Se ascolto l’ironia rannicchiata in fondo alle cose, essa si scopre lentamente. Strizzando un occhio piccolo e chiaro, dice: “Vivete come se...”
Nonostante le molte ricerche, tutta la mia scienza è qui.
Camus, Il rovescio e il diritto
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Per oggi, 8 marzo, festa delle donne, avevo cominciato un post in cui sostenevo l’incomprensibilità di questo giorno. Avevo pensato di riflettere sulla mancanza di senso dell’espressione “Auguri per la festa delle donne”, come se bisognasse festeggiare la trasformazione annuale perchè negli altri 364 giorni siamo puffi.
Volevo sostenere che è una festività più inutile di San Valentino, poiché, grazie a un secolo di femminismo abbiamo superato gli stereotipi legati all’ “essere donna”. Volevo accennare al fatto che allo stesso tempo ci sono molti Paesi in cui non c’è proprio nulla da festeggiare per il fatto di essere donna (guardate un po’ qui, per farvene un’idea).
Volevo scrivere queste cose, in cui credo, ma dopo quello che ho fatto qualche giorno fa non sarei credibile.
Prologo: giovedì scorso porto a stampare e rilegare la mia tesi di dottorato in varie copie. Dev’ essere pronta sabato mattina, per essere spedita ai commissari esterni entro mezzogiorno.
I atto: Sabato mattina vado a ritirare i volumi in legatoria, scoprendo con orrore che tutti frontespizi sono sbagliati. C’è un maledetto punto in mezzo ad una parola: così “nuova serie” diventa “n. uova”. Più che un frontespizio di tesi, sembra la ricetta di una torta.
I commissari esterni che dovranno giudicarmi hanno una simpatica fama di lupi mannari affamati di dottorandi tremanti, e non è il caso di indisporli con una copertina sciatta.
Chiedo in legatoria che mi rifacciano la copertina (ingredienti: colla e foglio di cartoncino stampato correttamente). Passo un fine settimana insonne.
Lunedì mattina le copertine non sono pronte. Motivo: hanno finito la colla. Come se in un panificio finissero il lievito. Nel pomeriggio, ancora niente.
La mattina dopo torno due volte. Niente colla, ed evidente fastidio del proprietario della legatoria nei miei confronti. Finisco la mia scorta di parolacce. Faccio una scenata, e uno dei ragazzi che lavora lì mi rende le fotocopie della mia tesi con le copertine nuove, suggerendomi di andare a nome suo in un’altra legatoria. Seguo il suo consiglio.
II atto: Sono le due del pomeriggio, io DEVO spedire le tesi con un corriere entro le 4 dello stesso giorno.
Entro nella seconda legatoria, dove trovo tre uomini tra i 40 e i 60 anni in pausa, in mano panini con cotolette e frittate. Espongo la situazione. Sono disperata, ma decido di ostentare sicurezza.
I tre fanno una scenata pazzesca. Sono mortalmente offesi dall’affronto: quelli non sanno lavorare, e noi gli dobbiamo risolvere i problemi? Signurì, iatevenne.
Tento di convincerli. Tutto inutile. Mi dicono che per fare un lavoro del genere dei professionisti come loro hanno bisogno almeno di un giorno e mezzo. Immagino il corriere partire senza di me, e i lupi mannari pasteggiare con il mio cadavere. Tento ancora di persuaderli, invano. Con l’ultimo spiraglio di lucidità mi rendo conto che per loro è essenzialmente una questione d’orgoglio. Allora, visto che la carta della donna adulta e razionale non ha funzionato, calo l’asso della femminuccia.
III atto: Lanciandomi mentalmente dietro alle spalle dieci anni di militanza ideologica femminista, simulo un accenno di pianto.
Incrino la voce, mi asciugo gli occhi asciutti. Vergognandomi mortalmente di me stessa, mentre interpreto la fragile fanciulla sopraffatta dalla cattiveria del mondo, guardo la reazione dei tre uomini.
Come speravo, la vista di una donzella in lacrime suscita in loro antichi istinti cavallereschi. Mi danno una sedia, un fazzoletto di carta e un bicchiere d’acqua, mollano i panini e si mettono tutti e tre al lavoro intorno alla mia tesi. Conversano con me amabilmente, dottoressa di qua, dottoressa di là...
In QUINDICI MINUTI le tre copie della tesi sono pronte. Bellissime. Nessun punto di troppo.
Profondendomi in ringraziamenti, chiedo il conto.
Rifiutano recisamente di essere pagati. Minacciano di offendersi se insisto.
Mi impacchettano la tesi e mi offrono il caffè. Saluti e prolungate strette di mano. Mi hanno praticamente adottato.
Ora è chiaro perché oggi non posso permettermi di fare la donna emancipata?
Quindi, i miei più sentiti auguri a tutte le puffette.
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