Creato da jo_march1979 il 28/01/2007

Signora mia

Mezze stagioni e altri teoremi

 

Messaggi di Giugno 2007

Delle domande retoriche

Post n°61 pubblicato il 29 Giugno 2007 da jo_march1979
 

Ho appena sentito alla radio che non so quale rivista maschile (tipo GQ, per intenderci) nel prossimo numero offrirà ai suoi lettori immagini di Melita Toniolo (la ventenne prosperosa&piagnucolosa che ha partecipato all'ultimo Grande Fratello)

"come non l'avete mai vista".

Che sia vestita?

 
 
 

5 Film

Post n°60 pubblicato il 27 Giugno 2007 da jo_march1979
 

Di ritorno da un giro sul blog di RosexelA mi accodo alla catena dei 5 film. Non perchè stia diventando dipendente dalle catene (anche se ne ho appena inaugurata una per aiutare Anna Falchi a divorziare, ma la beneficenza è un'altra cosa), però...

però forse, effettivamente,  mi sto assuefando alle catene.

Quindi ecco i miei 5 film:

La donna perfetta.Geniale, scorretto con un colpo di coda finale che ne rovescia tutto l'impianto. Non a caso è il remake leggiadro di un horror, perchè  le questioni di genere sono davvero spaventose.

Harry ti presento Sally.
La storia della mia vita

Elizabeth
Quello che vorrei fare da grande.

I sublimi segreti delle Ya-ya sisters
Le amiche che vorrei ( deliziose, vicine   e ubriacone).

Il monello
Il film più poetico (e che mi fa piangere a comando)

 
 
 

Del genetliaco della webmater

Post n°59 pubblicato il 25 Giugno 2007 da jo_march1979
 

Domani, martedì 26 giugno compio 25 anni.

 

Per la terza volta.

Come dice mia sorella-cugina Antonella, se ad una certa età ci si trova bene, perché cambiare?

 
 
 

Invito alla solidarietà

Post n°58 pubblicato il 21 Giugno 2007 da jo_march1979
 

Come tutti, ricevo spesso mail con richieste d’aiuto economico per persone con gravi problemi. In genere diffido da questo genere di iniziative: per una reale, ce ne sono dieci finte, e spesso le catene continuano anche quando gli interessati non ne hanno più bisogno - spesso perché non hanno fato in tempo a riceverne i benefici, purtroppo-.

Ci sono casi in cui faccio eccezioni: quando vedo con i miei occhi quanto una situazione sia grave.

 Per questo, ferita dal dolore di cui sono stata testimone, mi faccio promotrice di un appello:

 

AIUTIAMO ANNA FALCHI A DIVORZIARE DA RICUCCI

 

In due giorni ho visto Anna Falchi in tv cinque volte dichiarare turbata la fine del suo amore con l’imprenditore più sfigato nella storia degli scandali italiani.

Il problema è, spiegava Anna trattenendo le lacrime, che lei non può permettersi economicamente la separazione: non guadagna abbastanza da poter avere una casa sua ed essere indipendente.

 

Questa rivelazione, oltre a suscitare in me un sincero moto di solidarietà per una donna sofferente che affronta con tanta discrezione il suo dolore, risolve un dubbio che mi tormenta da anni: possibile che davvero paghino Anna Falchi per fare quello che fa, cioè dire gaffes e mostrare le tette?

 
 
 

Del segno dei tempi

Post n°57 pubblicato il 18 Giugno 2007 da jo_march1979
 

Quand’ero piccola, sulla strada tortuosa che portava al paesino di mia nonna nel cuore del Cilento, c’era un cimitero di campagna. Sul muro che affacciava sulla strada c’era una frase, scritta a grandi lettere con uno spray blu:

 

...MA L’ANIMA NON MUORE.

 

Ricordo quella frase da sempre. Mentre diventavo grande, riflettevo e cambiavo idee sulla religione, continuavo ad amare quel pezzo di muro che segnava la strada verso il paese. Ricordo che mi piaceva soprattutto la punteggiatura, invertita rispetto al’uso consueto: i punti sospensivi all’inizio che si riallacciavano ad un discorso sospeso, il punto finale che rafforazava l’affermazione consolante mi trasmettevano molta serenità.

