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IL FILO CHE CONDUCE

Post n°69 pubblicato il 24 Agosto 2006 da majakowskij
Foto di majakowskij

Ci sono stati di quiete lenti come il letto di un fiume in estate. Cosa sentirò domani? Quale sarà il giorno in cui finalmente saprò dov’è la piena e quanto riempie le vene?
Vladimir era versato dal suo stesso cuore di carta in uno stato di estatico abbandono.
Viveva trascinato. Senza argani ad accoglierlo e dirigerlo. Era perduto senza mete.
A volte sentiva il fantasma di un’emozione sfiorargli il labbro, ma un attimo è troppo breve per lasciare qualcosa di più che la sete di un ricordo.
Doveva forse forzarsi, uscire, scrivere, provare un po’ di vita. Ma non desiderava più.
Non era più allenato a “sentirsi”. Doveva fidarsi nuovamente di se stesso. Non avere più paure.
Ogni tanto rivedeva la ballerina ebrea dalle lunghe gambe. Gli rendeva più leggera un’attesa. Lei ne era innamorata. Lui assecondava ciò che non sapeva. Può essere interessante perdersi un po’. La scoperta è sempre un agguato. Teso dalle nostre anime folli per riconoscere un’intuizione. Hai presente quando d’improvviso ti si apre uno squarcio sul vuoto e pensi – come ho fatto a non capire prima! - . In realtà non si poteva prima. Il sentire viene naturale come il sole tra le nuvole a rischiarare.
Basta un momento inatteso.
Il momento di Vladimir aveva nome Lilia.

Anche lei, con il suo cappello messo di traverso, le gambe esili accavallate come in un labirinto, le mani abbaglianti e il seno offerto e generoso, suggeriva di perdersi. Sarà poi la cosa giusta?
Avevano provato tante volte. Avevano guastato tante volte. Tanto incompleti lontani. Ora a lui pareva di sopravvivere. Di riuscire senza sforzo.
Ora a lei pareva di morire. Senza sforzo.
Nell’amore c’è un lasciarsi andare che è dolce. E naturale come un frutto che cade da un albero.

Lilia aveva molte doti. Doti d’antant, sconosciute alle signore moderne che usano il belletto al posto del cervello e le unghie in luogo del cuore.
Lilia sapeva tacere quando occorre.
Ora era in religioso silenzio dinanzi al suo poeta.
Non voleva suggerirgli uscite, non voleva vederlo assonnato o triste.
Avrebbe voluto scacciargli dal viso gli spettri di ogni complicazione. Spiegargli quanto è facile l’amore, quanto è meravigliosa una scoperta. Ma sapeva di non potere.
Doveva solo attendere, col cappello di traverso e le gambe accavallate come in un labirinto.
Vladimir, il suo Vladimir, avrebbe trovato il filo che conduce.
Aveva fiducia sconfinata nelle sue possibilità. Si diceva – può anche passeggiare ore lungo la Moscova senza sapere cosa, ma al ritorno scriverebbe di certo un pezzo di evidenza inquietante -.
Va a casa dell’amato. Siede sulla sedia di molti amplessi consumati dopo cena. Il suo gesto è naturalmente elegante. La sua parola suggerisce strade meno tortuose al pensiero oscurato di Vladimir. Lei tenta. Tenta sempre. Non è donna da arrendersi.
Le sue molti ostinazione le hanno permesso di lasciare la casa materna, un quasi postribolo in via Marcicaje, di studiare, di potere comprare vestiti e scarpe di lusso. La sua ostinazione le ha permesso di amare il poeta delle rivoluzioni, rivoluzionando essa stessa la sua vita. Si è inventata per lui.
Ha inventato Lilia.
Vorrebbe stringerlo al petto, mettergli in bocca un fuoco che divora senza consumare, urlargli un pensiero che non traballa come le gambe del tavolo di là in cucina.
Troppo pericoloso farci sopra l’amore. Si rischia di capitolare. Senza concludere.
Lily era preoccupata. Quando osservava Vladimir allontanarsi in quello sguardo che separa, provava una rabbia sorda e una tristezza feroce come la caduta di una rondine.
I corpi attraversati, la lontananza subita, la disconoscenza delle reciproche anime, li aveva forse segnati più dell’inevitabile?
Lei non lo credeva possibile.
Si sa, le donne hanno una fiducia incrollabile nell’amore. Più che nell’amato.
Lilia aveva fiducia in entrambe le cose.

-Ti voglio così bene, ti voglio così tanto, che tutte le mie parole mi paiono inutili cliché stampati sul retro della tua camicia. Mi volti sempre le spalle -
-Dannazione Lily, ma che vuoi? Disfi e poi costruisci. Pretendi di divenire l’aracne della mia anima? Oh, pardon. Tu non pretendi mai nulla. Tu sei. E basta.
Ora aspetta. Sono troppo stanco per l’amore. Troppo stanco per la pace. Troppo stanco per pensare -.

Lilia ha il volto rivolto verso la finestra.
Sorride. Come sempre le accade. Sorride anche dinanzi ad un incendio.
Improvvisamente ricorda certe sere d’estate in cui l’afa si appiccica addosso come una carta velina sull’umido. Ricorda che con quel caldo non era facile amarsi. Ci volevano più polmoni. Più pressione arteriosa. Il cuore pulsava il doppio.
V’era qualcosa di buono però. Il sudore.
I corpi sprigionavano un sudore che scivolava su tutta la pelle come una nebbiolina leggera, appena una rugiada madida di calori.
Ricordava la sensazione carezzevole dello strusciamento bagnato che davano le cosce a contatto, le mani sulla pelle.
Certi odori non sono odori. Sono solo una sensazione.
A Vladimir ora non potevano interessare certi ricordi.
Il presente lo premeva come un ladro alla porta.

-Ti faccio un caffè. Sempre meglio che stare qui a non guardarsi negli occhi.
-Fa ciò che vuoi. Tanto non mi importa. Sei nervosa? Triste? -.
-Ma no. Sono serena. Sai cosa significa starti accanto ora?
E’ come sfogliare la più dolce delle banane, petalo a petalo.
Spogliare la polpa dal succo, mischiare l’ansia col compiuto.
E non avere più fretta, perdersi in un abbandono che non ha il domani in tasca, che non rassicura.
E’ come trovarsi su un bilico di sabbie, scendere le scale di spalle.
E’ come avere mani per toccare e potere solo guardare.
E’ come rovistare con le dita in una ferita.
E spruzzare di sete il letto asciutto della mia gola vuota.

Cos’è per me amare oggi?
E’ restare.

Vladimir la guarda dritto negli occhi. Resta alcuni minuti in silenzio.
-Ora fammi quel caffè. 

 
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