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MAJAKOVSKIJ

Post n°67 pubblicato il 27 Luglio 2006 da majakowskij
Foto di majakowskij

Il poeta della rivoluzione aveva un cuore nero di cenere e un cappotto bordato di rosso. Agitava tamburelli di carta ad ogni sogno nuovo di zecca e cadeva nel vuoto lasciato nel letto dalla sua Lilick.
Il suo suicidio affermava le evidenze: inscenato o autentico?
Il suicidio è un atto letterariamente corretto, politicamente eroico, esistenzialmente scorretto. Marina Cvetaeva dopo l’arresto del marito e della figlia, dopo la deportazione in una sperduta località tartara, senza mezzi di sussistenza, isolata e sola, aveva agito con logica disperazione.
Esenin aveva scritto i suoi versi ultimi col sangue delle sue vene tagliate via:
In questa vita morire non è nuovo/ ma di certo non lo è neppure vivere.
Majakovskij scrive correggendo Esenin e la sua fine: In questa vita non è difficile morire/ Vivere è di gran lunga più difficile.
Lilja Brik, amante di Majakovkij, e poi suo eterno punto nel vuoto, restò accanto al poeta dopo la fine della liason erotica con l’uomo. Ella scrive nelle sue memorie:
L’idea del suicidio era la malattia cronica di Majakovskij”… Nel 1916 una mattina presto mi svegliò una telefonata. La voce bassa, cupa di Majakovskij: «mi sparo, addio Lilick». Gridai: «Aspettami! », mi gettai addosso qualcosa sopra la vestaglia, mi precipitai dalle scale, implorai, incitai, tempestai di pugni la schiena del vetturino. Majakovskij mi aprì la porta. Nella stanza sul tavolo c’era una pistola. Disse: «Ho sparato, cilecca, non ho provato un’altra volta, ho aspettato te».
Osip Brik disse a proposito del suicidio del poeta: Le persone non si suicidano per due ragioni: o perché sono più forti delle contraddizioni che le lacerano o perché in generale non hanno alcuna contraddizione”.

Majakovskij era forse giunto in un punto in cui la lacerazione era troppo profonda e la dominazione impossibile. La difficoltà di amare e di essere amato, l’impossibilità di una comunicazione autentica, emergono nelle sue liriche amorose in uno scontro tra l’impossibile possesso e l’impossibile eternità di un sentimento.

TU

Poi sei venuta tu,
e t’è bastata un’occhiata
per vedere
dietro quel ruggito,
dietro quella corporatura,
semplicemente un fanciullo.
L’hai preso,
hai tolto via il cuore
e, così,
ti ci sei messa a giocare,
come una bambina con la palla.
E tutte,
signore e fanciulle,
sono rimaste impalate
come davanti a un miracolo.
«Amare uno così?
Ma quello ti si avventa addosso!
Sarà una domatrice,
una che viene da un serraglio!»
Ma io, esultavo.
Niente più
Giogo!
Impazzito dalla gioia,
galoppavo,
saltavo come un indiano a nozze,
tanto allegro mi sentivo,
tanto leggero.

 
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