 

Ripassando dopo un bel po’ di tempo da quelle parti, mentre guidavo mi sono girata quasi meccanicamente verso il muro per farmi salutare dalla vecchia frase.

 

Che non c’era più.

 

Sono stata salutata da:

SCUDETTO E BERLUSCONI

FATE KAKA’

 

Ogni  epoca ha il motto che si merita.

 
 
 

Del giovane Holden a Springfield

Post n°56 pubblicato il 14 Giugno 2007 da jo_march1979
 
Tag: libri, tv

Ho da poco finito di leggere Il giovane Holden (dell’autore americano J. D. Salinger): so che sono fuori tempo massimo perché in genere è una lettura adolescenziale, ma che volete farci, da ragazzina ero troppo impegnata a deprimermi.

Forse proprio il ricordo della mia adolescenza emotivamente tempestosa mi ha permesso di capire questo libro, scelto soprattutto perché è un classico della letteratura contemporanea che mi mancava.

Complice una traduzione vecchiotta e non sempre felice e il ricordo di una pessima recensione fatta dal mio amico Pasquale, inizialmente Il giovane Holden non mi sembrava  niente di che.

La voce narrante del romanzo è quella del protagonista Hoden Caulfield, un sedicenne difficile di famiglia benestante, che, espulso dall’ennesima scuola, torna nella sua New York, dove vaga per un paio di giorni e notti, cercando di ingannare il tempo in attesa di tornare a casa dai suoi.

All’inizio Holden sembra proprio –licenza poetica - uno stronzetto: sboccato, orgoglioso di essersi fatto cacciare di nuovo da scuola, schifato  e ipercritico verso tutto e tutti. Il libro sembra svolgersi senza capo né coda, con Holden che pesca dalla memoria episodi disparati, dai suoi compagni di scuola al fratello morto. Intanto si ficca in tutti i bar di New York, fumando come un pazzo e cercando, con poco successo, di farsi vendere alcoolici nonostante sia minorenne.

Mi veniva da chiedermi: ma perché questo libro è considerato un romanzo di formazione? Poi, continuando a leggere, mi sono resa conto della bravura dell’autore nel lasciar trasparire, dietro l’apparenza ruvida e sfacciata di Holden, la sua fragilità e confusione di fronte ad un mondo che non gli piace ma a cui sa che dovrà prima o poi adeguarsi. E ho capito che Il giovane Holden non è un romanzo di formazione tradizionale in cui il lettore assiste dall’esterno alla maturazione del giovane protagonista.

E’ un romanzo di formazione perché narra dall’interno quello che ogni adolescente pensa e immagina, ma non dice. Senza censure: la  tragicomica scoperta del sesso, la ribellione ai genitori, l’odio per i professori, la difficoltà di relazionarsi con i coetanei.


Strada facendo, Holden si rivela un ragazzino che fa il duro ma ha una gran paura, e che cerca disperatamente qualche conoscente per non restare da solo mentre cerca il coraggio di dire ai genitori che è stato di nuovo espulso.

Ci sono dei passaggi che mi hanno fatto tenerezza, soprattutto nella parte in cui Holden cerca la sua sorellina, che nella sua innocente intelligenza, si rivela un’ancora di salvezza per lui- nonché il personaggio migliore del libro-: lo dissuade a scappare di casa e lo convince a parlare con i genitori.
Il tutto senza i  toccanti dialoghi e gli intensi flussi di coscienza tipici dei romanzi di formazione per fanciulle- che tanto amo-: tutto è sfumato dal pudore di Holden a svelare la sua sensibilità, e lasciato all’intuito del lettore nel leggere tra le righe (immagino che quando un adolescente maschio voglia parlare dei suoi sentimenti più profondi non metta i manifesti ma cerchi appunto di comunicarlo senza troppe parole. Però, poiché di maschi teenager ne ho frequentati pochi e strani, tipo nella mia classe del liceo, non ne sono sicura).

