Signora mia

Di anelli, tragedie e trapianti

Ieri, 10 del mattino.

Sono pronta per uscire, ho già cappotto e zainetto addosso. Mettendo la mano sulla maniglia della porta, noto che non ho l’anello donatomi dal Colui due settimane fa.

Panico.

Non ho idea di dove sia.

Torno indietro di corsa, cerco sul comodino, sullo scaffale sopra la scrivania, accanto alla crema per le mani, sulla mensola del bagno, sul lavandino della cucina, finanche nel portagioie.

 Niente.

Vago disperata per la casa, ancora con il cappotto addosso: mi sento pessima. Mi ritorna in mente mia madre: quando la scorsa settimana le ho fatto vedere l’ anello mi ha detto: “Molto bello. Te l’ha regalato perché hai perso l’altro (piccolo solitario, donatomi dal Colui anni fa)?” . Sul momento mi ero sentita molto oltraggiata, ora mi sembra una profezia.

All’improvviso, un lampo di genio.

La sera precedente, prima di lavare i piatti, ho infilato l’anello nella tasca dei pantaloni. Cero di corsa la tuta che indosso in casa (per la precisione, è un tutone di pile modello sacco di patate: perfetto come antistupro). Giace a terra - insieme a molte altre cose.

Mi piego per prendere il pantalone. Mentre la mia mano tasta il bramato anello, sento qualcosa scivolarmi dalle spalle.

Dallo zaino che ho ancora addosso, parzialmente aperto, è caduto il computer portatile.

Se prima provavo panico, ora sono nel terrore più assoluto.

Febbrilmente prendo il computer da terra. Lo schermo è intatto.

Respiro.

Provo ad accendere.

Dopo un lunghissimo minuto, appare una schermata nera che mi informa di non riuscire a trovare un file di avvio. Intanto sento un rumorino di ingranaggi inceppati. Poi un bip come un pigolio.

Trattengo il fiato fino a diventare blu. Mia sorella-quasi-medico mi sente il polso.

Dopo un paio di minuti prendo un respiro e mi catapulto fuori di casa. Mi precipito al centro di assistenza, portando il computer esanime come un bambino.

Il tecnico, reso partecipe della mia sventura, gli dà un’occhiata.

Diagnosi: hard disk rotto.

E i due anni di lavoro stipati lì dentro, svaniti.

Gli lascio il mio portatile con la morte nel cuore. Per le quattro ore successive vago al centro storico di Napoli aspettando la telefonata del tecnico.

Alla prima chiamata, per dirmi che bisogna cambiare l’hard disk, lui è molto professionale e distaccato. Mi dà del lei.

Alla seconda, quando mi chiede di portargli il lettore cd, che ne mio computer è esterno, mi fa una battuta per tirarmi su di morale. Si presenta con “Salve sono di nuovo il tecnico. La chiamo per dirle…”.

Alla terza, quando mi comunica che non è riuscito a recuperare nessun dato dall’hard disk danneggiato, mi dà del tu.

Alla quarta rispondo dopo mezzo squillo e lui dice “Uè sono Paolo corri in negozioche ho fatto!”.

Paolo ha fatto la magia: con un trapianto di hardisk il computer è acceso, con la schermata verde speranza della Acer che mi saluta.

Gli offro un rene per ripagarlo, lui si accontenta di 80 euro.

E’ da ieri che cerco di recuperare dati su qualunque supporto: pen-drive, lettore mp3, cd, mail (benedetto sia Yahoo e il suo spazio illimitato). Ho ritrovato le cose più importanti, perso altre altrettanto importanti (un sacco di foto, purtroppo). Per non parlare di tutti i file assolutamente inutili a cui tenevo tanto.

E ora, mentre scrivo sul mio meraviglioso portatile 12 pollici redivivo, un po’ sono triste, un po’ su di giri: penso a quanto avrò da fare per riempirlo presto di nuove cianfrusaglie.