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Post N° 45

Post n°45 pubblicato il 06 Agosto 2007 da marea14
 

Omaggio al giudice Antonino Scopelliti
9 agosto 1991 – 9 agosto 2007
16° anniversario

 Il 9 agosto 1991 il giudice Antonino Scopelliti, Sostituto Procuratore Generale presso la Suprema Corte di Cassazione, è stato assassinato dalla ‘ndrangheta in località Campo Piale, vicino Reggio Calabria.
Un commando prima gli ha sparato con la lupara, facendogli perdere il controllo della macchina che è precipitata andando a finire sotto un ponte, e poi lo ha raggiunto nel precipizio dandogli il colpo di grazia con una pistola.
Era un magistrato molto intelligente, preparato, rigoroso ed onesto. Incorruttibile, non si è mai fatto comprare dalla mafia né si è mai piegato ai suoi voleri. La sua rettitudine, unita all’amore per la giustizia, gli è costata la vita
Quando è stato assassinato, infatti, stava preparando la richiesta di rigetto dei ricorsi per Cassazione di noti boss mafiosi condannati nel primo maxiprocesso a Cosa Nostra … e questo la mafia non lo ha tollerato ed ha, nello stesso tempo, lanciato un messaggio trasversale, una
precisa minaccia nei confronti di chi si sarebbe dovuto occupare del processo in Cassazione.
La Calabria, con la scomparsa di Scopelliti, uomo di grande spessore e statura morale, ha perso uno dei suoi figli migliori … e tutti noi abbiamo perso un grande magistrato impegnato nella lotta alle mafie.

In omaggio alla memoria del giudice Antonino Scopelliti, voglio ricordarlo con le parole di sua figlia Rosanna e di due insigni magistrati: Giovanni Falcone Antonino Caponnetto.

L’undici dicembre scorso sua figlia, Rosanna Scopelliti, ha scritto sul sito dedicato a Rita Atria:
Una sera di 15 anni fa rimasi raggelata davanti alla televisione. Una voce fredda e frenetica annunciava all’ Italia che in località Piale, vicino Reggio Calabria veniva ucciso mio padre: il magistrato Antonino Scopelliti. Avevo sette anni. Da quel giorno non avrei più avuto un papà. 
 
… (omissis) … papà è stato ucciso più volte. E’ stato ucciso da un silenzioso patto tra mafia e ‘ndrangheta, dal silenzio comprato di alcuni calabresi, dalla distrazione della gran parte dei media e, soprattutto, dalla Giustizia. Si, sembra il più stridente dei paradossi, ma è così. Il colpo mortale alla sua memoria è stato inflitto da quella stessa Giustizia per la quale papà si è immolato mettendo al centro della sua vita il suo lavoro e ciò in cui credeva, e tutto in nome di un tacito giuramento fatto il giorno in cui divenne Magistrato della Repubblica Italiana. Faceva il suo lavoro il mio papà, normalmente, con coscienza, con dedizione. Ma niente che fosse fuori dal normale o eroico. Semplicemente quello che un magistrato doveva fare. Lui come tanti, troppi altri giudici. Livatino, Terranova, Chinnici, Saetta, Borsellino, Falcone… L’ elenco è tristemente interminabile. Un susseguirsi di lugubri ed assordanti spari che hanno ucciso loro e continuano a straziare le anime di noi che siamo rimasti vivi…silenziosi fantasmi che nonostante tutto non hanno perso la forza di combattere per continuare a vivere anche per i propri cari.
… (omissis) … Così il maxi processo era sistemato. Chi avrebbe dovuto giudicare le condanne avanzate da Falcone e Borsellino era stato messo a tacere per sempre. Chi era noto per aver sempre lottato per la certezza della pena era stato eliminato per sempre dal panorama giudiziario. Chi da sempre si era battuto per garantire il carcere a pericolosi criminali nonostante l’ostruzionismo e la sospetta transigenza da parte di soggetti del calibro di Corrado Carnevale detto l’ “ammazza sentenze” era stato punito a dovere e non solo per non aver accettato di essere ‘tenero e prezzolatamene distratto’ nelle sentenze del maxi processo, ma anche per tutte quelle volte in cui aveva svolto coscienziosamente il suo dovere, facendo crollare i delicati equilibri messi appunto tra le mura di dove lavorava. … (omissis) …