Comunque, se avete cominciato a leggere Il giovane Holden e il linguaggio grezzo o l’antipatia del protagonista vi impediscono di continuare, vi suggerisco un trucco per farvelo piacere di più. Io l’ho fatto senza rendermene conto, influenzata da quello che avevo appena visto in TV, perché i due personaggi si sovrappongono molto bene.


Insomma, immaginate Holden come Nelson, il bulletto dei Simpson. Vi assicuro che funziona.

 
 
 

Postilla all'ultimo post

Post n°55 pubblicato il 12 Giugno 2007 da jo_march1979
 

Quando ho scritto della seconda fascia di donne che frequento per lavoro (qui), non conoscevo ancora una significativa variante di studentessa quarantenne fuoricorso, che ho avuto modo di incontrare solo agli orali di stamattina.

E' una specie scaltra e infida, perchè si presenta con l'arma segreta, che permette di scavalcare file, eludere domande standard, e assicurarsi almeno un paio di voti in più. L'arma segreta è di produzione propria, talvolta semovente, ma sempre dotata di audio. Va usata con perizia e cinismo, nonchè con sprezzo della morale.

Se pensate che esageri, provate voi a fare un esame ad una signora con una  bambina di un anno e mezzo in braccio.

 
 
 

Ritratti di signoraII

Post n°54 pubblicato il 10 Giugno 2007 da jo_march1979
 

La

La studentessa fuoricorso ultraquarantenne è in genere una signora che si è iscritta all’Orientale di Napoli intorno al 1985 e ha poi abbandonato gli studi per sposarsi o per lavorare. Quando i figli crescono, o il lavoro si stabilizza, decide di portare a termine il cammino inziato tanto tempo prima, e di prendere l’agognata laurea.

 Sottolineo che ho la massima stima per queste persone così determinate e ammiro la loro decisione di riprendere in mano libri e dizionari dopo tanti anni.

Io non ho problemi con queste signore, sono loro che hanno problemi con me.

 Per quello che ho capito, la cosa che le urta è la mia età: spesso non riescono a prendermi sul serio, perché sono poco più grande delle loro figlie, e mi parlano con condiscendenza per farmi capire che è perfettamente legittimo voler portare il programma d’esame dell’anno accademico 1993-94 e non quello di quest’anno.

 In altri casi, la differenza d’età tra me e loro le indispone, perché non vogliono farsi “giudicare” da una persona di vent’anni più giovane. Così, se all’esame orale faccio una domanda cui non sanno rispondere (“perché non era nel programma del ’94”) se la prendono con me.

Agli esami scritti di ieri è arrivata una signora bionda e super truccata, che copiava maledettamente e si risentiva se, con garbo, le facevo notare che doveva fare un lavoro individuale. Mi saettava con gli occhi perché a suo parere la traduzione era troppo difficile e me ne riteneva personalmente responsabile, nonostante fosse evidente che non l’avevo scelta io. Ad un certo punto ho smesso di riprenderla perché, con due calcoli, ho realizzato che la mia incolumità fisica era più importante dell’ irreprensibilità del suo elaborato.

 

Sempre nel delirio degli scritti di ieri, ho avuto la fortuna di conoscere uno splendido esemplare della mia fascia preferita, quella delle ultrasessantenni. Adoro le signore anziane e un po’ eccentriche, che hanno vissuto così tante cose da non preoccuparsi più di nulla: dicono e fanno esattamente quello che pensano, in genere con la massima soavità.

Ieri agli esami c’era anche una professoressa quasi settantenne, che andrà  in pensione a settembre e alla quale, conseguentemente, di scritti e orali non gliene frega più niente.

Difatti la prima cosa che mi ha detto, con molta grazia, è stata, ” Bimba, tanto io questi compiti li correggo direttamente all’orale”. Che è quello che vorrebbe fare ogni professore nell’esamificio che è diventata l’università. Ma nessuno lo dice.

