PIERLUIGI CAPPELLO
Le notti calde e gli alisei
Libro e libero sono una cosa
e non c'è distanza che sia desiderare
non esiste fantasia che non liberi distanza,
oscurano il cielo vedono azzurri mai uditi
se un bambino dalle pagine dei libri
li legga stampati e chiari per la prima volta.
Così anch'io ho incontrato il mio Pequod
e ho visto arrampicarsi fino al cielo
le lamiere del Batavia
e ho imparato leggendo gli economici di Hemingway
che se un viaggio dura dalla seggiola di casa
alla scorza del tiglio solitario
non c'è metro che possa misurarne
l'eternità della distanza.
Esistono baie, conforti, fiordi di sonno nascosti
mappe che sono segnate soltanto
nel calore che c'è dietro due occhi
e rade, dove saldi si alzano i desideri
finché non scivolerà via dai sogni
l'impronta di quei sogni,
le notti calde e gli alisei.
Versi da - Un prato in pendio -
Fuck nota
ho potuto affrontare la realtà oggettiva
in questi ultimi due giorni, la realtà fuori
di casa, fuori da tutta la costruzione resiliente
adottata per affrontare questo lungo periodo
di sospensione che dura, per quanto mi
riguarda, da più di un mese.
ho varcato soglie di un due grandi strutture
ospedaliere, per accompagnare,
strutture efficienti ed efficaci nella normalità
appena passata, quella che è accantonata,
probabilmente finita, almeno nei modi.
la realtà è, per me, la cura migliore o, ancora più
onestamente, l'unica cura che il mio modo di pensare,
riflettere, vivere, osservare, vedere, ascoltare la voce del mondo,
accetti.
prendere consapevolezza, vedendoli,
percorsi inibiti e transennati, riservati, indicati
da grandi cartelli recanti scritte indicative di accesso a soli
casi d'infezione, in ospedali silenziosi, svuotati dalle
loro normali attitudini di cura, è stata la giusta iniziazione
alla nuova realtà.
dopo giorni di clausura, sia pure nella dolce accoglienza
del bosco, dove mi è tanto congeniale vivere, dove
astrarmi, perdendo la cognizione del tempo, è inevitabile,
ho transitato nuovamente nella realtà sociale, quella vera.
per i lunghissimi corridoi asettici,
lì, tutti coloro che ho incontrato, indossavano
presidi corretti. l'atteggiamento è già abitudine.
non ho percepito alcun grado di distacco umano, tutt'altro.
non sono una maschera od un paio di guanti a creare distacco.
l'adattamento in corso, protettivo per coloro che ci
circondano e per noi stessi, anch'esso è già attivo, funzionale.
eppure desidero condividere quale è l'immagine che mi è rimasta
maggiormente fissata negli occhi,
non la cortesia degli sguardi,
e la responsabilità serena e determinata del personale,
che c'è sempre stata,
che non ha perso nulla della dolcezza precedente
questo momento senza precedenti,
non il silenzio assordante,
non la gentilezza di chi soffre e prova con ostinata
determinazione a guarire, spremendosi un sorriso
anche quello da leggere dagli occhi,
sono stati i secchi della
spazzatura, nell'immediatezza dell'esterno degli
ospedali, stracolmi di mascherine e guanti,
gettati per essere sostituiti subito dopo.
se, dunque, la realtà dimostra la propria efficacia,
il rispetto siamo noi quelli chiamati a doverlo
dimostrare e, assicuro che non vi è nulla di retorico
nè supponente. quel cazzo di enorme cestino
stracolmo, con salvavita smessi, scivolati anche
al suo esterno, è la rappresentazione della realtà.
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il 06/11/2024 alle 18:09
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il 06/11/2024 alle 16:45
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