Giovanni Falcone, una settimana dopo l’assassinio di Antonino Scopelliti, in un articolo (dal titolo “Perché Scopelliti? Mafia, i nuovi bersagli”), pubblicato su La Stampa del 17 agosto 1991, ha scritto:
L’ultimo delitto eccellente l’uccisione di Antonino Scopelliti è stato realizzato, come da copione, nella torrida estate meridionale cosicché, distratti dalle incombenti ferie di Ferragosto e dalla concomitanza di altri gravi eventi, quasi non vi abbiamo fatto caso. Unico dato certo è la eliminazione di un magistrato universalmente apprezzato per le sue qualità umane, la sua capacità professionale e il suo impegno civile. Ma ciò ormai non sembra far più notizia, quasi che nel nostro Paese sia normale per un magistrato e probabilmente lo è essere ucciso esclusivamente per aver fatto il proprio dovere. Ma se, mettendo da parte per un momento l’emozione e lo sdegno per la feroce eliminazione di un galantuomo, si riflette sul significato di questo ennesimo delitto di mafia, ci si accorge di una novità non da poco: per la prima volta è stato direttamente colpito il vertice della magistratura ordinaria, la suprema corte di Cassazione. Non è questa la sede per azzardare ipotesi, né si pretende di suggerire nulla agli investigatori; ma il dato di cui sopra è sicuramente di grande importanza e merita particolare attenzione. Non importa stabilire quale sia stata la causa scatenante dell’omicidio, ma è certo che è stato eliminato un magistrato chiave nella lotta alla mafia, uno dei più apprezzati collaboratori del procuratore generale della corte di Cassazione, addetto alla trattazione di gran parte dei più difficili ricorsi riguardanti la criminalità organizzata. Queste qualità della vittima, ignote al grande pubblico, erano ben conosciute invece dagli addetti ai lavori e, occorre sottolinearlo, anche dalla criminalità mafiosa.
L’eliminazione di Scopelliti è avvenuta quando ormai la suprema corte di Cassazione era stata investita della trattazione del maxiprocesso alla mafia siciliana e ciò non può essere senza significato. Anche se, infatti, l’uccisione del magistrato non fosse stata direttamente collegata alla celebrazione del maxiprocesso davanti alla suprema corte, non ne avrebbe comunque potuto prescindere nel senso che non poteva non essere evidente che l’uccisione avrebbe influenzato pesantemente il clima dello svolgimento del maxiprocesso in quella sede. E se tale ovvia previsione non ha fatto desistere dal delitto, ciò significa che il gesto, anche se non direttamente ordinato da <­Cosa Nostra>, alla stessa non era sgradito.
Non si dimentichi, si ribadisce, che Antonino Scopelliti era un magistrato la cui uccisone avrebbe sicuramente determinato l’addensarsi di pesanti sospetti su <­Cosa Nostra>, come in effetti è avvenuto. Si aggiunga che l’omicidio di Scopelliti è avvenuto in terra di Calabria, in una zona cioè dove finora non erano stati uccisi magistrati o funzionari impegnati nella lotta alle cosche. Ciò è stato correttamente interpretato come un preoccupante <­salto di qualità> che non potrà non influenzare il futuro della lotta alle organizzazioni mafiose calabresi e che, già da adesso, suona come un grave segnale di pericolo per tutti coloro che in quelle terre sono impegnati in questa, finora impari, battaglia. Se così è e purtroppo ben pochi dubbi possono sussistere al riguardo le conseguenze sono veramente gravi. E’ difficilmente contestabile, infatti, che le organizzazioni mafiose (<­Cosa Nostra> siciliana e <­’ndrangheta> calabrese) probabilmente sono molto più collegate tra di loro di quanto si affermi ufficialmente e che le stesse non soltanto ben conoscono il funzionamento della macchina statale, ma non hanno esitazioni a colpire chicchessia, ove ne ritengano l’opportunità; e alla luce dell’esperienza fatta non si può certo dire che finora queste organizzazioni abbiano fatto passi falsi. Non sembri un caso che il maxiprocesso qualunque ne sia la valutazione che ognuno ritenga di darne in termini di efficacia nella lotta alla mafia sia stato scandito in tutte le sue fasi, a cominciare dalle investigazioni preliminari, da assassinii di magistrati e di investigatori con conseguente pesante e inevitabile condizionamento psichico per tutti coloro che per ragioni di ufficio se ne sono dovuti occupare. Adesso il maxiprocesso che gronda del sangue dei migliori magistrati e investigatori italiani è approdato all’ultima istanza del giudizio, la Cassazione, ed era stato affidato a chi, Antonino Scopelliti, già più volte, con serenità e coraggio, aveva espresso il punto di vista della pubblica accusa, in ultimo opponendosi alla scarcerazione per decorrenza dei termini degli imputati; scarcerazione poi concessa dalla suprema corte con conseguente intervento governativo per bloccare le erronee scarcerazioni. Non ci vuol molto a capire, allora, che, a parte le eventuali particolari causali dell’omicidio di Scopelliti, lo stesso sarebbe stato inevitabilmente recepito dagli addetti ai lavori come una intimidazione nei confronti della suprema corte
(omissis).

