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I vantaggi dell'unità d'Italia

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ITALIA, STATO CANAGLIA

Post n°2180 pubblicato il 07 Maggio 2012 da luger2
 

Lo Stato canaglia è una forma di governo autoritaria che conculca gravemente i diritti umani, e il nostro caso è riferito proprio all’Italia, ed in particolare a quell’Italia politica ed organizzativa che è uscita dalla nostra Carta costituzionale. Un Paese imbrigliato da norme e divieti, frutto di un accordo (quello costituzionale) fin da subito superato dagli eventi, e dalle scelte del popolo italiano. Lo Stato è nato per proteggere i cittadini dalle minacce esterne e interne; oggi invece il nostro Stato fagocita i cittadini, senza difenderli né da minacce esterne (immigrazione non regolata), né da minacce interne (molta parte del Paese è in mano alla criminalità organizzata). Quindi è uno Stato che chiede moltissimo ai cittadini dando loro in cambio ben poco, e anzi subissandoli di divieti. Nei Paesi liberi tutto è consentito, tranne ciò che è espressamente vietato per legge; da noi, viceversa, tutto è vietato, tranne ciò che è consentito. Oltre a questo, come ben sappiamo, il nostro è uno Stato che fa pagare tasse ben al di là dei servizi che fornisce. È “canaglia” proprio nella misura in cui sottopone il cittadino a vessazioni proprie di un Paese privo di cultura democratica e liberale. Viviamo, si dice, in un Paese libero. Nulla di più falso: da Nord a Sud, i cittadini si trovano ostaggio di uno Stato potentissimo, a cui un'infinità di regolamenti e decreti, imposte e balzelli permette di infiltrarsi in ogni recesso della vita quotidiana: dalle leggi sulla procreazione a quelle sulla prostituzione, dai meandri della giustizia all'autovelox. Un'Entità che governa, senza averne delega, la nostra esistenza ma che è nel contempo abbastanza debole da trovarsi nelle mani di una oligarchia incolta e becera, seppure voracissima. Intanto, nell'economia gravata dalla crisi, dilagano le distorsioni del mercato, dal canone televisivo alla vicenda Alitalia, passando per “liberalizzazioni" che sono solo una cortina di fumo di dirigismo e demagogia. A fare le spese di provvedimenti di salvataggio che a stento nascondono le eterne logiche di interesse, al solito, è il cittadino tassato e vessato, inibito nelle sue libere iniziative. Questa spietata analisi del declino culturale, politico ed economico italiano, Piero Ostellino presenta una preoccupante carrellata di nomi, fatti e dati. Denunciala latitanza del pensiero liberale, asfissiato da collettivismo e corporativismo. Torneranno mai in Italia le idee, e le prassi, dell'autonomia, della responsabilità individuale, della certezza della pena? La risposta è un durissimo j'accuse rivolto alla pessima politica cui permettiamo di governarci. Nel fitto intreccio tra politica, crisi e scandali c’è un filo rosso e buone ragioni per un allarme democratico. Non c’è un complotto ma molte cospirazioni devastanti. Non una centrale operativa di destra odi sinistra, ma troppi network-fazione agguerriti e influenti che lavorano insieme e l’uno contro l’altro come in una guerra alla libanese. Magistrati che perseguitano politici, per ragioni buone o nefaste, ma che contemporaneamente si garantiscono visibilità e opportunità di carriera. O le perdono in una costante lotta tra Procure sorda e impercettibile ma non per questo meno violenta. Alte cariche di governo che non solo si criticano e si dividono (fin qui nulla di nuovo), ma che si spiano, si fanno informare da spioni e spioncini l’uno contro l’altro per attaccarsi o proteggersi l’uno dall’altro. I corpi “separati” che dovrebbero, a difesa dei cittadini, garantire il funzionamento dello Stato, che fanno politica, entrano in politica. Personaggi che diventano parlamentari senza alcun “cursus politico”, quelli che chiedono una regolamentazione della attività di lobbying non prevedono il parlamentare-lobbyista e la necessità di limitare soprattutto i conflitti di interesse dei parlamentari. Ma sono in tanti a mantenere una regnatela costante e integrata di relazioni tra chi indaga, chi decide e chi comunica. Rapporti diretti e indiretti:in barca o in vacanza, magistrati e giornalisti da diporto, indipendenti e intoccabili. Poi in tribuna contro la mafia e il Caimano, assieme a pentiti imbroglioni, trattati da eroi. Un sistema dentro il sistema, con procedure, poteri e giurisdizioni parallele: l’inchiesta mediatica o il gossip denuncia, indaga, persegue e condanna chiunque capiti, si fa potere giudiziario separato. L'obbligatorietà della azione penale diventa lo schermo di un arbitrio che si diffonde grazie al ritorno in campo dell’imperio statale. Larinnovata espansione dello Stato, ecco il punto, il ritorno di ideologie e pratiche stataliste e statal-etiche è la grande illusione di questa crisi, e dà forza più all’impresa lucratrice di appalti che a quella che compete su un mercato sempre più ridotto. Lo Stato asciuga il mercato. Anzi l’impresa più lontana dal sistema relazionale stato-centrico è perseguitata in un rapporto iniquo dallo Stato iper-tassatore che pure non recede dallo sperpero, l’impresa “relazionata” spera che lo Stato ci sia e qualche pezzo di Stato la aiuti. Il sistema mediatico politico, i signori dell’agenda concentrano l’attenzione su poste modeste della spesa pubblica come le pensioni(ingiuste) dei parlamentari, si difende all’unisono dal taglio delle Province, dall’adeguamento del sistema previdenziale, dalla revisione della spesa sanitaria. Lo Stato Canaglia è fondato su un equivoco costituzionale, che crea “canaglie di Stato” un po’ ovunque. La Guardia di Finanza, con tanti giovani seri e preparati che indagano per pochi euri su patrimoni immensi, ma che più spesso vengono spinti a spiare dal buco della serratura il macellaio che ritarda il pagamento dell’Iva e si becca le ganasce di Equitalia. Chi li dirige oggi può dimostrare la sua innocenza in tribunale prima di essere “inganasciato”, il macellaio no. Chi riesce a far carriera politica arriva a consigliare e guidare la politica da una posizione impropria e a far “le cordate”. Il salumiere che è riuscito a pagare solo gli stipendi e magari non avrà pagato i contributi… invece sarà solo davanti a quei bravissimi giovanotti in uniforme i cui superiori hanno scalato i vertici dello Stato, sono stati nominati parlamentari e hanno acquisito consulenze e benemerenze.

