A volte, solo a volte,
ritirarsi non è arrendersi,
cambiare non è ipocrisia,
disfare non è distruggere.
Essere soli non è allontanarsi,
e il silenzio non è non avere niente da dire.
Restare fermi non è pigrizia,
né vigliaccheria, è sopravvivere.
Immergersi non è annegare,
retrocedere non è fuggire.
A volte, solo a volte,
occorre allontanarsi per vedere,
abbandonarsi, lasciare che scorra, che il vento cambi,
chiudere gli occhi e tacere.
A volte bisogna ascoltarsi.
Sono tornata da me,
come unica destinazione possibile,
come strada disponibile,
come quel ritorno a casa
in sospeso da tanto tempo.
Sono tornata da me,
ho visto quanto ho corso contro il tempo,
i dolori della mia anima assetata di verità
in cerca di acqua.
Mi sono ospitata e sono entrata,
mi sono chiamata,
mi sono abbracciata e accarezzata,
e mi sono imbattuta in una me stessa.
Mi stava aspettando con il cuore ricolmo di speranza,
diversa è vero ma sana.
Ho visto che ero comunque intatta e non frammentata come pensavo di essere,
ho ritrovato la magia nei miei occhi,
e l’ho voluta rivedere ancora e ancora.
Ho scoperto di aver sempre posseduto le chiavi,
ed è stato bellissimo ritrovarmi.
Catturo con l’inchiostro ciò che gli altri per la fretta di vivere perdono continuamente.
E così che scrivo la storia delle cose perdute.
Scrivere è il verbo che accompagna le mie giornate e dà ossigeno ai pensieri. Scrivere è dar voce al silenzio di parole che si allineano per dare direzione ai suoni dell’anima .
Scrivere è la melodia del silenzio.
Pensare è l’ombra di chi scrive. Non c’è scrittura senza pensiero e non c’è pensiero senza anima.
Chi scrive ha un anima che non sa stare in silenzio .
Ci sono porte che si aprono quando sei stanca di aspettare, quando è svanita la voglia di lottare ,quando non puoi più correre per recuperare le omissioni andate in prescrizione ,quando non cè più un ponte che possa congiugere le sponde dell’impossibile,quando non c’è più speranza nel sospiro dell’attesa, quando dentro o fuori è diventato uguale.
Non c’è mai stata e non ci sarà mai quella chiave della felicità che possa riappropriarsi del tempo perduto e lenire le ferite della rassegnazione.
Immobilità dell’anima,senso di incompiuto, ferma rassegnazione,crudele inventario di un passato che cigola sui cardini arrugginiti di una porta che stenta ad aprirsi sulla soglia di un futuro che fatica a germogliare.
Il vento trasporta
profumi e sensazioni
in questo canto d’ottobre
che assorbe i contrasti
di stagioni che si rincorrono
sul filo del cuore.
Cammino fra i boschi
e scrivo la vita
nel silenzio di un’anima
che accoglie l’umiltà
della sua bellezza.
Fragili farfalle
salutano i sentieri
della loro estate
regalandomi colori
che si confondono tra le foglie
in questa stagione d’attesa
che profuma di ricordi.
Sono crisalide di un sogno
mentre frugo emozioni
nascoste tra le promesse
di un domani sereno
come il sapore di una vita
che ascolta il respiro
della sua eterna rinascita.
Labbra di sole
sfiorano tramonti d’amore
fra coste di salsedine
che attendono il vento
nella solitudine di un autunno
vestito di poesia.
Si colorano le colline
nella metamorfosi del tempo
caroselli di sensazioni
che migrano fra i sogni nuovi
di albe ancora acerbe
come promesse d’inverno.
Il mare mi saluta
in questa giornata uggiosa,
tutto è pace
sull’arenile di un ricordo
umido di nostalgia
che ama i miei passi
narrandomi la vita.
Sono nata libera,
e anche fra le lacrime sorrido.
Anche con le ali brutalmente strappate
e la carne annichilita,
segregata in una gabbia,
sorriderò sempre alla stupidità
di chi non sa che gli spiriti liberi
volano comunque in altre dimensioni,
irraggiungibili e inviolabili.
Se mai il destino avverso
dovesse trovarmi
in ginocchio sul pavimento,
sappia fin d’ora che l’anima mia
mai striscerà sul fango della vita,
giacché essa si muove vaporosa
in un altrove di cristallo.
Libera di volare nell’immenso.
Felicemente ancorata
a quel mio mondo interiore,
che risulta invisibile ad occhi che,
pur potendo vedere,
restano intrappolati
nella dannazione della cecità.
Uno spirito libero
che non si fa toccare da mani rozze.
Vivo in un mondo invisibile,
ma più reale e vero che mai.
I grandi rinnovamenti non vengono mai dall’alto, ma dal basso.
Come gli alberi che non crescono dal cielo, ma dalla terra, per quanto i loro semi cadano in origine dall’alto.
NESSUNO HA MAI VISTO LA GIOCONDA COME LA DIPINSE LEONARDO, E NESSUNO INTENDE RESTITUIRLE I COLORI ORIGINARI.
Il quadro più famoso del mondo è la Gioconda, eppure nessuno lo ha visto davvero (fig. 1). Nel senso che nessuno lo ha visto per come è sotto lo spessissimo strato di sporco e vernici ossidate che lo ricopre. Ora come ora la pelle della donna ha una coloritura ambrata, come se fosse stata integralmente truccata con un pesante fondotinta; il cielo è verde, al pari dei monti in lontananza; tutto è cristallizzato in un bozzolo cromatico che non corrisponde all’impostazione originale. Se non si trattasse della Gioconda, il dipinto sarebbe stato restaurato da tempo, anche perché siamo in grado di sapere quasi esattamente come si presenterebbe qualora si operasse una pulitura accorta. Da qualche anno, infatti, nei depositi del Prado a Madrid è riemersa una copia realizzata all’interno della bottega di Leonardo che mostra la Gioconda con colori diversissimi: la carnagione è chiara, il cielo azzurro, le maniche rosse e non marroni… (fig. 2) . Perché dunque la Gioconda continua a rimanere nell’aspetto che il tempo e gli antichi restauratori le hanno conferito? La ragione è molto semplice. Perché, in caso di restauro, perderemmo l’immagine del quadro così come lo conosciamo ora: appunto l’“icona”. Insomma, succederebbe quello che è capitato a seguito del restauro degli affreschi di Michelangelo nella Cappella Sistina. Impeccabilmente ripuliti da Gianluigi Colalucci e dalla sua équipe nel corso di un intervento durato vari anni, riapparvero come Michelangelo li aveva concepiti (freschi, chiari, brillanti, plastici) ma molto diversamente da come eravamo stati abituati a conoscerli: ossia, come diceva Federico Zeri, color caffè latte. Ne sortirono polemiche a non finire, con esperti anche importanti che gridarono al disastro annunciato, allo scempio irrisarcibile. Immaginando tutto ciò, i vari direttori del Louvre fino ad ora succedutisi non hanno ritenuto di distruggere l’“icona” e di esporsi a polemiche che nel caso della “Gioconda” sarebbero ancor più furiose.