Creato da non.sono.io il 10/11/2005

NON E' UN BLOG

E' un dentifricio

 

 

« POTEVAMO EVITARLO MA....IL GIORNO DELLA SINCERIT... »

IL GIORNO DELLA SINCERITA' - Parte I - Del naso del Signor D'Amore

Post n°1274 pubblicato il 22 Febbraio 2012 da non.sono.io
Foto di non.sono.io

La cometa passò sulla città esattamente alle tre e sedici minuti della notte, ed è per questo che nessuno la notò sorvolare il cielo. Le persone in strada a quell’ora erano troppo ubriache per riuscire a rendersi conto che quella scia verde fosforescente non era un riflesso dei fumi dell’alcool, e gli altri, tutti gli altri, siccome era martedì stavano dormendo in attesa che la sveglia ordinasse loro di alzarsi da letto. La cometa attraversò la città in poco meno di sette minuti, da nord a sud. Comparve da dietro le colline e sparì nel mare. 
Anche il signor D’Amore dormiva. Non che per lui facesse differenza se fosse un giorno festivo o lavorativo, già che era sua abitudine coricarsi non più tardi delle nove e trenta e svegliarsi di buon’ora. L’ultima volta che si era attardato nel letto fino a oltre le dieci, era una volta che un collega lo portò a vedere un film, il secondo spettacolo, così che rincasò dopo le ventitre. Quel leggero ma sostanziale mutamento dei suoi costumi, lo indusse in un tale stato di prostrazione, che rimase a crogiolarsi tra le coperte oltremisura. Ma era stato tanto tempo fa. D’Amore apprese da quella lezione che non fa bene cambiare le proprie abitudini, perché se uno ha delle abitudini vuol dire che è proprio quelle che vuole avere. D’altronde nessuno mangerebbe frutta, se la frutta non gli piacesse. Dunque il signor Carlo D’Amore, si circondò  con il tempo di piccoli riti che faceva molto attenzione a non infrangere, perché attraverso il loro abbraccio si sentiva al sicuro, e anche se non li rendevano felice, per lo meno gli permettevano di sperimentare una specie di serenità indotta.  Regole. Regole su regole, e la vita scorre liscia come l’olio. 
Prima di tutto la puntualità. Mangiava sempre alla stessa ora, andava a dormire sempre allo stesso orario. Aveva un menù prestabilito per ogni giorno della settimana, a pranzo e a cena. Il giovedì di solito lo dedicava al passeggio, per il quartiere, senza allontanarsi troppo. La domenica andava a trovare la madre. Il mercoledì chiamava sua sorella, che abitava lontano, le chiedeva dei figli, cioè i suoi nipoti, di come le andava il lavoro, e poi si accomiatava sempre con la frase “abbi cura di te”. Il venerdì era il giorno jolly: poteva decidere di ordinare un bicchiere di maraschino con poco ghiaccio al bar, oppure passare in edicola e comprarsi la sua rivista preferita, “Orologi dal mondo”, perché gli orologi, nemmeno a dirlo, erano la sua passione. Una passione che però il signor Carlo trattava come tutte le altre cose, cioè con rigore. Qualcuno a questo punto penserà che D’Amore non fosse in grado di provare emozioni, e invece è sbagliato, perché sì che ne provava, e anche molte, ma gli piaceva tenerle a bada per impedire che gli facessero delle sorprese, che gli creassero degli imprevisti, che uscissero fuori dalla gabbia, come fossero belve feroci da addomesticare. Emozionarsi è piacevole, pensava, ma è un’attività stancante.
Anche quella mattina la sveglia del signor D’Amore suonò puntuale alle sei e trenta.