Chi ci governa, impoverisce e occulta felicemente i veri problemi e trattiene le risorse per lo sviluppo. Oggi non va di moda, ma è evidente quel che ci vuole: meno Stato e più società. Meno tasse e più libertà. Senza un ambiente nuovo, aperto dove non regnino i signorotti della spesa pubblica (partiti non ce ne sono più) non ci sarà onestà, né morale. Solo moralisti, manette, scandalismo e conservazione. La crisi è figlia di una politica monetaria basata sul denaro facile e su una politica abitativa demagogica. Oggi più che mai c’è bisogno di meno politica e di più mercato, ben sapendo che con la parola “mercato” si indica un aspetto fondamentale della libertà di scelta. I nemici del mercato sono, semplicemente, i nemici della libertà». Il sistema pubblico Italia pachidermico per dimensioni e dinamismo, patisce il prevalere di un apparato corporativo, che in parte affonda nel Ventennio ma che nessuno - nel dopoguerra - ha voluto smantellare.  Il governo italiano rispetta in generale i diritti umani dei suoi cittadini anche se vi sono problemi con la lunghezza delle detenzioni pre-processuali, la lunghezza eccessiva dell’iter giuridico, la violenza contro le donne, il commercio di persone, gli abusi nei confronti di omosessuali, zingari e altre minoranze.(capitolo dedicato all’Italia del rapporto sul rispetto dei diritti umani nel mondo redatto dagli Stati Uniti). Un Paese paralizzato da un numero spropositato di leggi e regolamenti; soffocato da una cultura burocratica invasiva e ottusa; gestito da una pubblica amministrazione pletorica, costosa e inefficiente e, non di rado,corrotta; vessato da un sistema fiscale punitivo per chi paga le tasse e distratto nei confronti di chi non le paga; prigioniero di corporazioni e interessi clientelari; nelle mani, della criminalità organizzata. Un Paese in inarrestabile declino culturale, politico,economico, che non è ancora precipitato agli ultimi gradini tra iPaesi industrializzati dell'Occidente solo grazie allo spirito di iniziativa e alla proiezione internazionale della media e piccola imprenditoria. Questa è l'Italia oggi. C'è l'Italia degli italiani e c'è lo Stato italiano. Per intenderci: ci sono gli italiani, come singoli individui; c'è lo Stato italiano, come «soggetto collettivo». La definizione può sembrare paradossale e persino contraddittoria. E, in realtà, lo è. Chi ritiene che la fenomenologia sociale sia empiricamente descrivibile solo riconducendone le dinamiche agli individui ne sarà scandalizzato. Per l'individualismo metodologico, i soggetti collettivi le istituzioni, il mercato, il capitalismo eccetera, non hanno, infatti, vita propria, non pensano, non agiscono, bensì altro non sono che l'interazione, in una società aperta e liberale, fra individui che perseguono autonomamente il proprio ideale di vita e i propri interessi, producendo con ciò inconsapevolmente un beneficio collettivo. Il bene comune, l'utilità sociale, l'interesse generale eccetera sono, al contrario, una invenzione della politica. Ladivisione dell'Italia in due — l'Italia (al plurale) dei singoli individui, ciascuno dei quali pensa e agisce sulla base delle proprie personali convinzioni; e l'Italia (al singolare), come soggetto collettivo, autoreferenziale, che li (mal)governa sulla base diprincipi e leggi che essa stessa si è data — è, dunque, solamente un artificio retorico. Gli italiani, anarcoidi e conservatori, privi di senso civico e di senso dello Stato, e perciò sudditi invece di cittadini; gli italiani che non si mettono in fila alla fermata dell'autobus, ma neppure si ribellano alla propria condizione di sudditanza; ingegnosi, flessibili, pragmatici, camaleontici sono l'Italia al plurale. Che «si arrangia », che se la cava. Questi italiani sono il