La finestra sul tramonto


Aprì la finestra e la stanza si riempì di profumo di salsedine, di grida lontane di gabbiani e di aria fresca.217500_10150212980346329_100316516328_8752378_3074722_n1

Si girò verso la donna che era ancora a letto. Lei gli sorrise e si sollevò il lenzuolo fin sotto il mento, senza nascondere un brivido di freddo.

La guardò e rispose al sorriso. Si girò ancora verso il mare; il sole stava tramontando.

Fece per chiamarla, si fermò. Fissò il sole e poi si girò a guardarla ancora una volta. Le due immagini si sovrapposero sulla retina dei suoi occhi sciogliendole nel mare e colorandolo di rosso.

Un brivido lo percorse. Lei credette che fosse per il freddo. – torna a letto, amore. – disse allungando le braccia verso di lui. Così facendo il lenzuolo le scivolò scoprendole il petto e lui rimase a guardarla, rapito.

Distolse lo sguardo a fatica, sorrise e socchiuse la finestra. Il rumore delle onde lo accompagnò fino ai piedi del letto. Si chinò a baciarla sulle labbra e si infilò sotto le lenzuola.

Chissa se sapevano ancora di salsedine, si chiese
– eccomi amore – disse chiudendo gli occhi.

La avvolse in un abbraccio e la baciò nuovamente.

Sorrise soddisfatto mentre il sole, con un ultimo grazioso inchino, si immerse nel mare.

© Il passo

Come Tristan e Iseut

  • images.jpegAncora a cavallo, appena oltrepassato il ponte levatoio, si tolse l’elmo che gli opprimeva la testa. Una ventata di aria fredda gli accarezzò il viso stanco e graffiato. Alzò lo sguardo alle finestre vuote del primo piano.

Lasciò il cavallo allo stalliere e si precipitò nel grande salone delle armi. Si diresse verso il massiccio tavolo di legno in fondo alla sala vuota, si slacciò gli spallacci che caddero fragorosamente sul pavimento in pietra.

Aprì la porta delle stanze di rappresentanza, tutti gli ufficiali si scostarono per non essere travolti. Non li vide neppure, attraversò i locali che per lui senza di lei erano deserti. Quasi strappò le calotte per potersi togliere il pesantissimo e lucido pettorale. Nonostante il sollievo dal peso tolto non riuscì a respirare.

Si diresse quindi verso la camera nuziale. Il grande letto a baldacchino era pronto, accogliente, pulito e vuoto. Lasciò scivolare la cotta di maglia,  tolse entrambe le ginocchiere ed i cosciali. Nemmeno notò l’enorme camino acceso. Ebbe un brivido di freddo. La stanza senza di lei era gelida.

Fece di corsa il lungo corridoio che lo portò alle cucine. Gli inservienti non fecero in tempo a fargli spazio. Le casse di mele accatastate ancora in equilibrio precario caddero facendo ruzzolare la frutta per la ripida scala di servizio. Lui nemmeno se ne accorse.

Tolse la falda a quattro lame con ancora le scarselle attaccate, fece gli alti gradini a due a due e salì sulla vecchia torre. Dove era il suo amore?

Spalancò il piccolo uscio dei bagni privati. Lei era in ginocchio al centro della stanza rotonda, accanto alla vasca da bagno. Candida, con la pelle color della luna, teneva in mano una brocca d’acqua bollente il cui vapore la rendeva ancora più evanescente. I rossi capelli ad incorniciare il suo bellissimo viso. Gli sorrise, si lisciò la leggera e semplice tunica che lasciava intravvedere il suo esile corpo. Senza alzarsi si piegò verso di lui e cominciò a spogliarlo di ciò che restava della sua armatura.

Lui le prese una mano e se la portò alle labbra. La fece alzare e la strinse a sè. La sentì fremere contro di lui. Sentì il battito dei loro cuori farsi uno solo. Dimenticò la dura cavalcata fino a casa, la fatica, il dolore. Solo lei. Solo lei.

Le slacciò il corto nastro che le sorreggeva la tunica e questa lentamente si posò ai suoi piedi. La guardò, la abbracciò e sorridendo la sollevò portando i due visi alla stessa altezza. Sentì il respiro di lei, caldo, delicato, terribilmente eccitante, mischiarsi al suo.

Il vapore della stanza li avvolse in un caldo abbraccio.


© Il passo

Metamorfosi d’amore

Si trasformava in cenere  il giorno, bruciando nel fuoco del tramonto. Rassegnarsi restava la sola cosa da fare.

IMG_20220127_221023_694
©

Lontani seppur vicini, senza potersi sfiorare senza poter respirare quei “ti amo” pronunciati sottovoce.

Vicini e lontani per riuscire a donarsi, sentendo il tocco delle mani, carezze lievi, creando attorno a loro fiamme così alte, da lambire il cielo.

Le stelle erano diamanti nel buio di  quella notte, si avvicinò muovendo pochi passi su cristalli di ghiaccio, li sentì spezzarsi percependone lo scricchiolio.

Li aveva chiesti in dono alla luna, per  offrirli in sacrificio nel  nome dell’amore, per quel desiderio di essere accanto a lui e respirare ancora il suo respiro.

Alzò lo sguardo. Guardò la luna che non si mosse e le cedeva quei cristalli di ghiaccio su cui posare il passo e trasformalo in incanto; per lei li aveva creati il gelo, affinché con la sua luce, li facesse risplendere tra l’erba e nel fango.

Lontani… Lontano, troppo lo era da lei, per poterlo sfiorare con   una carezza, tenera, leggera, calda come un petalo di un fiore nato dalle fiamme, che potesse accendere un fuoco di passione attraversando la pelle e percorrendone il corpo, la mente, il cuore.

Fu per amore che lei, si trasformò in quel fiore.

Lontano, lo era troppo, perché potesse accarezzare quelle labbra con le sue, con la grazia e la delicatezza, che appartiene ad un fiocco di neve, che fluttuando si posa sulle gemme del mandorlo pronto a fiorire.

Lo amava e per quell’amore, in  neve si mutò.

Non le fu amico il vento, né il battito d’ali del passerotto infreddolito, no, l’aria non si mosse e quel bacio non si posò su quelle labbra.

Per quanto sembrasse raggiungibile, non era mai così vicina da poterlo sfiorare anche solo con le punte delle dita.

Tenerlo tra le braccia, questo sognava, proteggendolo mentre addormentato sospirava. Proteggerlo si! Così come il sonno protegge ogni sogno. Lui chiuse gli occhi stanco…

Lei restò lì a guardarlo respirando piano e rinunciando al suo corpo si spinse con  l’ anima accanto a lui.

Ora gli era accanto e lo avvolgeva con le sue braccia… lo cullava dondolandosi e sussurrandogli una ninna nanna d’amore.

“Cantami cuore questa storia d’amore, cantami e dimmi che non finirà, spazzata via dal vento come i petali dei ciliegi in fiore.

Cantagli cuore, canta a lui che non mi sente, che non mi vede, digli che è tra le mie braccia perché non ha limiti terreni l’amore.

Cantagli …  che l’inverno svanirà in primavera e non sarà più il freddo a formare gelidi cristalli con le nostre lacrime”

Nel silenzio della notte aspettò l’alba e vedendola arrivare, sapeva che era il momento di andare.

Pianse e posandosi sulle labbra di lui, in una lacrima, per amore lei … si trasformò.

© L’incanto