Se ascolto l’ironia rannicchiata in fondo alle cose, essa si scopre lentamente. Strizzando un occhio piccolo e chiaro, dice: “Vivete come se...”
Nonostante le molte ricerche, tutta la mia scienza è qui.
Camus, Il rovescio e il diritto
Messaggi di Giugno 2007
Post n°60 pubblicato il 27 Giugno 2007 da jo_march1979
Di ritorno da un giro sul blog di RosexelA mi accodo alla catena dei 5 film. Non perchè stia diventando dipendente dalle catene (anche se ne ho appena inaugurata una per aiutare Anna Falchi a divorziare, ma la beneficenza è un'altra cosa), però... però forse, effettivamente, mi sto assuefando alle catene. Quindi ecco i miei 5 film: La donna perfetta. Harry ti presento Sally. Elizabeth I sublimi segreti delle Ya-ya sisters Il monello |
Come tutti, ricevo spesso mail con richieste d’aiuto economico per persone con gravi problemi. In genere diffido da questo genere di iniziative: per una reale, ce ne sono dieci finte, e spesso le catene continuano anche quando gli interessati non ne hanno più bisogno - spesso perché non hanno fato in tempo a riceverne i benefici, purtroppo-. Ci sono casi in cui faccio eccezioni: quando vedo con i miei occhi quanto una situazione sia grave. Per questo, ferita dal dolore di cui sono stata testimone, mi faccio promotrice di un appello:
AIUTIAMO ANNA FALCHI A DIVORZIARE DA RICUCCI
In due giorni ho visto Anna Falchi in tv cinque volte dichiarare turbata la fine del suo amore con l’imprenditore più sfigato nella storia degli scandali italiani. Il problema è, spiegava Anna trattenendo le lacrime, che lei non può permettersi economicamente la separazione: non guadagna abbastanza da poter avere una casa sua ed essere indipendente. Questa rivelazione, oltre a suscitare in me un sincero moto di solidarietà per una donna sofferente che affronta con tanta discrezione il suo dolore, risolve un dubbio che mi tormenta da anni: possibile che davvero paghino Anna Falchi per fare quello che fa, cioè dire gaffes e mostrare le tette? |
Quand’ero piccola, sulla strada tortuosa che portava al paesino di mia nonna nel cuore del Cilento, c’era un cimitero di campagna. Sul muro che affacciava sulla strada c’era una frase, scritta a grandi lettere con uno spray blu:
...MA L’ANIMA NON MUORE.
Ricordo quella frase da sempre. Mentre diventavo grande, riflettevo e cambiavo idee sulla religione, continuavo ad amare quel pezzo di muro che segnava la strada verso il paese. Ricordo che mi piaceva soprattutto la punteggiatura, invertita rispetto al’uso consueto: i punti sospensivi all’inizio che si riallacciavano ad un discorso sospeso, il punto finale che rafforazava l’affermazione consolante mi trasmettevano molta serenità.
Ripassando dopo un bel po’ di tempo da quelle parti, mentre guidavo mi sono girata quasi meccanicamente verso il muro per farmi salutare dalla vecchia frase.
Che non c’era più.
Sono stata salutata da: SCUDETTO E BERLUSCONI FATE KAKA’
Ogni epoca ha il motto che si merita. |
La voce narrante del romanzo è quella del protagonista Hoden Caulfield, un sedicenne difficile di famiglia benestante, che, espulso dall’ennesima scuola, torna nella sua New York, dove vaga per un paio di giorni e notti, cercando di ingannare il tempo in attesa di tornare a casa dai suoi. All’inizio Holden sembra proprio –licenza poetica - uno stronzetto: sboccato, orgoglioso di essersi fatto cacciare di nuovo da scuola, schifato e ipercritico verso tutto e tutti. Il libro sembra svolgersi senza capo né coda, con Holden che pesca dalla memoria episodi disparati, dai suoi compagni di scuola al fratello morto. Intanto si ficca in tutti i bar di New York, fumando come un pazzo e cercando, con poco successo, di farsi vendere alcoolici nonostante sia minorenne. Mi veniva da chiedermi: ma perché questo libro è considerato un romanzo di formazione? Poi, continuando a leggere, mi sono resa conto della bravura dell’autore nel lasciar trasparire, dietro l’apparenza ruvida e sfacciata di Holden, la sua fragilità e confusione di fronte ad un mondo che non gli piace ma a cui sa che dovrà prima o poi adeguarsi. E ho capito che Il giovane Holden non è un romanzo di formazione tradizionale in cui il lettore assiste dall’esterno alla maturazione del giovane protagonista. E’ un romanzo di formazione perché narra dall’interno quello che ogni adolescente pensa e immagina, ma non dice. Senza censure: la tragicomica scoperta del sesso, la ribellione ai genitori, l’odio per i professori, la difficoltà di relazionarsi con i coetanei.