paradigma schizofrenico di ciò che la cultura liberale anglosassone chiama, con ben altra dignità storica e politica, «società civile» rispetto alla «società politica» dalla quale rivendica la propria autonomia. Che da noi l'ordinamento giuridico non garantisce e nessuno rivendica; tutti si prendono, quando possono sottobanco. La nazione, lo Stato, la collettività, giù, giù lungo i loro indotti pubblici — ieri, il (vergognoso) primato della razza; oggi, l'(indefinibile) utilità sociale, e tutte le altre sovrastrutture ideologiche che hannosegnato la storia del Paese — sono l'Italia soggetto collettivo. La camicia di forza che il potere politico del momento e la cultura dominante, l'ideologia come falsa coscienza — fascista e/ocomunista, corporativa e/o collettivista, comunitaria e/o statalista che fosse, sempre e comunque antindividualista — hanno imposto agli italiani. Incolta, retorica, dogmatica, bigotta, burocratica, poco opunto flessibile, legalista e imbrogliona, questa Italia trasformistae gattopardesca — che cambia qualcosa per restare sempre la stessa— è una sorta di «8 settembre permanente». Istituzionalizzato. Da un lato, ci sono la costante imposizione di un controllo pubblico, illegittimo e contraddittorio, sulle libertà dei singoli, e l'ambigua pretesa che sia rispettato; dall'altro, c'è la tacitaesenzione da ogni vincolo d'obbedienza sottintesa nella frase liberatoria «tutti a casa» che l'8 settembre 1943 percorse la linea di comando delle nostre Forze armate, abbandonate a se stesse dopo l'armistizio. È di questa Italia incasinata e un po' cialtrona, intimamente illiberale, che parlo. Non per fare l'elogio degli italiani come singoli individui ma per spiegare l'incapacità del Paese di entrare nella modernità e di stare, culturalmente, politicamente, economicamente, al passo con gli altri Paesi di democrazia liberale dell'Occidente capitalista. Non è l'elogio dell'antipolitica, oggi tanto di moda. Anzi. È, piuttosto, la denuncia dell'invasività della sfera pubblica nella sfera privata. La descrizione di come la nostra politica non sia più, e da tempo, ammesso lo sia mai stata, al servizio dei cittadini, ma li abbia posti al proprio servizio. Dello «Stato canaglia». L'eccessiva estensione della sfera pubblica — che la cultura statalista e dirigista tende a spacciare come veicolo di equità sociale — è, infatti, più accrescimento del potere degli uomini a essa preposti sulle libertà e sulle risorse dell'individuo, che criterio digoverno. La leva fiscale, per alimentare una spesa pubblica riserva di caccia di interessi estranei a quelli generali, ne è lo strumento, anche se non il solo, di oppressione. Non occorre essere marxisti per sapere che lo Stato non è neutrale, ma è il braccio armato degli interessi di chi ne detiene il controllo, se non è controbilanciato da principi e interessi alternativi, fra loro in competizione. È sufficiente essere liberali. Del resto, inquesto continuo confronto fra differenti concezioni del mondo, senza che nessuna abbia la pretesa di essere la Verità e di imporla agli altri, è dalla pluralità di interessi in conflitto — mitigato solo da regole del gioco che non consentano a nessuno di impedirne la libera manifestazione e la corretta realizzazione — che si sostanzia la società aperta. Il liberalismo non è una dottrina chiusa — che dice agli individui quale è il loro interesse e ne prescrive i comportamenti — ma la dottrina dei limiti del potere e della società aperta, all'interno della quale ciascuno si presumesappia quale è il proprio interesse e, di conseguenza, lo persegue in autonomia. Il guaio è che di liberalismo, nella vita pubblica degli italiani, non c'è traccia. E ci vorranno, forse, generazioni perché vi si affacci. (PieroOstellino)

