Se ascolto l’ironia rannicchiata in fondo alle cose, essa si scopre lentamente. Strizzando un occhio piccolo e chiaro, dice: “Vivete come se...”
Nonostante le molte ricerche, tutta la mia scienza è qui.
Camus, Il rovescio e il diritto
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Premessa. Fedele al principio della leggerezza di Italo Calvino in base al quale ho impostato questo blog, ho deciso di privilegiare la recensione di libri allegri e ironici, ma non sciocchi. Quindi, è mia intenzione non parlare né delle tragedie di Shakespeare dove muoiono tutti, ma neanche delle pubblicazioni dei comici di Zelig. Questo criterio ha prevedibilmente ridotto la varietà di scelta. Pertanto le mie recensioni non saranno frequenti, ma almeno attentamente selezionate per far sì che la lettura di un libro da me consigliato, se effettuata al termine di una giornataccia, faccia venire voglia di sorridere e non di appendersi al lampadario.
Le streghe di Smirne, della scrittrice greca Mara Meimaridi (edizioni e/o, 2004, 480 pp., 16 €) risponde in pieno ai requisiti che cerco. L’autrice merita una piccola presentazione: è antropologa, esperta di esoterismo, medicina, astrologia e astrofisica. A giudicare dalle interviste, se non è completamente pazza, ha comunque qualche rotella fuori posto. Attualmente è sotto processo a Istanbul: il governo l’accusa di aver diffamato la sua popolazione. All’epoca in cui il libro è ambientato, Smirne faceva parte dell’impero ottomano, il cui esercito compì un efferato massacro degli armeni che vivevano lì, ovviamente negato dall’attuale governo turco. E già questo è un buon motivo per leggere il libro.
La storia comincia ai nostri giorni, quando la giovane greca Maria trova un baule con i diari di una sua vecchia zia, Katina. Leggendoli, viene trasportata nella Smirne di inizio ‘900. Katina e sua madre, Eftalia, provenienti dall’interno della penisola greca, sono arrivate in città nella più completa miseria. Hanno solo gli occhi per piangere, ma non si perdono d’animo: si stabiliscono nel quartiere greco (che all’epoca è la zona povera della città) e cercano di inventarsi qualcosa. Intanto conoscono Attarte, una misteriosa donna turca che inizia alla magia madre e figlia, trovando soprattutto in Katina un talento speciale.
Invece è il racconto più vivace e pittoresco che mi sia capitato di leggere negli ultimi anni. Intanto perché la magia c’entra relativamente: i veri incantesimi sono nell’arte di arrangiarsi, di riscattare una vita difficile attraverso astuzia e buonsenso. Il personaggio principale, Katina, è bruttina, intelligente e senza scrupoli: l’anti-piccola donna per eccellenza. Aiutata dalla madre - e soprattutto dal suo ingegno - compie un’ascesa sociale spettacolare, attraverso matrimoni al disopra delle sue possibilità (comincia con una venditore di tabacco e finisce con un pascià, tanto per dare un’idea) e spregiudicate intuizioni affaristiche – tra cui l’invenzione delle sigarette aromatizzate alla rosa, con cui utilizza del tabacco marcio e lancia una moda che la rende ricca -. Eftalia non è da meno della figlia: raggiunge la tranquillità economica inventando creme miracolose da vendere alle signore dei quartieri alti – è dai tempi di Biancaneve che esiste il legame tra bellezza e magia, e non a caso Eftalia è una strega-. Il microcosmo delle donne del quartiere greco di Smirne è eccezionale. Si intrecciano pettegolezzi e tragedie, ricette e bugie, drammi familiari e astuzie. Nel mio episodio preferito, Katina e la figlia di una levatrice anch’essa fattucchiera, si contendono uno scapolo da sposare. Il matrimonio ovviamente non ha niente di romantico, è piuttosto un obiettivo da raggiungere a tutti i costi per garantirsi la sopravvivenza. Le rispettive madri aiutano le ragazze in questa guerra. Dopo aver provato tutti i sortilegi possibili –oggetti di magie nere che l’una seppellisce nell’orto dell’altra, bubboni provocati dai malefici, mini woodoo e quant’altro - Eftalia, la madre di Katina, ha un’idea risolutiva. Va dal bello del quartiere, gli insinua il dubbio che esista una ragazza che proprio non cede al suo fascino... e due mesi dopo la figlia della levatrice è incinta di lui. Soprattutto, è fuori gioco.
Insomma, la prima parte di questo libro è un viaggio leggero in una realtà difficile e povera: la vita quotidiana è ricostruita con precisione antropologica e filtrata (è il caso di dirlo, parlando di magia) attraverso la lente dell’ironia.
Nella seconda parte, in cui ritorna il personaggio di Maria che aveva aperto il libro, l’autrice si prende un po’ troppo sul serio e calca la mano sul lato della magia (per chi fosse interessato, ci sono anche degli incantesimi. Se non vi fa schifo maneggiare piccoli animali morti e sangue mestruale, preparate pure il vostro calderone).
Nonostante qualche caduta qua e là nel finale, questo libro merita decisamente di essere letto, da aspiranti streghe, scettici, maschilisti e femministe selvagge. Piacerà a tutti perché la tesi di fondo è essenzialmente questa: con o senza pozioni e incantesimi, in fondo tutte le donne sono un po’streghe. |
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