Signora mia

Dei bamboccioni di ritorno

Da qualche tempo lavoro un giorno alla settimana nel mio natìo Cilento. Quindi faccio la spola tra Napoli e casa dei miei.

Tecnicamente dunque sono una bambocciona part-time, per usare un termine molto in voga ultimamente. Il dibattito intorno ai “bamboccioni”, nuova categoria dell’Essere, è stato fin troppo intenso e variegato, perchè io possa dare un contributo teorico originale. Mi limito quindi a narrare l’esperienza di chi torna a vivere con i suoi, sia pure solo per alcuni giorni alla settimana.

Mia madre e mio padre vivono da soli da due anni, cioè da quando mia sorella minore si è trasferita a Napoli per frequentare l’università. Noi figlie torniamo di solito nei weekend; finora io ero quella che rientrava più raramente.

Ne consegue che ora che sono lì tutte le settimane, nei giorni lavorativi, sono percepita come una specie di infestazione. 

 Dovendo descrivere la mia giornata tipo quando sono a casa in un periodo infrasettimanale, funziona così.

Ci alziamo tutti e tre alla stessa ora. Quindi devo aspettare venti minuti prima di poter usufruire della macchinetta del caffè ed essere dichiarata ufficialmente sveglia. Mentre aspetto sono deliziata dalla striscia delle news di canale 5. Ininterrottamente.

Se dopo aver sentito il mio oroscopo per la terza volta (e io sono convinta che l’oroscopo di canale 5 porti sfiga, ma questa è un’altra storia), provo a cambiare canale, vengo fulminata all’istante.

Dopo aver avuto in qualche modo il mio caffè salgo in camera mia a cambiarmi. Non è un’impresa da poco. Mia madre ha la sana convinzione che occorra cambiare l’aria nelle stanze in cui si è dormito. E sono d’accordo. Ma un conto è aprire la finestra - anche ignorando la mia timida preghiera di farlo DOPO che mi sono svestita e rivestita -, un altro è spalancare TUTTE le aperture presenti sul piano notte, formando una vera e propria galleria dei venti con epicentro in camera mia.

Alle 8 del mattino la temperatura media di questi tempi è di 7 gradi. Si può immaginare lo spirito con cui mi rendo presentabile per andare al lavoro.

Al momento di uscire si possono presentare due casi.

1) Prendo l’auto di mia madre. Una Peugeot 106 blu del 1995. (Lei prende la Cinquecentuzza di mio padre, brontolando). Di solito, prima di partire devo:

- lavarmi i vetri. Capisco che mia madre percorra sempre lo stesso tratto di strada, ma mi chiedo ogni volta, guardando il parabrezza opaco, se guidi a memoria.

- Sgomberare i sedili da libri e riviste, sussidiari e libri per le vacanze. Con tutto quel materiale, più che ai 20 bambini della sua classe, potrebbe fare lezione a tutto lo stato del Connecticut.

- Eliminare rametti, fiori, foglie e quant’altro, residuo delle incursioni materne nei giardini altrui.

2) Ultimamente mio padre è in ferie forzate (arretrati dal 2004: secondo me in realtà è un complotto dei suoi colleghi per toglierselo di torno per un po’. Hanno tutta la mia solidarietà). Poichè lavoriamo nella stessa cittadina, ogni pretesto è utile per andarsi a fare un giro dalle parti della sua scrivania. Insomma, con una scusa o un’altra, mi accompagna.

Come se questo non fosse già abbastanza, mio padre nutre un amore folle per la sua Cinquecentuzza blu, anno 1971. E’ praticamente mia sorella maggiore. Nulla lo rende più felice che guidare quella scatoletta. Quindi dobbiamo partire venti minuti prima del solito per dare alla caffettiera su ruote il tempo necessario per arrivare a destinazione a 40 km orari. Stessa tarantella al ritorno.

(Sul mio lavoro ritornerò con un post a parte perchè merita, credetemi).

Tornata a casa, preparo il pranzo per papà e me (mia madre resta a scuola). Oddio, preparare è una parola grossa, visto che il mio compito è accendere il forno (temperatura già impostata), o il fornello sotto l’acqua della pasta. Mia madre non esce di casa se non è sicura che il riscaldamento del pranzo già pronto sia a prova di cretino. Una volta mi ha lasciato la confezione dei tortellini già aperta. Immagino temesse che avrei provato ad aprirla a morsi.

Il pomeriggio trascorre con mio padre che si aggira per casa e mi tende agguati per farsi scaricare la posta/scrivere mail/preparare un caffè/cercare “quel libro che comprammo insieme, non ricordi? tu facevi il primo superiore”.

Quando mia madre torna da scuola scatta la verifica-casa: ho sfamato mio padre? ho incendiato qualcosa? il letto è rifatto in maniera ortodossa? le mura sono ancora in piedi?

A sera non si cena prima di Tempesta d’amore e Un posto al sole  (che mio padre non segue da almeno dieci anni: ma guai a chi cambia canale). L’idea di cena leggera prevede chilate di salumi fatti da mia nonna, formaggi locali e melograni del nostro giardino.

Dopo, mentre i miei siedono in poltrona a battibeccare su quale programma televisivo vedere, io ciabatto per la casa alla ricerca dei miei beni in camera delle mie sorelle, dell’anello perso nel 2001, delle fotocopie di inglese del III liceo...

A letto l’ultimo pensiero è una preghierina: Signore, fa’ che domani io possa avere un caffè appena sveglia, fa’ che possa prendere la macchina. E soprattutto, fa’ che si blocchino tutte le finestre.