Quando torno a casa, prima di entrare guardo sempre dentro la cassetta delle poste. Lo considero l’ultimo pericolo prima di rinchiudermi al sicuro tra le mie quattro mura. Quando vedo che contiene qualcosa mi agito. Se mi va bene è un semplice foglietto pubblicitario, ma può essere anche una bolletta, una multa, o uno di quei misteriosi fogliettini che ti avvisano che c’è qualcosa di fondamentale per il tuo futuro custodito gelosamente in un cassetto di un ufficio postale sito in un quartiere che tu nemmeno hai mai sentito nominare. E che hai solo due giorni per recuperarlo o… Dalla fessura scorgo che la cassetta contiene una lettera, una lettera classica con la busta, suppostamente incollata con la saliva. Chi è che scrive lettere nel 2016? Mentre cerco le chiavi per aprire, mentalmente calcolo quando mi è rimasto nel conto e quanto ho in tasca, tenendo presente che è la fine del mese, e qual è la cifra che posso sostenere nel caso si tratti un qualche tipo di avviso di pagamento. L’umore già cambia. Passo da un precoma indotto da abuso di scoglionamento e stanchezza, a una più malinconica prostrazione nello scoprire che se la multa, o quello che è, supera i venti euro, rischio di mangiare pasta in bianco per almeno una settimana. La vita dei poveri è un tutta un gioco di cifre a levare, un conto alla rovescia a rincorrere la prossima busta paga. Quando c’è.
In verità quando la prendo in mano, non noto nessun logo o marchio, e questo già mi tranquillizza, anche se il povero sa che il pericolo maggiore si presenta sempre quando non sospetta il pericolo. Non c’è mittente, e non riesco nemmeno a capire dal timbro sul francobollo da dove è stata spedita; quindi non mi resta che aprirla. Al suo interno c’è un cartoncino che reca su un angolo una spessa striscia nera, e sulla facciata, scritte in un carattere svolazzante, poche righe che leggo nervosamente in cerca di una cifra che fortunatamente non c’è. E’ solo morto mio zio Tonino. Sul foglietto lo chiamano Sig. Giuseppe Trozzo, ma è zio, zio Tonino. Mi torna il sorriso. Quello era uno che gli piaceva bere, mangiare, fumava come un turco e non glien’è mai fregato niente del colesterolo, figurati. Glielo dicevamo tutti “Stai attento Tonì”, ma lui ti ruttava in faccia se gli girava bene, altrimenti ti tirava una loffa che tremavano le pareti. Il foglietto dice che sono invitato al funerale, domani mattina. Allora ci penso e mi dico: “Ma sì, che a me i funerali mi fanno schifo, però a zio Tonino lo voglio salutare, che è stato un esempio”.
Faccio le scale con lo stato d’animo di uno al quale un missile è passato a due centimetri dalla testa evitandolo per miracolo, ma quando arrivo davanti alla porta di casa, mi viene in mente che io non c’ho manco una giacca da mettermi domani. E mica al funerale di zio Tonino ci posso andare col piumino rosso fluorescente dell’Eurospin in offerta a quindici euro. Così mi metto a cercare dentro l’armadio qualcosa di scuro almeno, ma trovo solo un maglione blu intenso a righe rosse, e una giacca di pelle con dietro cucito un teschio che tiene tra i denti di vampiro una coscia sanguinante con tacchi e calze a rete. Per un attimo penso che potrei mettermi il maglione a tracolla e cercare di coprire il disegno, ma quando provo a indossare il giubbotto scopro che non riesco a infilare nemmeno il braccio nelle manica. E allora è vera emergenza.
Di corsa telefono a mio cugino, il primo che mi è venuto in mente, senza un vero perché, o solo per quell’istinto insensato che in caso di bisogno ti fa pensare ai parenti. La telefonata è disturbata, c’è un rumore terribile in sottofondo. Gli chiedo se ha una giacca nera da prestarmi ma mi risponde che pure lui deve andare al funerale, perché è il figlio del morto, e che userà quella della sua prima comunione, che ha una vicina che a cucire è un fenomeno e gliel’allarga. Gli domando se per caso la giacca da prestarmi ce l’ha la vicina, e lui dice che la vicina è un ex suora di clausura che adesso vive con la pensione del Vaticano arrotondando con dei lavoretti in nero, e che per questo è sola e che quindi no, poi mi saluta e mi attacca senza lasciare il tempo di replicare. Parenti serpenti.
Mentalmente scarto tutti gli di amici perché sono di quelli che pure a un matrimonio ci andrebbero in piumino, scarpe da ginnastica rosse di marca, ma false, e risvoltini. Poi mi viene in mente mia madre che almeno il vestito del matrimonio di mio padre se lo sarà conservato. Anche se è grigio non fa nulla a questo punto. Il povero è abituato da sempre ad accontentarsi della cosa che assomiglia di più a quello che vorrebbe sapendo a priori che non l’avrà mai.