La prof aveva con sé diversi giornali “Ma faccio solo i cruciverba, mi sono stancata di leggere sempre le stesse notizie”. Tra una parola crociata e l’altra, abbiamo fatto due chiacchiere; la conversazione più interessante è partita dalla sua ammissione di fumare troppo. Quando io, tanto per dire qualcosa, ho risposto” Ma no, professoressa, non fumi così tanto”, lei mi ha sorriso come ad intendere “Ti ho incastrato” ed è partita con il discorsetto:

Bimba,  secondo me il fumo non fa male. Guardami, io fumo da quarant’anni (effettivamente è in splendida forma, non dimostra quasi 70 anni)... se il fumo facesse davvero male, morirebbero TUTTI quelli che fumano, non trovi? E’ come quella storia della cocaina nell’aria...ma che stupidaggini! Sai chi è che  mette in giro queste dicerie? – abbassa la voce- Quelli che ci governano! per distrarci da quello che fanno...così ci preoccupiamo della cocaina nell’aria o degli effetti del fumo invece dei loro danni al Paese”

Io non posso fare altro che annuire. Lei mi sorride di nuovo, mi prende la mano e aggiunge con la stessa dolcezza una mirabile chiosa:

E in ogni caso, se anche il fumo facesse davvero male, sono già arrivata a settant’anni: che mi frega se schiatto due anni prima o dopo?”

 

Dentro di me so che a 70 anni potrei essere come lei, lo sento: ma non so se temerlo o sperarlo.

 
 
 

RITRATTI DI SIGNORA -I-

Post n°53 pubblicato il 07 Giugno 2007 da jo_march1979
 


Fanciulle in fiore- o sfiorite-

Per lavoro ho a che fare soprattutto con donne –come succede sempre negli ambiti umanistici -, che possono essere schematicamente suddivise in tre fasce d’età: 20-35 anni; 36-60; 60- finchè Dio vuole.

La prima fascia è composta da studentesse e/o mie coetanee.

Interagisco con le ventenni soprattutto quando faccio loro un esame all’università; in genere hanno verso di me un atteggiamento variabile, da “Sei giovane, quindi sii mia amica e promuovimi, te ne prego ” a “Sei giovane, quindi non ti permettere di fare la stronza e dammi quest’esame senza fare storie”.

Le mie coetanee sulla via dei trenta - o poco più- possono essere mie colleghe traduttrici/ancelle di professori e di solito il rapporto è di una dichiarata solidarietà, stemperata da una manifesta tendenza a fare sgambetti per ridurre la concorrenza. Quando le mie coetanee invece sono studentesse, per me diventa un problema: mi imbarazzo da morire all’idea di doverle esaminare, soprattutto se siamo state compagne di corsi anni fa.

La seconda fascia (36-60) è composta principalmente dalle mie datrici di lavoro, o comunque signore con cui lavoro in stato di subalternità.

La condizione predominante di questa fascia è l’isterismo, incoronato da una certa disposizione al delirio di onnipotenza, che stride però con la tendenza a delegare l’impossibile – così da poterti poi incolpare se qualcosa va storto-. Ho avuto a che fare con delle signore di mezza età imbarcate in progetti tipo Associazione-per-la-pace-nel-mondo-e-per-il –dialogo-nel-Mediterraneo  che non sapevano nemmeno dove fosse Algeri e che non sono mai riuscite a pronunciare correttamente l’ Islàm cui dedicavano conferenze. Aggiungasi il fatto che si sono profondamente offese quando ho fatto capire che non avrei lavorato per loro gratis.

La prima in classifica è ovviamente la mia prof, che mi chiede di fare qualunque cosa, da traduzioni a fotocopie a robe burocratiche – per le quali sono negata-. Giusto ieri mi ha spedito a presidiare gli esami scritti: dodici studenti e sette verbali più un numero imprecisato di foglietti. Chiedetemi di tradurre dal sanscrito – che per inciso non conosco- ma non di compilare un numero di scartoffie superiore a quello degli studenti.

Negli esami scritti di ieri però ho avuto modo di incontrare un altro tipo di signora della seconda fascia, più raro ma comunque presente nella mia vita: la studentessa superfuoricorso. 

                                                  

 - Segue -

 

 
 
 

Di integrazione e sceneggiate

Post n°52 pubblicato il 03 Giugno 2007 da jo_march1979
 

Credo che gli studiosi di integrazione e multiculturalismo abbiano trascurato un ambiente fondamentale, specchio di ogni civiltà cittadina: la metropolitana.

