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Come eravamo ignari (di aule e del destino)

Post n°88 pubblicato il 21 Ottobre 2007 da jo_march1979
 

 

Con questo post partecipo al gioco letterario di Falco58DGL "Come eravamo".

Lunedì 19 settembre 1994. Jo quindicenne entra nel suo liceo: è il primo giorno di scuola. Il prestigioso liceo classico frequentato dalla piccola Jo è caratterizzato da orribili aule. Fanno tutte piuttosto schifo, ma quella scelta per la I A, la classe di Jo, fa particolarmente ribrezzo: è un corridoio buio dalle pareti sporche di scritte irripetibili. Ci sono anche le sbarre alle finestre, casomai qualcuno volesse evadere.

Jo non sta passando il periodo migliore della sua vita: come capirà in seguito, l’adolescenza, più che un’età, è una malattia. Non c’è scampo, se la beccano tutti: ma prima o poi passa, lasciando danni più o meno reversibili.

Si può immaginare quindi con che stato d’animo la piccola Jo entri nella brutta aula e cerchi i compagni di classe simulando entusiasmo.

Quest’anno ci sono novità: si sono iscritti altri tre ragazzi, tanto per stare più stretti nella piccola classe.

Jo, con la sua consueta scioltezza, si avventa sulla sua compagna di classe Cecilia, di spalle, per salutarla calorosamente. Quando si gira, non è Cecilia, è una nuova, Stefania. Jo vorrebbe sprofondare, ma almeno ha rotto il ghiaccio.

Meditando sul misterioso legame tra le gaffes e la sua persona, Jo si accomoda al suo posto. Comincia la prima ora. Tutti sono seduti, il professore è in classe, quando si sente bussare.

La porta si apre lentamente, e dietro si palesa un ragazzo. Camicia di flanella aperta su una t-shirt, in stile grunge, capelli lunghi, viso affilato, altoalto, seccosecco: sembra una matita a quadri.

Il ragazzo, trafelato - è in ritardo di dieci minuti - , è ancora all’esterno della classe: alza gli occhi sulla porta, dov’è la targhetta che dice “Classe I A”, poi gira gli occhi sul professore e chiede: “Scusi, è questa la I A?”

Quest’anno abbiamo un geniaccio in classe, a quanto pare, pensa la piccola Jo.


La Matita entra, sfoggiando, oltre ad arti spropositatamente lunghi, uno zaino da campeggio. Gli altri - pochi- maschi della classe ne sembrano colpiti. Debitamente interrogato, il tizio rivela di venire da Bergamo - sono gli anni dell’esplosione della Lega Nord, e Bergamo evoca scenari razzisti -; i suoi genitori però sono originari di uno sperdutissimo paese cilentano - quindi è nordico e allo stesso tempo profondamente paesano. Di bene in meglio-.

Nell’ora di scienze sfoggia un domandone sull’esobiologia (ovvero: gli extraterrestri) che impressiona molto la prof e irrita altrettanto la giovane Jo. Si capirà più avanti che è la sua tattica quando non è preparato.

La Matita dall’accento settentrionale rivela anche una certa dimestichezza con il computer, di cui Jo sa solo, vagamente, che serve al tecnico di laboratorio per giocare a solitario.

Alla fine del primo giorno di scuola Jo ha deciso, non lo sopporta, non lo sopporta, non lo sopporta.


Tredici anni dopo

Se Jo del 2007 avesse una macchina del tempo per andare a trovare la Jo di tanto tempo fa per anticiparle quello che sa, vedrebbe quella timida adolescente slogarsi le mascelle per le risate, alla ridicola idea che negli anni successivi, tra lei e Mister Matita ci saranno: una sana reciproca antipatia, un cauto avvicinamento, il prestito (di lui a lei) di Cent’anni di solitudine, una convivenza nello stesso banco, l’ultimo anno di liceo come Miglioriamici, un allontanamento nel primo anno di università e un corteggiamento paziente e serrato (di lui a lei, naturalmente) dal secondo anno in poi.

E la piccola Jo quindicenne si rotolerebbe per terra dal ridere, all’idea che la se stessa di tredici anni dopo spera di non rotolare per terra mentre - spera - raggiunge all’altare Mr. Matita, diventato nel frattempo il Colui.

 
 
 
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