Antonino Caponnetto, in un discorso fatto agli studenti di Rosarno (in provincia di Reggio Calabria) il 12 dicembre del 1996, ha detto:
Avete avuto un grande esempio in questa terra: Antonino Scopelliti, un grande magistrato. Gli ho voluto bene, conoscevo il suo impegno, la sua dedizione allo Stato. Eppure sembra che lo si voglia dimenticare, che lo si voglia rimuovere dalla coscienza. Non c’è una piazza o una via intitolate a Scopelliti, mentre sono migliaia le piazze intitolate a Borsellino e Falcone. Perché questo silenzio su Scopelliti, anche se si sa tutto sul ‘come’ e sul ‘perché’ è stato ucciso? La sentenza di morte di Scopelliti fu firmata quando accettò di sostenere l’accusa nel maxiprocesso in Cassazione contro la mafia palermitana. Era il magistrato più coraggioso, più invulnerabile. Gli furono offerti 5 miliardi perché porgesse la mano ai boss in difficoltà. Era temuto per la sua intelligenza e la sua onestà. E come si può dimenticare un sacrificio di questo genere? Come ha fatto Scopelliti, bisogna rispondere “NO!” alla mafia, per difendere la legalità, che in Calabria tarda ad affermarsi.


A distanza di numerosi anni le parole e le riflessioni di Antonino Scopelliti, sono ancora estremamente attuali … come amaramente attuali sono anche queste considerazioni:
"……….
Ed oggi il giudice è solo con il nuovo brigante, il brigante con tanto di colletto e cravatta; il brigante che... partecipa alla vita pubblica, controlla la vita economica...;
il giudice è oggi ancora più solo perché sono cronaca quotidiana gli attacchi personali... le pesanti insinuazioni sulla sua correttezza, le campagne denigratorie...
ma il buon giudice sa che la verità ha più nemici che amici
……….."
(da: "Scopelliti, morte di un giudice solo" di Antonio Prestifilippo)

Sono trascorsi 16 anni da quel lontano agosto in cui la mano assassina della mafia si è abbattuta sul giudice Scopelliti … ed i suoi familiari attendono ancora giustizia
Nella piazza di Pellaro (in provincia di Reggio Calabria), su una grande macina, posta in memoria di Scopelliti, è incisa una frase di Martin Luter King:
“non ho paura delle urla dei violenti, ma del silenzio degli onesti”