Con un giro nelle viscere della città-preferibilmente all’ora di punta- si può capire molto più della sua composizione sociale che in tre giornate di convegno indetto dalla Regione in una sala affrescata.

Nella metro di New York, schiacciata su una porta da una signora le cui gambe non bastavano a sostenerla, mi sono resa conto di quanto la popolazione americana sia obesa; in quella di Parigi, guardando le coppie, di come la Francia si più avanti in fatto di integrazione degli Stati Uniti. A Roma ho capito che i ragazzini sono uguali dappertutto: jeans con cavallo alle ginocchia, modi insolenti e imbranataggine con le coetanee.

Prendo la metropolitana di Napoli da oltre dieci anni, e in tutto questo tempo ho sempre avuto una buona angolazione su come si evolve la città. Qualcosa muta, qualcosa resta: le persone cambiano, la tendenza a viaggiare senza biglietto rimane immutata. Non solo ragazzi, ma anche rispettabili signore e distinti pensionati si imbarcano in sceneggiate improbabili per giustificare la loro mancanza di biglietto senza prendere una multa. I controllori hanno l’aria navigata di chi nella sua carriera ne ha viste di tutti i colori.

Se si prende la metropolitana la  domenica mattina il panorama cambia. Non ci sono pendolari in trance diretti al lavoro o ragazzi assonnati che vanno a scuola: in generale è difficile trovare persone di apparente nazionalità italiana. Infatti la domenica è l’unico giorno libero delle persone immigrate, quindi la metro è piena di deliziose signore dell’Europa Orientale - in genere bionde naturali e truccate anni’80 -, famiglie dello Sri Lanka educate e vestite a festa, gruppi di ragazzi nordafricani che scherzano tra loro.

Le mie preferite sono le signore dell’Est, che sono sempre garbate e con il loro abbigliamento mi ricordano la mia infanzia; inoltre mi sembra abbiano una capacità di adattamento strabiliante rispetto agli altri immigrati, che tendono a restare nelle maglie della loro cultura d’origine.

 La migliore è stata una signora che ho visto in azione all’uscita della metropolitana di piazza Museo.

A Napoli, non ho ben capito perché, non controllano i  biglietti sul treno, ma ai varchi all’uscita della stazione. Domenica scorsa il controllore di turno ferma una signora di mezza età, chiaramente dell’Europa Orientale. Lei non sembra capire cosa voglia l’uomo; solo dopo una lunga scena di mimo tira fuori un biglietto spiegazzato. E non obliterato.

Con evidente soddisfazione, il controllore prende il blocchetto dei verbali. Segue un’altra scenetta per far capire alla signora che deve dare un documento. Il foglietto che tira fuori si rivela essere un documento di assistenza sanitaria nazionale.

Il controllore dà i numeri: ma come, questi vengono qua, gli diamo pure l’ospedale gratis, e non pagano nemmeno il biglietto? Comincia a scrivere rabbioso il verbale. Dal documento della signora risulta che è nata a Minsk: sentendo nominare la sua città,  lei si illumina e annuisce.

Quando il controllore le chiede dove vive a Napoli lei risponde tristemente “Vedova”. Lui smette di scrivere, le chiede spiegazioni. A parole smozzicate e gesti ampi, vien fuori che quel giorno è l’anniversario della morte di suo marito, con il quale cinque anni prima era venuta in Italia. Il controllore si gratta la testa con la penna.

 La signora, molto dignitosa, tiene la testa bassa e torce un fazzoletto. Interrogata, racconta che ha due figlie, una incinta e l’altra con un “marito cattivo”.

Il controllore è imbarazzato, si guarda intorno. Alla fine si decide: strappa la multa, oblitera il biglietto della signora e le raccomanda di fare attenzione. Lei ringrazia calorosamente, “Spaziba, spaziba”.

Superati i varchi, la signora raggiunge un’amica evidentemente in sua attesa.

Mentre la bacia sulle guance le dice:

Marò e ch’agg’avut’ passà!”. Ovvero: Madonna, che ho passato. In perfetto napoletano.

 Sempre in dialetto, le racconta la sceneggiata che ha appena sostenuto per scamparsi la multa.

Se non è integrazione questa.

 
 
 

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