Nella classifica dei 47paesi europei con il maggior numero di violazioni dei diritti umani, l’Italia- nel 2010 - occupa il settimo posto, preceduta da Bulgaria, Polonia, Ucraina, Romania, Russia e Turchia, eseguita da Grecia, Slovacchia e Germania. Continua l’escalation dei reclami alla Corte europea di Strasburgo. Diecimila e duecento gli italiani che hanno inoltrato ricorso: erano7.150 nel 2009. Un balzo avanti del 30%. I dati emergono dalla relazione al Parlamento e realizzata dalla Presidenza del Consiglio sull’Esecuzione delle pronunce della Corte Europea dei diritti dell’uomo nei confronti dello Stato italiano. I ricorsi pendenti, con la nostra malagiustizia sul banco degli imputati, rappresentano il 7,3%dei fascicoli provenienti dai 47 paesi aderenti alla Convenzione perla salvaguardia dei diritti fondamentali della persona.Ma il drappello degli “stati canaglia”, Italia compresa, da solo fornisce i due terzi del lavoro che finisce sulle scrivanie dei giudici di Strasburgo. Le sentenze Cedu emesse nel 2010 contro lo stato italiano sono state 98 (erano 69 nel 2009). Il grosso delle violazioni, 44 casi, riguardano l’eccessiva durata dei processi; in 9 casivizi nella procedura; in 3 lesioni alla privacy, in 6 al diritto di proprietà. Un caso ha denunciato trattamenti inumani; un altro la violazione della libertà di circolazione, e l’ultimo la violazione del diritto al ricorso individualeQuasi 8 milioni di euro gli indennizzi che l’Italia deve pagare a favore dei cittadini, vittime della giustizia lumaca e cattiva. La maggior parte andrà in risarcimenti per il lungo corso delle espropriazioni. Nel 2009 l’importo era meno della metà, circa 3 milioni 292 mila euro. Su un capitolo delicato dei diritti, quello che tocca le condizioni di vita delle persone detenute, il rapporto suona un forte allarme per la lentezza con la quale la magistratura di sorveglianza risponde alle istanze dichi è in carcere.
InItalia (Stato Canaglia) si continua a morire di crisi economicae di menefreghismo da parte del governo. Tutti i giorni aggiorniamo il macabro bollettino delle persone che si sono tolte la vita travolte dalla perdita del posto di lavoro e dall’accumulo di debiti. Nefasti dati che secondo qualcuno sarebbero perfettamente normali e compatibili con i tempi difficili che l’Italia sta vivendo, così l’impressione è che quanto stia accadendo è perfettamente normale. Ossia è normale che gli italiani si suicidano o che cadano nella disperazione più cupa perchè lo Stato italiano non è solo non è più in grado di pensare al futuro dei suoi cittadini ma non è più neppure capace di garantire il presente. Ma tutto questo che viene fatto passare per “normale”, non è lo è affatto, ma è invece espressione della completa rottura tra Stato italiano e suoi cittadini. Tra tanti suicidi qualcuno va sicuramente addebitato alla insensata politica anticrescita del governo Monti e a quel senso di insopportabile superiorità da contabile che sta rendendo nauseante questo governo di cattedratici. Un governo dovrebbe dare speranza al sua paese, questo governo sta distruggendo con una freddezza micidiale ogni senso di speranza. Forse ai vari Monti e Fornero (il peggior ministro in assoluto di un governo di per sèpenoso) bisognerebbe insegnare che governare uno stato non è lastessa cosa di amministrare una banca.                  