Esprimo solidarietà e vicinanza ai familiari di Antonino Scopelliti ed in particolare abbraccio forte forte e con immenso affetto sua figlia Rosanna: aveva soltanto 7 anni quando suo padre è stato assassinato …
Il 20 gennaio scorso Rosanna ha scritto:
oggi sarebbe stato il compleanno del mio papà: 72 anni.
Spesso provo ad immaginare come sarebbe stato lui adesso.
Di certo lo sguardo non sarebbe cambiato: divertente, giusto e severo...forse con qualche ruga in più a renderlo ancora più profondo.
Sicuramente sarebbe stato bellissimo con i capelli bianchi e le spalle un po' curve a proteggermi come faceva quando ero bambina, di certo la sua voce sarebbe stata uguale, un dolce sussurro capace di rendermi felice con un semplice:"Ciao Biancaneve!"
Ripenso a quando era con me e sorrido un po', forse per nascondere qualche lacrima, o forse perchè di lacrime non ne voglio far più cadere.
E rivedo una bambina acciambellata come una gattina su un divano di pelle mentre accarezza la testa del suo papà, lo stringe forte forte ... (omissis) ... Lui sorride e la porta in braccio nel lettone, le rimbocca le coperte e le sussurra un dolcissimo 'Ti voglio bene!', poi scompare nel buio accostando la porta, e allora la bambina socchiude gli occhi e lascia scappare dalle labbra socchiuse un silenzioso 'Anche io papà...' mentre nel cuore spera che quei giorni insieme siano per sempre.
Quante volte, crescendo, ho ripensato a quel 'Ti voglio bene' che avrei voluto gridare e che non sono mai neanche riuscita a sussurrare! Quante volte penso a quanto sarebbe stata diversa la mia vita se lui fosse stato al mio fianco, quante volte mi immagino ragazza accanto a lui.
Quante cose avrebbe voluto raccontarmi, quanti consigli mi avrebbe voluto dare vedendomi cozzare contro la mia impulsività.
Eppure certe volte lo ritrovo nelle piccole cose e capisco che è dentro di me, che è in ogni battito del mio cuore ... (omissis) ... E l'unica cosa che posso fare per lui adesso è battermi per la verità, senza sosta, per regalargli quella meritata giustizia che gli è stata paradossalmente negata.
L'unica cosa che posso fare è portare avanti la sua memoria ed il suo esempio.
L'unica cosa che posso fare è rimboccarmi le maniche per realizzare il suo sogno di una Calabria migliore, libera e feconda dei sogni dei suoi figli.
L'unica cosa che posso fare è continuare a camminare con voi ragazzi, nonostante i problemi, nonostante le calunnie, nonostante l'ostruzionismo di chi ha la coscienza sporca di sangue e le mani pulite dall'omertà.
Vi prego, continuiamo a combattere insieme, anche se tenteranno ancora di spezzare le nostre gambe e rendere mute le nostre parole!
Non arrendiamoci mai perchè solo noi possiamo cambiare la Calabria: noi che sappiamo amarla ed odiarla allo stesso tempo, noi che ne vogliamo essere fiera parte, noi che sappiamo di voler vivere tra i suoi campi di ulivi e zagare, noi che vogliamo renderla migliore e, soprattutto, LIBERA.
Non lasciamoci soli!
Buon Compleanno!
Ti voglio bene, papà.
Rosanna


 Ciao Rosanna, il tuo papà continua a vivere in te ed in noi … non lo abbiamo dimenticato e non lo dimenticheremo … continua a vivere nei nostri sogni e nel nostro desiderio di un futuro migliore ... è rimasto nei nostri cuori e nei nostri pensieri … custodiamo la sua memoria ed il suo esempio come un bene prezioso … e come te vogliamo che gli sia data quella giustizia che gli è stata negata …
Il mio affettuoso pensiero sarà con te durante le manifestazioni per la celebrazione di questo tragico anniversario … sarò presente anche se, purtroppo, non fisicamente.

