Se ascolto l’ironia rannicchiata in fondo alle cose, essa si scopre lentamente. Strizzando un occhio piccolo e chiaro, dice: “Vivete come se...”
Nonostante le molte ricerche, tutta la mia scienza è qui.
Camus, Il rovescio e il diritto
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Secondo il mio amico Phil, dicesi legge dell’autobus il fenomeno per il quale, in luoghi pubblici e/o affollati, l’individuo più strano presente in un raggio di 50 metri avvicina proprio te.
La legge prende il suo nome dal luogo in cui si verifica l’incidenza più alta della circostanza appena esposta, ma è applicabile anche in metropolitana, nelle file, alle feste, al cinema. Studi clinici dimostrano che la legge dell’autobus non è evitabile; non esistono vaccini, né terapie. Alcuni esperimenti hanno però dimostrato che il suo effetto aumenta proporzionalmente al nervosismo del soggetto: più sei incazzato per i fatti tuoi, più aumenta la probabilità che qualche squilibrato ti si incolli.
La legge dell’autobus è una delle poche certezze della mia vita; non passa giorno senza che ne sperimenti qualche variante.
Stamattina mi è successo al supermercato. Dopo un estenuante caccia alle offerte tra gli scaffali semivuoti – chi vuole una ricostruzione filologica di come dovevano essere i negozi della Germania dell’Est nel periodo di maggiore austerità vada al Diperdì di via Foria a Napoli-, mi sono avvicinata alla zona casse.
Per la prima legge di Murphy (se qualcosa può andar male, lo farà- un’altra costante della mia esistenza -) fra le tre file per la cassa ho ovviamente scelto la più lenta.
Quelli delle altre code praticamente mi doppiavano: non solo pagavano prima di me, ma rientravano nel supermercato, facevano altra spesa, si rimettevano in fila e uscivano, mentre io ero sempre bloccata allo stesso punto, accanto ad una parete piena di frigoriferi per surgelati.
Mentre mettevo radici lì, la signora davanti a me, che stava rovistando in uno dei congelatori, si gira e mi dice con fare cospiratorio e un forte accento napoletano:
“Signurì, ma qua è tutto carissimo! non c’è proprio paragone con l’Ipercoop di Trieste!”
Avrei dovuto cercare di schivare la legge dell’autobus ignorando la signora, invece ho commesso un grave errore. L’ho fissata per qualche secondo; non ero proprio riuscita ad evitare di pensare “Ma che c’entra Trieste adesso?”.
Ho così incautamente stabilito un contatto visivo con lei, dandole un implicito assenso a continuare. E’ seguito un appassionato monologo sul prezzo delle patate fritte surgelate, che da un giorno all’altro sono passate da 99 centesimi a un euro. Signurì, so’ fetenti in questo supermercato, mica come a Trieste.
La frase immediatamente successiva è stata: “E poi, io ho già pagato quattrocento euro di bollette!”. Immagino che dopo un tale salasso, non potesse proprio sostenere il centesimo di aumento delle patate.
Dopo altre animate dichiarazioni su:
- la guida dei programmi tv distribuita gratuitamente nel supermercato che non riporta le trame delle telenovele precise come i giornali che si pagano;
- il reparto di nonsocosa dell’Ipercoop di Trieste che noi al sud ce lo sognamo;
-il calcolo grosso come una mela di quelle piccirelle che la signora si è tolta due anni fa e che il nipotino ha voluto tenere per un po’;
finalmente ci siamo avvicinate alla cassa. Ho scoperto con orrore che la signora non aveva solo il cestino come credevo, ma anche un carrello pieno come per un approvigionamento da guerra nucleare.
Dopo un buon quarto d’ora di attesa è finalmente arrivato anche il mio momento di pagare; ho depositato i miei 4 prodotti, ma ho dovuto attendere altri dieci minuti abbondanti che la signora finisse di deporre nelle buste la sua mega spesa, in rigoroso ordine cromatico.
- Intanto aveva ripetuto due volte il fatto dei 400 euro di bollette, a me e al cassiere: immagino sperasse di avere uno sconto-
A Dio piacendo, mi sono avviata all’uscita (che poi è anche l’entrata del supermercato). Nella confusione di gente da tutte le direzioni, mi sono ritrovata di nuovo accanto la signora, che mi ha salutato con l’entusiasmo di chi vede un vecchio amico, e ha detto senza alcun tipo di introduzione:
“E quella poveretta di mia figlia, che ci deve stare a fare a Milano? Io ce lo dico sempre, che se ne deve tornare qua a casa sua! Ma niente, non ci vuole venire proprio!”
Poi è sparita nel gorgo di folla che entrava e usciva.
Peccato: dopo mezz’ora ad ascoltarla in silenzio, le avrei finalmente parlato.
Per dirle che avevo una mezza idea sul perché la figlia avrebbe preferito farsi uccidere piuttosto che tornare a vivere con lei.
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