the Night, My Way, It Was a Very Good Year, scegliete la vostra prediletta: se ne ho parlato poco è perché Frank compie 100 anni, loro sono senza tempo.


 
 
 
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