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I costi dell'acqua (Fonte "La Repubblica"

Post n°260 pubblicato il 06 Giugno 2011 da vanda.schiavi

Costi, dispersione, efficienza
i falsi miti dell'acqua privata
In vista dell'appuntamento del 12 e 13 giugno, Altraeconomia ha realizzato un
dossier che sfata, punto per punto, tutte le false credenze nate intorno alla
privatizzazione del servizio idrico italiano. Gli acquedotti pubblici non sono
affatto dei "colabrodo". E gestione privata il più delle volte fa rima con
bolletta salata
di GIULIA CERINO
Le valvole di un acquedotto
MITO numero uno: gli acquedotti "pubblici" sono dei colabrodo. "Falso: secondo
i dati di Mediobanca, il peggiore, se consideriamo la dispersione idrica (litri
immessi in rete e non fatturati/abitanti/lunghezza della rete gestita), è
quello di Roma, dove l'acquedotto è affidato ad Acea, una spa quotata in borsa
i cui principali azionisti sono il Comune di Roma, Francesco Gaetano
Caltagirone e Suez". In vista del referendum del 12 e 13 giugno, Altraeconomia
ha pubblicato un dossier "speciale" 1. Lo scopo? Sfatare punto per punto tutte
le false credenze nate intorno alla privatizzazione del servizio idrico
italiano. A partire dai costi. Secondo il Conviri (Commissione nazionale di
vigilanza sulle risorse idriche), per i prossimi 30 anni servono circa 64
miliardi di euro per la manutenzione e l'ammodernamento delle reti idriche di
casa nostra. Due miliardi l'anno, una cifra standard necessaria in ogni caso, a
prescindere dall'esito del referendum. Di questi, il 49,7% è diretto al
comparto acquedottistico (per nuove reti,  impianti e per manutenzione) mentre
il 48,3% alle fognature e alla depurazione. A metterci i quattrini dovrebbero
essere lo Stato, le Regioni e i Comuni d'Italia dato che quelli - spiega Pietro
Raitano, direttore del mensile Altreconomia e curatore del dossier Speciale
Referendum - sono "soldi delle nostre tasse, gli stessi che vengono usati anche
per riparare le strade, per costruire il ponte sullo Stretto o per la Difesa".

REFERENDUM - L'ITALIA SI MOBILITA 2

"IO VADO A VOTARE: PASSAPAROLA" 3

Ed ecco sfatato il secondo mito. Con l'ingresso dei privati, la bolletta non
si ridimensionerà. Al contrario, ai costi standard appena elencati se ne
aggiungono altri. Per fare i lavori infatti (gli stessi che dovrebbero fare gli
enti pubblici) le aziende punteranno al risparmio tentando di "scaricare
l'investimento sulle bollette, come previsto dalla legge". Dunque, nel conto di
ogni italiano saranno inclusi, oltre ai lavori ordinari, "anche gli utili delle
aziende", spiega Raitano. La concorrenza tra privati non basterà a contenere i
costi. Anzi. In assenza di ulteriori interventi normativi e in virtù della
legge Galli del 1994, come modificata dal dl 152/2006, i costi di tutti gli
investimenti sulla rete acquedottistica finiranno in bolletta. Il business
ringrazia. I consumatori non proprio perché - conclude Raitano - pretendere
tariffe più basse significherebbe - trattando con dei privati -
"necessariamente un blocco degli investimenti".

La privatizzazione della gestione dell'acqua prevista dal decreto Ronchi
(numero 135 del 2009) ha dunque di fatto provocato un aumento dei costi. A
dimostrarlo sono anche le cifre del rapporto Blue Book 4 che ha pensato di
confrontare le tariffe della gestione privata con quelle in house. Risultato?
Nel primo caso sono aumentate del 12% rispetto alle previsioni, nel secondo il
dato è rimasto quasi costante (solo l'1% in più). Conferma la tendenza anche
l'annuale dossier 5, realizzato dall'Osservatorio Prezzi & Tariffe di
Cittadinanzattiva, dal quale si scopre che dal 2008 il costo dell'acqua non ha
fatto che aumentare: la media è del più 6,7%, con aumenti del 53,4% a Viterbo
(record nazionale), Treviso (+44,7%) Palermo (+34%) e in altre sette città,
dove gli incrementi hanno superato il 20%: Venezia (+25,8%), Udine (+25,8%),
Asti (+25,3%), Ragusa (+20,9%), Carrara (+20,7%), Massa (+20,7%) e Parma (+20,
2%).

