Se ascolto l’ironia rannicchiata in fondo alle cose, essa si scopre lentamente. Strizzando un occhio piccolo e chiaro, dice: “Vivete come se...”
Nonostante le molte ricerche, tutta la mia scienza è qui.
Camus, Il rovescio e il diritto
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Giovedì compio 29 anni.
E’ da quando sono arrivata alla maggiore età che il mio compleanno mi rende isterica: mi fanno paura il passare del tempo e l’inevitabile bilancio esistenziale che si accompagna a ogni taglio di torta.
Nel corso del tempo ho escogitato diverse strategie per ammortizzare lo choc di un altro giro di Terra. A 18 anni è stato facile, perché il compleanno coincideva con la seconda prova degli esami di maturità, (un’indimenticabile versione dal latino di Seneca,) nonché con un potente ciclo mestruale anticipato di 8 giorni in occasione dell’evento.
A 20 anni mi sono chiusa in casa dei miei in Cilento: erano i lontani tempi in cui non avevo ancora il cellulare quindi bastava mettere fuori posto la cornetta del telefono.
A 25 anni ho deciso di fermarmi a quell’età per un po’: nei miei sogni di bambina, sarei stata una venticinquenne in carriera piena di soldi e figli, e mi ritrovavo sprovvista di entrambe le cose. Ho compiuto 25 anni diverse volte, ma ora ho deciso di fare coming out, dichiarando – e festeggiando – la mia vera età.
Questo perché, dopo attente riflessioni e lamentele sul passare del tempo, mi sono resa conto che, se è vero che ho ancora un pugno di mosche in mano, d’altro canto sto molto meglio ora di quando ero adolescente. Invece di piangere sul tempo-che-non-torna-più dovrei festeggiare ogni anno l’allontanamento dall’età più sgraziata e infelice che ricordi. Ecco quindi perché è meglio avere 29 anni che 17:
- perché non vivo più con i miei, dunque non devo più elencare ogni singolo spostamento con relative compagnie ogni volta che metto piede fuori di casa: un gran risparmio giornaliero di fantasia.
- Non devo più decidere a quale corso di laurea iscrivermi. Sia andata come è andata, mi sono tolta il pensiero della laurea e per sicurezza ci ho messo su pure un dottorato. Il valore commerciale di entrambi i titoli equivale, rispettivamente, a quello della carta igienica doppio e triplo velo, ma in ogni caso ce li ho: niente più notti insonni schiacciata dalla paura di scegliere (Psicologia? Giornalismo? Veterinaria - io che ho paura anche dei pechinesi-?).
- Il computer non è più una grossa scatola con cui fare al massimo solitari a carte. A 17 anni ero ignara del magico mondo del Web: come ho fatto a vivere senza e-mail? E, soprattutto, senza tvblog?
- Non mi angoscio più all’idea di non trovare il mio Principe Azzurro. Ho capito la fondamentale differenza tra principe azzurro e uomo: il primo non esiste. Il secondo, con un po’ di fortuna come è successo a me, può essere, nelle sue imperfezioni, completamente compatibile con le mie imperfezioni.
- Ho capito chi vince la battaglia contro i peli superflui. La vincono loro.
Da quando ho smesso di fare tentativi più o meno deliranti (dai nauseabondi impacchi “naturali” per indebolire il bulbo, che non indebolivano un bel niente ma lasciavano una gradevole pelle scorticata, ai pantaloni lunghi a metà agosto per coprire gambe ideologicamente irsute) vivo molto meglio. Sono destinata a perdere la battaglia, lo so; posso solo perseverare negli attacchi, certa che per ogni soldato morto sul campo ne arriveranno altri due, e prima di quanto io creda. L’importante è saperlo.
- - Ho smesso di avere sentimenti contrastanti verso il mio migliore amico. A 17 anni avevo una teoria di amici del cuore, con i quali intrattenevo relazioni – rigorosamente platoniche – piuttosto confuse. Di base, c’era un affetto saldo misto a un interesse più o meno reciproco, ma né io né alcuno di loro facevamo il fatidico passo in avanti. Da quando il mio compagno di banco del liceo ha preso in mano la situazione autopromuovendosi al rango di Colui, vivo molto meglio. Unico svantaggio: non ho più migliori amici maschi. Tutti scomparsi, guarda un po’.
- - Non devo far finta che mi piaccia Va’ dove ti porta il cuore. Quando uscì questo libro, tra le adolescenti scoppiò una mania che sarebbe stata superata solo da Tre metri sopra il cielo. Non potevi non avere sulla Smemoranda almeno una frase tratta dalle immortali pagine della Tamaro, preferibilmente dedicata a te da un’amica, alla quale dovevi ricambiare la cortesia sulla sua Smemoranda. Naturalmente, come tutte le mie coetanee, lessi il libro: mi sembrò, per usare un tecnicismo, una boiata pazzesca. Ma dire che non mi piaceva equivaleva a tagliarsi fuori da tutto il circuito amicale. Quindi, ingoiai il rospo e ricopiai più e più volte, diligentemente, “Stai fermo, in silenzio, e ascolta il tuo cuore. Quando poi ti parla, alzati e va'... dove lui ti porta”, chiedendomi sempre: ma dove porterà mai ‘sto cuore? Ora che ho 29 anni posso gridarlo al mondo: Va’ dove ti porta il cuore mi fa schifo. E la destinazione più plausibile l’ha data Valeria Parrella nel racconto “Dritto dritto negli occhi”: Mi sembrò un libro impossibile: se io fossi andata dove mi portava il cuore, sarei rimasta incinta a tredici anni nell’Ape di Totonno il pezzaro. Amen.
- - Non devo decidere più se la verginità sia un valore o un disvalore. A 17 anni, in un paesino dove la forma di aggregazione giovanile più strutturata era l’Azione Cattolica, e quella più trendy era quella sesso-droga-&rock’n’roll in salsa cilentana, era difficile stabilire se la verginità fosse qualcosa di cui sbarazzarsi, o da difendere come falchi.
Ora che mi sono tolta ampiamente il pensiero, posso guardare indietro con serenità e direi alla me stessa adolescente: la verginità è una situazione del tutto neutra, ha solo il valore che tu le vuoi attribuire. Invece di struggerti per decidere se tenertela o darla via in saldo, dedica piuttosto un pensiero a quei parafanghi che porti al posto degli occhiali. Quelli sì che sono un disvalore, stanne certa.- Non porto più parafanghi al posto degli occhiali. Devo essere sincera, le lenti a contatto mi hanno cambiato la vita. Credo che il Colui mi abbia notata solo quando ha scoperto che dietro gli occhiali della nonna c’era un viso femminile. E la prima volta che mi sono immersa in mare con le lenti a contatto e, girandomi verso la riva, non ho visto le solite macchie sfuocate, ma ho riconosciuto il mio ombrellone, ho provato un’emozione difficile da descrivere.
Potrei andare avanti a lungo con questa lista: più ci penso, più i vantaggi di avere 29 anni rispetto ad averne 17 aumentano. Si accrescono in modo così esponenziale che credo mi fermerò a ventinove per tre o quattro anni almeno.
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