Un pensiero vada a tutte le vittime di questo stato canaglia, perchè la loro morte non sia vana.

 
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Commenti al Post:
ceparano.antimo
ceparano.antimo il 07/05/12 alle 22:24 via WEB
bravo.
(Rispondi)
 
liliasansone
liliasansone il 07/05/12 alle 23:52 via WEB
Diagnosi perfetta. Mi chiedo se abbiamo perso la speranza......!?!
(Rispondi)
 
ITALIANOinATTESA
ITALIANOinATTESA il 08/05/12 alle 19:04 via WEB
In una situazione così tragica ci lasciamo scivolare fra un comico e l'altro: che tristezza! un saluto, M@.
(Rispondi)
 
ironwoman63
ironwoman63 il 08/05/12 alle 22:41 via WEB
TUTTO QUESTO HA UN NOME....NEOLIBERISMO!!! ED ESISTE UN SOLO MODO PER INVERTIRE LA ROTTA... SOSTENERE E DIFFONDERE L'MMT http://www.democraziammt.info/ BUONA SERATA, LULU'
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johnny.kraus
johnny.kraus il 09/05/12 alle 22:56 via WEB
Concordo
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greatmind65
greatmind65 il 09/05/12 alle 23:37 via WEB
Tutto vero e giusto tranne che per una cosa che a mio parere da il senso di appartenenza e cioè il senso civico e del bene comune, perché senza questi 2 ingredienti non c'è popolo, poi va da se che stiamo come stiamo perché abbiamo permesso a questi politicanti di stare sulla scena pubblica per parecchio tempo senza garantirci un ricambio fisiologico per la classe dirigente del nostro paese è questo oggi che dobbiamo combattere sperando che finalmente si facciano quelle riforme istituzionali per poter creare le premesse di un'Italia più libera e più giusta.
(Rispondi)
 
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