________________________________

Reggio Calabria
Piazza Duomo
9 -10 -11 agosto 2007


 In occasione del 16° anniversario dell'assassinio in Calabria del giudice Antonino Scopelliti, il Movimento “Ammazzateci Tutti” e la costituenda Fondazione “Antonino Scopelliti”, in collaborazione con “Libera”, Progetto Policoro, Consorzio di cooperative sociali “Goel”, Centro Servizi al Volontariato Reggio Calabria e con il patrocinio del Ministero per le politiche giovanili, della Presidenza della Giunta regionale della Calabria, della Provincia di Reggio Calabria, del Comune di Reggio Calabria, organizzano a Reggio Calabria, dal 9 all’11 agosto, il meeting “Legalitàlia”: tre giorni di riflessione, incontri, dibattiti, formazione, cultura ed intrattenimento rivolta a tutti i giovani d'Italia.



LA PARTECIPAZIONE AL
MEETING È  LIBERA E GRATUITA

Per il pernottamento i partecipanti, muniti di sacco a pelo o di materassino da campeggio, potranno usufruire GRATUITAMENTE (previa registrazione nominativa) dei locali della Scuola Media "Venezia-Trento", in via F.Fiorentino n.2 (angolo Piazza Castello).

Per informazioni, iscrizioni e registrazioni al meeting:
direct line: 333 83 125 83
mail:
segreteria@legalitalia.org

I lavori del Meeting saranno seguiti ogni giorno in diretta dall'emittente radiofonica nazionale RTL 102.5

Il programma completo del meeting è QUI

 PRIMI RESOCONTI:
- Reggio TV: guarda qui
- Don Ciotti inaugura Fondazione Scopelliti
- Presidente Napolitano ricorda Scopelliti
-
Legalitàlia ricorda Scopelliti
- L’appello di Boemi
- Legalitàlia memoria e impegno

 
Rispondi al commento:
marea14
marea14 il 06/08/07 alle 15:14 via WEB
Grazie a te per esserti fermata a riflettere insieme a me :-)
In questi anni si è parlato troppo poco di Antonino Scopelliti e forse per questo ho sentito il bisogno di scrivere un post più lungo del solito.
A me piace molto un racconto (Il gigante e Salomone) di Maria Rapisardi e lo riporto qui per chi vuole leggerlo. È una storia che mi coinvolge, appassiona, commuove e fa venire i brividi ogni volta che la leggo … ed ogni volta provo le stesse sensazioni, immutate, della prima volta perché è sorprendente il modo in cui il gigante riesce, con poche parole, a sintetizzare la figura del giudice Scopelliti, restituendocela in tutta la sua grandezza: "Figghiu beddu, figghiu randi, onuri e vantu 'i tuttu 'u paisi, giustu Salumuni di sti tempi 'ngrati!..."

