Seduto sulla banchina della metropolitana mi guardo un dito. Gli impongo di flettersi cercando di individuare cosa lo spinge ad obbedirmi. Penso: “Piegati” e lui, prima ancora io abbia finito di pronunciare dentro di me il comando, l’ha già fatto. La mia mente formula l’ordine, il mio cervello lo traduce in micro pulsioni elettriche, i nervi si tendono, i muscoli sollevano il fardello, e il mio dito, oplà, si piega.
Ripeto l’operazione, ma non riesco a cogliere cosa lega i miei pensieri all’azione del dito. Non avverto lo scorrere delle mie idee dalla testa al braccio, dal braccio alla mano, dalla mano al dito. E’ quasi una magia.
Vicino a me un uomo passeggia nell’attesa del vagone. Allora penso: “Piegati”. Ma lui rimane in piedi, sporgendosi nel tentativo di avvistare prima di tutti la metro arrivare. Non funziona. Con lui non funziona.
Torno ad osservare il dito. “Flettiti”. E lui ubbidisce. Riguardo l’uomo. “Flettiti”. E lui niente.
C’è qualcosa che non va.
Rifletto. In tutti e due casi la mia mente esprime un’esigenza. In tutti i due casi non ho nessuna sensazione specifica dopo averla espressa. Però in un caso succede qualcosa, nell’altro no. Un fenomeno sconosciuto mi impedisce di estendere i poteri che ho sul mio dito anche al resto delle cose che mi circonda. Deve essere per questo che l’uomo si considera imperfetto.
Poi ho un’illuminazione. Se il mio dito è ubbidiente e non mi chiede nemmeno perché voglio da lui che si pieghi e quel signore invece è così indisponente, posso usare il primo per convincere il secondo ad esaudire i miei voleri.
Mi avvicino allo sconosciuto e comando al dito di tendersi, poi impongo al braccio di stendersi di scatto con forza. L’uomo cade dalla banchina e finisce sui binari sanguinando.
Sei un genio Roberto.