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Post N° 224

Post n°224 pubblicato il 18 Settembre 2008 da donulissefrascali

FILOSOFIA – STRUMENTO PER CREDERE

 

Il problema del credere in Dio, del credere nell’esistenza di un essere primo, assoluto e trascendente, del suo rapporto con il mondo, non solo si manifesta nell’intera tradizione filosofica, ma lascia su di essa una notevole impronta. Il problema di Dio è il punto di partenza che ha reso possibile la critica filosofica della religione, del suo discorso e del suo potere. Per la filosofia il problema di credere in Dio non costituisce soltanto un interrogativo concettuale, ma anche un modo per affrontare la realtà dell’esistenza dell’uomo e del mondo. Il problema del credere in Dio per i filosofi si impone allora come elemento fondamentale per la comprensione del pensiero occidentale della civiltà religiosa, ma anche per quanto riguarda la prospettiva atea. Sulla base di questa posizione diventa allora importante distinguere tre tipi di approccio: la riflessione che dialoga con la teologia, la riflessione che tende a chiarire il discorso dogmatico, e la riflessione che chiarendo il discorso religioso, ne diventa l’interprete. Non si tratta più di cercare o di scoprire qualcosa sull’importanza dell’esistenza esistenziale del divino, si tratta invece di dare al divino una collocazione all’interno della struttura metafisica del mondo particolarmente rispetto alla libertà e alle conoscenze operative umane. La pratica di questo duplice piano di ricerca, lontano dal voler nascondere unanimismi velleitari o larvate apologie, evidenzia un arricchimento reciproco molto significativo. Siamo certi di non sbagliare nel vedere in esso un possibile paradigma dell’approccio che nel XXI secolo potrà permettere un rinnovamento del problema di Dio e del dialogo tra l’uomo e la tradizione religiosa.

 
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card.napellus
card.napellus il 20/09/08 alle 17:15 via WEB
Prerogativa delle religioni, quasi tutte, è legare l'amore al sesso e quest'ultimo alla procreazione. Questa situazione poteva essere superata, o almeno adeguata in parte ai mutamenti sociali con l'enciclica Humanae vitae, se ho scritto bene, ma sappiamo come andò a finire... Si è persa un'occasione di dialogo e confronto, come dici tu, e ora le distanze sono aumentate. Non si capisce perché amore, sesso e procreazione debbano essere uniti e cosa questo abbia a che fare con la moralità. Per me è molto più immorale una persona che guadagna un milione di euro l'anno rispetto a una prostituta, per fare un esempio, e mi pare che anche Gesù fosse poco gentile coi mercanti nel tempio, e più comprensivo verso le peccatrici. Ma stiamo facendo ragionamenti estremi. Non è vero che non esiste il giusto e lo sbagliato, ma non sono categorie applicabili a queste cose, che cosa c'è di ingiusto nel sesso non finalizzato alla formazione di una famiglia? Dove è sbagliato comprarsi un oggetto che piace anche se non è necessario alla sopravvivenza? Sono da condannare gli estremi, questo si, ma solo perché sono degli eccessi. Cosa vuol dire che il piacere personale lascia l'amaro in bocca? Posso avere un esempio? Intendo dire un esempio concreto. Mi sembra un controsenso: se lascia l'amaro in bocca, se delude, non era piacere. Buona domenica. Andrea.
 
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