In generale, gli incrementi si sono registrati in 80 capoluoghi di provincia
ma è la Toscana che si conferma la regione con le tariffe mediamente più alte
(369 euro). Costi più elevati della media nazionale anche in Umbria (339 euro),
Emilia Romagna (319 euro), Marche, Puglia (312 euro) e Sicilia (279 euro)
mentre capita spesso di trovarsi di fronte a differenze all'interno di una
stessa regione: l'acqua di Lucca costa 185 euro in meno di quella di Firenze,
Pistoia e Prato. Stessa cosa in Sicilia: tra Agrigento e Catania lo scarto è di
232 euro. D'altra parte, la logica che muove ogni business degno di tale nome -
scrive Luigino Bruni, docente di economia politica all'università Milano-
Bicocca - è quella di fare utili, possibilmente a breve termine. Il
ragionamento fila: "Le imprese private hanno per scopo il profitto. Chi
massimizza il profitto non tiene conto dell'ottimo sociale e difficilmente può
essere controllato, nemmeno con un meccanismo di sanzioni".

Sul tema dell'acqua poi sembra circolino tanti altri falsi miti. Si dice, ad
esempio, che la gestione privata della rete idrica sia molto efficiente.
Sbagliato. "Uno dei migliori acquedotti del nostro Paese - spiega Raitano - è
quello di Milano, al cento per cento di gestione pubblica, dove l'acqua viene
controllata più volte al giorno e le dispersioni sono minime". E' quindi
"dogmatico dire che la gestione privata garantisce una migliore gestione della
rete. Le esperienze che si sono fatte in questi anni in Calabria, ad Agrigento,
a Latina dimostrano che dove gli acquedotti sono passati in mano ai privati c'è
stato solo un aumento delle tariffe". E' successo in Calabria, dove alcuni
sindaci della Piana di Gioia Tauro si sono visti raddoppiare la bolletta. A San
Lorenzo del Vallo, comune di 3.521 abitanti della provincia di Cosenza, il
conto è salito da 100 a 190 mila euro l'anno perché  -  spiega il sindaco  - 
l'azienda che gestisce l'acqua in tutta la Calabria (la So.Ri.Cal) con
concessione trentennale ha arbitrariamente aumentato la tariffa del 5%. Una
cifra, questa, pari all'intero bilancio del piccolo comune che, non avendo
saldato il debito, e stato dichiarato moroso.

Privati o no, la gestione idrica pubblica in Italia sembra aver fallito. Il
Belpaese spreca acqua continuamente. Ogni giorno si perdono circa 104 litri di
sangue blu per abitante, il 27% di quella prelevata. Considerando ogni singolo
italiano si scopre che consumiamo a testa in media 237 litri di liquido al
giorno: 39% per bagno e doccia, 20% per sanitari, 12% per bucato, 10% per
stoviglie, 6% per giardino, lavaggi auto e cucina, 1% per bere e 6% per altri
usi. A fronte di un terzo dei cittadini che non ha un accesso regolare e
sufficiente alla risorsa idrica, otto milioni di italiani non ne hanno di
potabile e 95 milioni di litri di acqua che, ogni anno, vengono usati per
l'innevamento artificiale. Dunque il problema - conclude il dossier - non si
risolve nemmeno affidando l'acqua ai privati che - per loro natura  -
tenderebbero a spostare le reti idriche nelle zone d'Italia più fruttuose. Il
punto semmai è la totale assenza di un piano normativo, economico ed
amministrativo nazionale volto a finanziare e supportare le tecnologie
necessarie. In alcune regioni d'Italia mancano ancora gli Ato, ambiti
territoriali ottimali, territori appunto su cui sono organizzati servizi
pubblici integrati. Come quello dell'acqua o dei rifiuti. 

 
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