IL GIGANTE E SALOMONE
Era nato su una collina a ridosso di Campo Calabro, da rudi ma onesti contadini: il padre era un uomo di media statura, ma la madre era gigantesca, bionda e con gli occhi cerulei.
Quando la gigantessa partorì il piccolo, questi aveva gli occhietti neri e sembrava una cosina che lei poteva racchiudere nel palmo di una mano, ma dopo qualche mese aveva cambiato le iridi in un pallido celeste e, col passare degli anni, era cresciuto il doppio dei suoi coetanei.
A vent'anni aveva superato in altezza la madre e misurava ben due metri e nove centimetri.
La fatica dei campi dal levar del sole sino al tramonto gli aveva forgiato dei muscoli duri e tesi sotto la pelle chiara e gli aveva ricoperto di calli il palmo delle mani per non parlare dei piedi, sempre scalzi, che la natura difendeva con una dura soletta di callosità.
Un giorno, mentre dall'alto della sua erculea statura dominava un campo di grano che falciava cantando, lo raggiunse la madre con una cartolina in mano.
Correva affannata tra le spighe mature e il figlio le andò incontro e, quando le fu vicino, la prese per la vita e la sollevò in alto.
"Scindimi" gridò lei "Santinu ti mandaru sta cartullina".
"Cui?"
"U Guvernu...iaia 'do parrucu e mi rissi che a partìri pa guerra" e scoppiò a piangere.
Era la guerra del 1915-18 e Santino partì.
Le taglie più grandi della divisa militare non riuscivano a coprire i suoi muscoli esplodenti, né vi erano scarponi che andassero bene ai suoi piedi. Lui fu l'ultimo soldato ad essere vestito da soldato perché scarpe e vestiti glieli dovettero confezionare su misura.
Anche in guerra lo chiamarono 'il gigante' e aggiunsero 'ingenuo' perché Santino della vita e di tutte le sue complicazioni non sapeva nulla, lui che era cresciuto solo a contatto con la semplicità della terra e degli insegnamenti, pieni di saggezza, di suo padre.
Ma ciò che affascinava i compagni d'arme era l'allegria e il sorriso dilagante sulla sua faccia di fanciullo.
Era stato mandato in montagna tra muli che dovevano salire per ripide mulattiere carichi di armi, viveri e munizioni e Santino saliva allegramente cantando gli inni patriottici che aveva imparato e tutto per lui era lieve e piacevole come un gioco.
Gioiva a parlare coi muli e coi compagni perché, quando zappava la sua terra non c'era nessuno con cui parlare, tranne la sera, a casa, coi genitori.
Ogni tanto lo pizzicava la nostalgia delle serate accanto al camino che ardeva sotto il paiuolo dove la madre rimestava la cena e, accanto al fuoco, il padre con parabole dell'antico e del nuovo testamento, gli additava le linee fondamentali della vita, le cose che veramente contano per vivere bene qua e là e puntava l'indice prima giù e poi sù.
Una sera che il suo cuore subiva i morsi della nostalgia, giunse improvvisa la notizia che S.M. Vittorio Emanuele III avrebbe ispezionato il reparto. Ci fu un gran da fare: dal Generale all'ultimo fante tutti furono mobilitati per fare qualcosa di inusuale. Dalle latrine alle trincee all'ospedaletto da campo si fece pulizia straordinaria e dappertutto si mise tutto in ordine straordinario.
Fanti, muli, cannoni, baionette rilucevano se il sole faceva capolino fra le nuvole e persino le crocerossine, giovani e impeccabili nelle loro divise, oltre a mettere in atto una igiene straordinaria, raccolsero fiori di campo e qualche edelweiss che la montagna non lesinava e colmarono degli improvvisati portafiori che erano i bossoli di ottone dei proiettili sparati dai nemici.
Alla fine, il Generale chiamò il gigante: il fante Santi Cotronèo. Quando entrò nella tenda del Generale, rimase piegato in due poi si sollevò dalla vita in sù, ma la testa gli rimase piegata sulla spalla. Era la prima volta che il Generale lo vedeva anche se ne aveva sentito parlare, ma rimase lo stesso a bocca aperta
Poi invitò il fante Santi Cotronèo a sedersi. Il gigante con quella testa inclinata da un lato e quel gaio sorriso negli occhi, sembrava che lo schernisse.
"Sedete!" ordinò.