Mamma ci mette un po’ a capire la situazione. Quando capisce che non ho una giacca per andare al funerale di zio Tonino mi ricorda che lei a me non mi voleva. E ricomincia con quella storia che ripete fin da quando ero bambino, che lei aveva già tre figli ed era già grande, e che avrebbe voluto abortire ma poi la madre di mio padre, mia nonna, quella “scassacazzi” fece così tanto casino che alla fine mi tenne, ma che comunque lo sapeva che sarei stato un fallito. Io ascolto in silenzio tutta la tiritera per non indispettirla dato che mi serve il suo aiuto, e solo alle fine del discorso, in un momento in cui l’enfisema la costringe a riprendere fiato, mi infilo e le ripeto se può aiutarmi dandomi la giacca del matrimonio di papà. Lei nemmeno mi risponde, sento che appoggia la cornetta sul tavolo e che inizia a ciabattare allontanandosi. Dopo un po’ ritorna e mi dice che non la trova, che forse l’ha regalata o data ai poveri. Ma mamma i poveri siamo noi, le rispondo, non ho nemmeno una giacca. E allora lei mi dice che non è colpa sua se non ho nemmeno i soldi per comprarmi una giacca, che non è un problema suo che nemmeno mi voleva, eccetera, eccetera… ma stavolta non finisco di ascoltare la storia e attacco.
Per curiosità esco a farmi un giro, per vedere quanto costano le giacche, già sapendo che non ne troverò mai una da cinque euro. Perché il povero è intimamente aggrappato all’idea che un giorno gli possa capitare per sorte l’evento che riesca a cambiare la sua vita come non può farlo lui.
E poi niente. Torno a casa, ed è già sera. Nel frigo due spinacine in offerta arredano i bianchi deserti degli scaffali. Penso a zio Tonino, e alle sue scorregge. Mi scende una lacrima.
Per me, non per lui.
Post n°1413 pubblicato il 23 Novembre 2016 da non.sono.io
Non so se ti sei mai accorto che, quando puzziamo, noi siamo sempre gli ultimi a sentirlo. E’ come se il nostro olfatto, per qualche motivo di quelli che hanno a che vedere con l’evoluzione, in un primo momento classificasse quell’odore come un’estensione naturale del nostro corpo. Un po’ come il cervello considera le braccia parte di se stesso, ed è per questo che non badiamo al fatto di camminare con due strisce di carne e muscoli che ci penzolano sui fianchi. Non conosciamo l’odore dei nostri capelli, se non li inquiniamo con qualcosa, né avvertiamo quello delle unghie. Per quei motivi che attengono l’evoluzione, il naso dice che non serve, che sono cose nostre e non gli interessa. O almeno questo sembra. |
Post n°1412 pubblicato il 04 Novembre 2016 da non.sono.io
C’è un ragazzino nel sedile accanto al mio. Non è nemmeno un ragazzino, è un moccioso, un poppante, avrà due anni o che cazzo ne so che a quell’età sembrano tutti uguali. E’ da quando è partito il treno che non fa che agitarsi, piangere, lamentarsi. La madre fa finta non esista. Ha gli occhi annacquati dall’indifferenza di colei che ha esaurito qualsiasi forza dopo la terza notte insonne. Il pentimento di aver scelto di figliare le ha scippato ogni volontà di opporsi alla pena che si è autoinflitta, e tutti i suoi anni migliori, o supposti tali. Le madri nel ventunesimo secolo hanno tutte questa stanchezza nello sguardo, che a me ricordano tanto quelli degli operai all’uscita dalla Mirafiori in certe interviste degli anni Settanta. “Chi cazzo me l’ha fatto fare”, sembra si ripetano in un mantra incoffessabile a chiunque. |
Post n°1411 pubblicato il 27 Ottobre 2016 da non.sono.io
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Post n°1410 pubblicato il 12 Ottobre 2016 da non.sono.io
Il cameriere si è già allontanato con le ordinazioni, ma io continuo a fissare il menù. So già che se distolgo lo sguardo, se alzo la testa, sarò costretto a trovare un argomento di conversazione oppure, peggio, dovrò ascoltarne uno suo. Le donne sono pessime conversatrici: la maggior parte delle volte il loro concetto di dialogo consiste nello sciorinare vicende della propria vita, in cosa gli è successo a lavoro, e in generale a cose che ruotano sempre intorno a loro stesse. Nessun uomo uscirebbe mai con una donna se non avesse la figa, la compagnia degli uomini in media è di gran lunga migliore, e le femmine più sveglie lo sanno. Le donne non badano a chi si trovano di fronte, a loro basta che tu le stia ad ascoltare, perché maturano prima degli uomini è vero, a tredici anni sono molto più serie di un maschietto, ma poi si fermano lì e passano il resto della vita a confondere la maturità con l’isteria, la profondità con la confusione mentale. E quando con l’età diventano completamente bipolari, se ne vantano: sono “pazza”, sono “matta”, sono “lunatica”, dichiarano con un sorrisetto ironico e allo stesso tempo ammiccante. Se un maschio dicesse a un altro maschio di essere lunatico, quello gli consiglierebbe di farsi curare, ma le donne hanno la figa, così è tutto un rispondere agli ammiccamenti e loro imparano che è questo il modo di stare con l’altro sesso. Col passare del tempo, un uomo cerca di trovare delle linee guida nella vita, pure fasulle non importa; le donne invece si convincono che risiede nel loro non averci capito niente la loro forza, mentre nella realtà è solo una questione di scollatura. |
Post n°1409 pubblicato il 06 Ottobre 2016 da non.sono.io
Una goccia scende lenta giù dallo specchio, e punta al lavandino. Io la seguo con gli occhi fino a quando quella mi passa sulla fronte riflessa, e allora diventa inevitabile incontrare il mio sguardo. Istintivamente mi aggiusto i capelli con una mano, ripetendo meccanicamente il solito gesto che compio tutte le volte che sono nervoso. Celarmi le calvizie con i ciuffi rimasti mi fa sentire meglio, più sicuro, più calmo. Ma è una distrazione da poco: ci metto un attimo a ritornare nella realtà, in questo cesso, con le braghe calate, e il cazzo moscio. |
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