Comunque, se avete cominciato a leggere Il giovane Holden e il linguaggio grezzo o l’antipatia del protagonista vi impediscono di continuare, vi suggerisco un trucco per farvelo piacere di più. Io l’ho fatto senza rendermene conto, influenzata da quello che avevo appena visto in TV, perché i due personaggi si sovrappongono molto bene.
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Post n°55 pubblicato il 12 Giugno 2007 da jo_march1979
Quando ho scritto della seconda fascia di donne che frequento per lavoro (qui), non conoscevo ancora una significativa variante di studentessa quarantenne fuoricorso, che ho avuto modo di incontrare solo agli orali di stamattina. E' una specie scaltra e infida, perchè si presenta con l'arma segreta, che permette di scavalcare file, eludere domande standard, e assicurarsi almeno un paio di voti in più. L'arma segreta è di produzione propria, talvolta semovente, ma sempre dotata di audio. Va usata con perizia e cinismo, nonchè con sprezzo della morale. Se pensate che esageri, provate voi a fare un esame ad una signora con una bambina di un anno e mezzo in braccio. |
Post n°54 pubblicato il 10 Giugno 2007 da jo_march1979
La La studentessa fuoricorso ultraquarantenne è in genere una signora che si è iscritta all’Orientale di Napoli intorno al 1985 e ha poi abbandonato gli studi per sposarsi o per lavorare. Quando i figli crescono, o il lavoro si stabilizza, decide di portare a termine il cammino inziato tanto tempo prima, e di prendere l’agognata laurea. Sottolineo che ho la massima stima per queste persone così determinate e ammiro la loro decisione di riprendere in mano libri e dizionari dopo tanti anni. Io non ho problemi con queste signore, sono loro che hanno problemi con me. Per quello che ho capito, la cosa che le urta è la mia età: spesso non riescono a prendermi sul serio, perché sono poco più grande delle loro figlie, e mi parlano con condiscendenza per farmi capire che è perfettamente legittimo voler portare il programma d’esame dell’anno accademico 1993-94 e non quello di quest’anno. In altri casi, la differenza d’età tra me e loro le indispone, perché non vogliono farsi “giudicare” da una persona di vent’anni più giovane. Così, se all’esame orale faccio una domanda cui non sanno rispondere (“perché non era nel programma del ’94”) se la prendono con me. Agli esami scritti di ieri è arrivata una signora bionda e super truccata, che copiava maledettamente e si risentiva se, con garbo, le facevo notare che doveva fare un lavoro individuale. Mi saettava con gli occhi perché a suo parere la traduzione era troppo difficile e me ne riteneva personalmente responsabile, nonostante fosse evidente che non l’avevo scelta io. Ad un certo punto ho smesso di riprenderla perché, con due calcoli, ho realizzato che la mia incolumità fisica era più importante dell’ irreprensibilità del suo elaborato.