Carlo scese dal letto, si infilò le sue ciabatte in filo di scozia rosse bordò, si stiracchiò un poco e poi aprì la finestra, come ogni mattina, per controllare il tempo. Il cielo stava sempre lì, apparentemente identico a quello di sempre. Davanti il parco ricoperto di brina, la grande strada che più tardi l’avrebbe condotto alla metropolitana per recarsi al suo posto di lavoro, e la vicina con il suo cane, che lui si apprestò a salutare con un leggero cenno della mano. Fece colazione, si lavò, si vestì e scese in strada.
Non c’erano molte persone in giro, e se ne compiacque. Voleva dire che anche nel mezzo pubblico che stava per prendere sarebbe stato quasi vuoto, forse avrebbe trovato anche un posto a sedere, o forse no, ma sicuramente sarebbe stato più comodo. 
Percorse il viale diretto alla stazione, senza quasi incontrare nessuno. Poi entrò nel tunnel da dove le scale mobili lo avrebbero trasportato direttamente nella banchina. E lì successe qualcosa di strano. Il caso volle che proprio mentre lui scendeva le scale, due signore sulla cinquantina, forse amiche, stavano salendo, così che ci fu un momento in cui i loro sguardi si incrociarono. Una delle due donne iniziò a ridere, proprio in facca al signor D’Amore, e l’altra, indicandolo, prese anche a lei a schermirlo. Carlo prima si  girò, sicuro che qualcosa di buffo si stava svolgendo dietro di lui, ma quando si rese conto che non c’era nessun altro in quel momento sulle scale mobili, fu colto da un indicibile imbarazzo. Un’emozione quindi, e perciò pericolosa. Poi una delle due disse: “Signore, ma lei ha un naso ridicolo! Come fa ad andare in giro così?”, e l’altra scoppiò in una grassa risata. D’Amore rimase basito. C’è gente che beve a quest’ora del mattino? E perdippiù due donne. L’umanità sta impazzendo, rsi disse. Ma poi ripensò al suo naso. Lo sfiorò con una mano per saggiarne la forma. In effetti era un naso orribile, grande e gonfio in punta, ma non gli era mai capitato che qualcuno glielo facesse notare dai tempi delle elementari, quando i suoi compagni lo chiamavano “Rosetta”, per la somiglianza del suo naso con il noto pane romano. Questi ricordi gli misero un po’ d’ansia. Un’altra emozione, dannazione, due in soli quindici minuti. Un segnale di pericolo. Ma come se non bastasse, una volta raggiunta la banchina dei treni, un signore più o meno della sua età, gli si avvicinò guardandolo dalla testa ai piedi, e poi disse: “La sua pochezza traspare dalla sua espressione. Ma non si vergogna?”. D’Amore a quel punto trasalì. Ma cosa gli era preso alla gente quella mattina? Provò a reagire, tentò di chiedere spiegazioni, ma quello aggiunse: “Guardi mia moglie sono due mesi che non me la dà, non ho il coraggio di tradirla e ho i pensieri pieni di sperma. Non ho nessuna intenzione di discutere con un inutile come lei”. E sparì dietro una colonna. D’Amore rimase immobile, in silenzio, coprendosi il naso con una mano. Sapeva che avrebbe dovuto farsi delle domande, ma temeva le risposte. La paura è un sentimento. E quindi evitò di porsele.

 
 
 
Vai alla Home Page del blog

AREA PERSONALE

 

ULTIME VISITE AL BLOG

enza.raffaelecassetta2EasyTouchcartmanzonimariomancino.mfreemaya64naar75la.cozzabonanza76acopballodasola3claudio.bazzantilotus.houseinca70montalcino2006
 

ULTIMI COMMENTI

UNA PORTA

CONTATTA L'AUTORE

Nickname: non.sono.io
Se copi, violi le regole della Community Sesso: M
Età: 51
Prov: RM
 

ARCHIVIO MESSAGGI

 
 << Giugno 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
          1 2
3 4 5 6 7 8 9
10 11 12 13 14 15 16
17 18 19 20 21 22 23
24 25 26 27 28 29 30
 
 
Citazioni nei Blog Amici: 209
 

 
 

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963