Il fante si piegò sulle ginocchia e sedette tra gli scricchiolii e i gemiti di una sedia stile savonarola che era la preferita del Generale. Il Generale strabuzzò gli occhi e rimase in piedi.
Si affrettò a dirgli quanto doveva, prima che il fante arrivasse a terra scollando le giunture della sedia che continuava a scricchiolare.
"Vada!" disse alla fine. Il gigante ebbe l'accortezza di sollevarsi lentamente piegandosi ancora in due, evitando così di assestare un colpo di testa alla tenda che avrebbe potuto afflosciarsi a terra.
Sgambando, il Crotonèo, rapidamente giunse alla sua trincea.
Dal tenente al sergente, dal caporale ai commilitoni fu un fuoco di fila di domande non meno incessanti delle artiglierie nemiche e così si seppe che, per il giorno della visita del Re, il gigante avrebbe dovuto reggere sulle braccia, stando sull'attenti e per tutto il tempo dell'ispezione, la canna di un obice 5 della lunghezza di 22 calibri.
Venne il fatidico giorno e S. Maestà arrivò.
Tutto il reparto era schierato in perfetto ordine e, in fondo, sorpassando di almeno trenta centimetri le teste di tutti, si ergeva la sagoma erculea del gigante. Quando il Re arrivò davanti a lui dovette indietreggiare di alcuni passi e sollevare la testa per vedere la faccia del fante.
Nell'istante in cui S. Maestà lo guardò, il cielo, uggioso e grigio da tutta la mattinata, improvvisamente si aprì ed un raggio di sole indorò il volto gioviale del gigante che, sull'attenti, teneva l'obice tra le braccia.
"Sembra scolpito da Prassitele!" pensò il Re e, poiché la numismatica era il suo passatempo preferito, pregustava il conio di una bella moneta aurea dove fossero impresse le sue regali fattezze che però avrebbero dovuto sprigionare tutto il vigore di quella forza gigantesca che permetteva al fante Cotronèo di tenere un obice di 22 calibri.
"Da quanto tempo è qui, in questa posizione?" chiese il Re al Generale.
"Esattamente da venti minuti, Maestà." (E non era vero perché il reparto era stato schierato e passato in rivista fin dal mattino: dal caporale, dal sergente da ufficiali e sottoufficiali da tenenti e tenentini e infine dal Generale in persona).
I soldati avvertivano già la stanchezza per la lunga immobilità, ma lui, no, con quel suo viso gaio, il corpo muscoloso, le gambe dritte come colonne e quelle braccia che dal primo mattino, tra un riposo e l'altro, tenevano l'obice!
Sua Maestà aggiunse: "Se non erro, sono passati altri venti minuti dal mio arrivo..."
"Sì, Maestà." assentì il Generale.
"Questo fante, dunque, sostiene l'obice da più di mezz'ora. Gli daremo una menzione d'onore e una licenza premio!..." E sollevandosi, per un attimo, sulle punte degli stivali e guardando in alto, sorrise, ricambiato, dal giovane gigante che era felice di ritornare dai suoi vecchi.
Santino non tornò più al fronte perché, prima dello scadere della sua licenza, la guerra era finita e non raccontò mai a nessuno il suo incontro con il Re, ma fece deliziare il cuore dei suoi genitori dipingendo tutti i particolari dell'episodio. Anche il padre gli diceva: "Non lo dire a nessuno perché non ti crederanno!" Ma poi l'orgoglio paterno, un orgoglio a cui la vita non aveva offerto alcun appiglio, aveva ora trovato un ferreo gancio a cui aggrapparsi e, nei giorni di mercato, quando, lontano dal figlio che zappava nei campi, lui portava nei paesi vicini capi di bestiame da vendere, radunava alla fine attorno a sé un gruppetto di paesani, e raccontava "U raccuntu du Re" palpitando di gioia dinnanzi al piccolo uditorio che lo seguiva in silenzio e con crescente curiosità. Quando arrivava all'episodio della tenda che suo figlio avrebbe potuto far cadere con un solo colpo di testa rimanendo intrappolato insieme con il Generale tra i teli della tenda da campo, i paesani si sbellicavano dalle risa e le donne si asciugavano gli occhi con il grembiule. Così di giorno in giorno, il fante Cotronèo, che ignaro zappava nei campi, era diventato una specie di eroe leggendario. Poi, i più fantasiosi ascoltatori aggiungevano altri particolari chi sul tragico chi sul comico, ma avvisati dal padre, ognuno cercava di non farsi mai beccare dal figlio mentre raccontava la storia del Re.