Sempre nel delirio degli scritti di ieri, ho avuto la fortuna di conoscere uno splendido esemplare della mia fascia preferita, quella delle ultrasessantenni. Adoro le signore anziane e un po’ eccentriche, che hanno vissuto così tante cose da non preoccuparsi più di nulla: dicono e fanno esattamente quello che pensano, in genere con la massima soavità. Ieri agli esami c’era anche una professoressa quasi settantenne, che andrà in pensione a settembre e alla quale, conseguentemente, di scritti e orali non gliene frega più niente. Difatti la prima cosa che mi ha detto, con molta grazia, è stata, ” Bimba, tanto io questi compiti li correggo direttamente all’orale”. Che è quello che vorrebbe fare ogni professore nell’esamificio che è diventata l’università. Ma nessuno lo dice. La prof aveva con sé diversi giornali “Ma faccio solo i cruciverba, mi sono stancata di leggere sempre le stesse notizie”. Tra una parola crociata e l’altra, abbiamo fatto due chiacchiere; la conversazione più interessante è partita dalla sua ammissione di fumare troppo. Quando io, tanto per dire qualcosa, ho risposto” Ma no, professoressa, non fumi così tanto”, lei mi ha sorriso come ad intendere “Ti ho incastrato” ed è partita con il discorsetto: “Bimba, secondo me il fumo non fa male. Guardami, io fumo da quarant’anni (effettivamente è in splendida forma, non dimostra quasi 70 anni)... se il fumo facesse davvero male, morirebbero TUTTI quelli che fumano, non trovi? E’ come quella storia della cocaina nell’aria...ma che stupidaggini! Sai chi è che mette in giro queste dicerie? – abbassa la voce- Quelli che ci governano! per distrarci da quello che fanno...così ci preoccupiamo della cocaina nell’aria o degli effetti del fumo invece dei loro danni al Paese” Io non posso fare altro che annuire. Lei mi sorride di nuovo, mi prende la mano e aggiunge con la stessa dolcezza una mirabile chiosa: “E in ogni caso, se anche il fumo facesse davvero male, sono già arrivata a settant’anni: che mi frega se schiatto due anni prima o dopo?”
Dentro di me so che a 70 anni potrei essere come lei, lo sento: ma non so se temerlo o sperarlo. |
Post n°53 pubblicato il 07 Giugno 2007 da jo_march1979
Fanciulle in fiore- o sfiorite- Per lavoro ho a che fare soprattutto con donne –come succede sempre negli ambiti umanistici -, che possono essere schematicamente suddivise in tre fasce d’età: 20-35 anni; 36-60; 60- finchè Dio vuole. La prima fascia è composta da studentesse e/o mie coetanee. Interagisco con le ventenni soprattutto quando faccio loro un esame all’università; in genere hanno verso di me un atteggiamento variabile, da “Sei giovane, quindi sii mia amica e promuovimi, te ne prego ” a “Sei giovane, quindi non ti permettere di fare la stronza e dammi quest’esame senza fare storie”. Le mie coetanee sulla via dei trenta - o poco più- possono essere mie colleghe traduttrici/ancelle di professori e di solito il rapporto è di una dichiarata solidarietà, stemperata da una manifesta tendenza a fare sgambetti per ridurre la concorrenza. Quando le mie coetanee invece sono studentesse, per me diventa un problema: mi imbarazzo da morire all’idea di doverle esaminare, soprattutto se siamo state compagne di corsi anni fa. La seconda fascia (36-60) è composta principalmente dalle mie datrici di lavoro, o comunque signore con cui lavoro in stato di subalternità. La condizione predominante di questa fascia è l’isterismo, incoronato da una La prima in classifica è ovviamente la mia prof, che mi chiede di fare qualunque cosa, da traduzioni a fotocopie a robe burocratiche – per le quali sono negata-. Giusto ieri mi ha spedito a presidiare gli esami scritti: dodici studenti e sette verbali più un numero imprecisato di foglietti. Chiedetemi di tradurre dal sanscrito – che per inciso non conosco- ma non di compilare un numero di scartoffie superiore a quello degli studenti. Negli esami scritti di ieri però ho avuto modo di incontrare un altro tipo di signora della seconda fascia, più raro ma comunque presente nella mia vita: la studentessa superfuoricorso. - Segue - |
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