Marzo in “neve”

Un’ora d’aria, circa, al giorno. Anche se non dovrei.

Tempo di Corona Virus.

Sono passati 10 giorni.

100 mattonelle calpestabili 30×30, più bagno, in proporzione.

Musica di sottofondo per ogni momento.

 

Come durante le “peggiori” nevicate, scende il sipario, lava tutto,

rende tutto limpido alla vista,

fluido all’udito,

morbido al tatto,

pulito all’olfatto.

 

Manca la gioia delle palle di neve. Le urla rimbombanti dei bambini.

C’è una palpabile paura.

C’è il rifugiarsi nel cappuccio, quasi come se potessimo indossare una bolla protettiva.

C’è l’abbassare lo sguardo. Quasi di vergogna.

 

E poi c’è la natura.

fiore

 

Non frena il suo sbocciare.

E’ fedele, cavalca il tempo, non aspetta il tempo giusto.

La trovi lì, con un ciclo in più.

A lasciarsi ammirare.

Non perde la bellezza, non perde il colore e neppure il profumo.

 

Nel silenzio, risuona la sua musica più bella.

Tempo di emergenza corona virus

Osservo il cambiamento.

Osservo un po’ attonita, sbalordita e incredula tutto quel che sta succedendo.

Sono vicina alle zone rosse, immaginando purtroppo di doverci entrare tra poco.
300 chilometri mi separano dalla mia famiglia, che è attualmente in zona rossa.

Cosa provo oggi?

Oggi non posso scappare.
Scappo da diversi anni. Non sto da sola con me stessa, perché fa male.
Scappo, cammino, percorro e poi quando è il momento di stare, trovare la soluzione, arrivare a una risposta consapevole, scappo.

Sono in “trasferta” da diversi anni, è una posizione “comoda” per poter andar via facilmente. Se non voglio tornare dai miei, posso avere la motivazione per non andare, se ho bisogno di silenzio, di natura, di libertà, di apertura,  posso decidere di accontentarmi. Difficilmente se rimango qui, riesco a stare in casa tutto il weekend, impazzirei.

E’ un’isola che mi preserva.

E’ un’isola che mi fa sperare.

E’ un limbo perché rimane una meta che non sento mia, un posto che non riconosco e nel quale “sto” ma senza essere felice. E’ solo un posto “fuori” che mi da libertà.

Oggi non posso scappare.
E stare qui, in isolamento forzato, mi impone di rimanere solo con me stessa, punto.
Mi impedisce di fare, concretamente, e mi obbliga a stare.

E come ogni volta che ci viene imposto, appena non possiamo più fare, andiamo in tilt.
Chissà che cosa ci fa paura.
Oggi giocano gli affetti, il timore di non sapere, l’indecisione, l’incapacità di credere (che tant’è chissà perché ci deve sempre essere nascosto un motivo recondito) e l’impossibilità di pensare che tutto debba fermarsi.

Dall’altra parte però la città è diventata più umana, il traffico si è dimezzato e tranquillizzato, il Pm10 è calato e ci lascia respirare, persino l’inquinamento acustico pare abbia abbassato il volume.
Come se il tempo fosse più lento, come se le giornate fossero più lunghe.

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Cosa desidero oggi?

Abbandonarmi e di sentirmi avvoltolata tra mille braccia

 

Disorientata.

Del Cammino di Santiago ho vivi tantissimi ricordi,

ma il ricordo di quanti pensieri ero capace di pensare mi ha sempre impressionato.

Quante cose passavano nella mia testa mentre un passo davanti all’altro lento e costante mi avvicinava all’oceano.

I pensieri del mattino era lontanissimi ricordi alla sera, come se fossi riuscita a lasciarli là, indietro 30/35 km.

Indietro 799 km. Ufficiali… non ufficiosi.

Oggi sono ferma, immobile. 
Infelice. Stanca. Disorientata.

Mi guardo, mi giudico, mi faccio pena.

che brutta immagine.

Sono contornata da gente che non prende decisioni. Nessuna.

Finte deleghe, finte responsabilità. finte possibilità di decidere davvero.

Fare passi, dire, raccontare, scambiare opinioni e pensieri. Sembra eresia.
Faccio cose che puntualmente vengono riviste, rivalutate e o rifatte; riconsiderazioni che spesso annullano il mio intervento. Che va benissimo, ma che facciano prima, senza interpellarmi proprio.

che stima.

Sono legata a troppi pensieri, miei ma non miei.
Sono legata a soluzioni, che cerco ma non per me.
Sono impegnata a preoccuparmi di risolvere tutti i problemi, che non sono miei.

Dove sono io?

E poi viaggio tra la trasparenza e l’ignoranza, tra l’invisibilità e il rifiuto.
Che fa male, perché taglia, taglia fuori, taglia dentro, squarcia.


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E in fondo poi anche se non scegli, la scelta l’hai fatta.

Guardo il sole dalla tua finestra.

E dalla tua poltrona, vuota da troppi giorni.

Un sole che scalda più del termosifone al quale sono attaccata.

Scalda di luce chiara, che diventerà rossa, arancio, fucsia… Dipingendo il cielo della sera.

Oggi ti cerco più di ogni altra cosa.

Oggi vorrei non avere mai deciso di lasciarti andare. Oggi vorrei avere la tua forza. Oggi vorrei buttare via la mia paura. Vorrei poter davvero mantenere fede alle tue promesse.

Io credo che in cuor tuo, tu sappia tutto. E cred possa essere difficile ammettere anche di aver sbagliato.

Ho paura della morte, non solo tua.

Sogno..

E in un attimo torno bambina, per pochi istanti.

Il tempo di sentire squillare il telefono e di visualizzare da fuori quell’angolo preciso.

Un mobile color noce, dai contorni arzigogolati ma delicati, lisci e morbidi.
Un centrino fatto all’uncinetto dalle tue mani, bianco, rigorosamente bianco,
lungo e rettangolare a tenere perfettamente la misura del mobile.

Un telefono appoggiato, una bimba che arriva di corsa, con i capelli raccolti in due codini, e gli occhi in linea col piano, allunga la mano destra e prende la cornetta:

                                                                       “Pronto?”
                                                                                                         “Pronto!”

Ti riconosco immediatamente, e poi svanisce tutto.

Ci penso.
Forse non ti avevo ancora sognata, sicuramente non ti ho mai sognata di recente.
Singolare che io non ti abbia vista e che tu mi abbia chiamata, da “un altro posto”.
Singolare che di tutto quanto tu potessi dirmi, mi hai solamente detto “Pronto”.

Forse, oggi è pronto davvero.

Con leggerezza…

 

È buio perché ti stai sforzando troppo. […]
Con leggerezza, bimba, con leggerezza.
Impara a fare ogni cosa con leggerezza. […]
Sì, usa la leggerezza nel sentire, anche quando il sentire è profondo.
Con leggerezza lascia che le cose accadano, e con leggerezza affrontale. […]
Dunque getta via il tuo bagaglio e procedi.
Sei circondata ovunque da sabbie mobili, che ti risucchiano i piedi,
che cercano di risucchiarti nella paura, nell’autocommiserazione e nella disperazione.
Ecco perché devi camminare con tale leggerezza. Con leggerezza, tesoro mio.

Aldous Huxley

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