Quando io conobbi il gigante era già vecchio e con il morbo di Parkinson che gli faceva tremare le mani con ritmici movimenti oscillatori. Anch'io avevo ascoltato dai contadini "U raccuntu du Re" ma lui non me ne parlò mai.
L'ultima volta che lo vidi fu il 18 Agosto 1991. Era a letto e non mi riconobbe.
Nonostante il caldo afoso, lui stringeva tra le dita tremanti il risvolto del lenzuolo e mormorava continuamente: "Mi 'mmazzaru u figghiolu... mi 'mmazzaru u figghiolu... mi 'mmazzaru u figghiolu..."
La vecchia moglie lo sollevò sui cuscini e mi sembrò che, finalmente, mi avesse riconosciuto. Mi avvicinai e lo salutai ancora una volta, ma lui non rispose. Sapendo che non aveva figli, chiesi alla moglie perché dicesse che gli avevano ucciso il figlio e la moglie, costernata, mi rispose:
"Nenti sapistivu chi 'mmazzaru 'u giudici Ninuzzu Scopelliti?"
"Sì..." risposi con un filo di voce.
Altrocché se lo sapevo: anch'io avevo transitato sulla strada dell'agguato la mattina di quel tragico venerdì 9 Agosto.
Alle parole della moglie, il vecchio gigante cominciò a singhiozzare. La moglie gli asciugava gli occhi e tentava di consolarlo mentre lui farfugliava: "Figghiu beddu, figghiu randi, onuri e vantu 'i tuttu 'u paisi, giustu Salumuni di sti tempi 'ngrati!..."
Io sentivo il suo dolore che era anche il mio, che era il dolore di tutti gli uomini onesti! Oh come la rabbia mi bruciava nelle vene mentre il gigante piangeva sconsolatamente come un bambino abbandonato...
"A... a... a... acqua..." farfugliò.
La moglie prese un bicchiere di acqua fresca, glielo portò alla bocca e gli mise sotto il mento un tovagliolo piegato in quattro.
Tra i singhiozzi, sorseggiò l'acqua, ma un rivolo gli scese giù dal mento e inzuppò il tovagliolo.
Lentamente il tremore delle mani diminuì e il vecchio gigante girò la testa sul cuscino e mi guardò. Anch'io lo guardai e vidi che i suoi occhi, ora, mi stavano focalizzando.
Era stremato, dopo tutto quel pianto e non sollevava neanche un dito per allontanare le mosche che fastidiosamente gli ronzavano intorno in quel torrido pomeriggio di piena estate. Io le scacciavo col ventaglio e tornavo a soffiarmi freneticamente.
Ricordavo quanto era stata bella l'estate precedente quando, per intere serate, seduti intorno all'aia, al chiarore della luna, lui raccontava antiche storie bibliche e vecchie leggende contadine!
Parve leggermi negli occhi la nostalgia di quei ricordi e, biascicando parole incomprensibili che la moglie mi traduceva, mi raccontò che una volta, in campagna, mentre lui stava seduto su un sasso, ai piedi di un grande albero di ulivo da un podere vicino era arrivato Ninuzzu .
Lui lo aveva sollevato da terra e se lo era messo a cavalcioni su una gamba: "Arri... arri... cavadduzzu... arri... arri... cavadduzzu..." gli cantilenava dondolandolo e il piccino rideva felice. Lui lo teneva per le manine e Ninuzzu rovesciava indietro la piccola testa con la gola gorgogliante di risate.
"Ma tu chi voi fari quandu si randi?"
Il bambino lo guardava, gli osservava quella gran facciona con i piccoli occhi azzurri sommersi da rughe che sembravano solchi e non gli rispondeva.
"Ora ti raccuntu 'a storia du Rre Salumuni chi rrignava e faciva justizia cu randi saggizza..."
Affannosamente il vecchio gigante continuava a parlare raccontando la storia del giudice Salomone e del ben noto aneddoto delle due donne che si contendevano un bimbo che entrambe reclamavano come legittimo figlio.
Alla fine della storia il gigante aveva chiesto a Ninuzzu se gli fosse piaciuta e il bimbo annuendo, ne aveva richiesta un'altra.
"Una 'o jornu" aveva risposto lui "dumani ti 'ndi cuntu nautra, ma tu non mi rispundisti chi voi fari quandu si randi..."
<b"Salomone, Salomone, voglio fare il giudice come Salomone..." esclamò il bambino.
Il 20 Agosto 1991 anche il vecchio gigante moriva, a pochi giorni di distanza dalla morte del giudice Antonio Scopelliti
Ora questi due giganti della Calabria riposano nello stesso cimitero di Campo Calabro.

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