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« Storia del Brigante Tittariello | I vescovi difendono il Sud » |
di Michele Campanile Una pagina di storia delle plebi garganiche scritta col sangue durante la repressione post-unitaria mentre chiedevano terra e più benessere contro la miseria e lo sfruttamento della borghesia padronale. Circa centocinquant ’anni fa, la nostra terra ha conosciuto il grave fenomeno di una ribellione drammatica, il c.d. brigantaggio. In verità gli storici, forse per descrivere il ribellismo delle plebi meridionali, hanno usato il termine brigantaggio, assimilandolo talvolta ad un fenomeno di pura delinquenza comune. Così non è stato, anche se non si può parlare di un movimento organizzato. Mancano programmi e idee che possano venire incontro alle attese delle plebi meridionali. La Capitanata e il Gargano sono stati al centro di tali eventi. E ciò, si noti, mentre l’ Europa viveva la seconda rivoluzione industriale. In Italia, povera di risorse come il carbone e il ferro, il 70% della manodopera era impiegata nell’agricoltura e solo il 18% nell’industria. Il restante era impiegato nel terziario. Si usciva, dopo il ’61 da un governo borbonico e le nuove classi dirigenti della borghesia capitalistica pensavano di fondare lo Stato sul fiscalismo, la corruzione,la camorra, la coscrizione obbligatoria e il piemontesismo. Al Sud la concorrenza dei paesi stranieri gettava l’economia in uno stato di crisi ulteriore. La vita dei contadini, dei terrazzani e dei cafoni diventava sempre più difficile. Il tenore di vita era bassissimo e la questione delle terre demaniali era irrisolta. In questo contesto fu facile innescare processi di grave tensione sociale ed economica. Alle insurrezioni la borghesia rispose con le fucilazioni e i processi sommari. Furono fucilati 5212 briganti, di cui 1459 erano della Capitanata. E di questi 505 furono passati per le armi, a volte in modo sommario. Circa 120.000 soldati furono impiegati nella repressione negli anni dal ’61 al ’65. Nel nostro territorio l’esplosione fu clamorosa. Sul Gargano, nel Molise e in Lucania le plebi vissero una pagina importante della loro storia. In particolare, al centro degli eventi furono Troia,Cagnano, Vieste, San Marco, Mattinata, Monte Sant’Angelo, Roccamandolfi e Vico. Le polemiche sul brigantaggio sono tante. Ma che dire della partecipazione delle donne? I nomi di Nardella, Recchiemuzze, Patetta e Palumbo sono conosciuti. Invece delle brigantesse sappiamo poco o niente. È questo un mondo del tutto inesplorato. Ricordiamo alcuni nomi: Marianna Semeraro, Giovanna Biscotti, Lucia Taronna, Donna Carmela, Angela Greco, Rosa Martinelli, Leonida Azzarone, Mattia Prencipe, Anna Di Bari, Leonarda Armillotta, Filomena Pennacchio, Giovanna Di Maggio, Anna Maria Berardi, Anna Maria Guerrieri, Mafrolla, Medina e Vescera. A Volte le donne erano drude dei briganti, tal’altra anche brigantesse. Spesso erano seviziate (quando vengono catturate dai soldati piemontesi), rapate a zero, e persino i peli delle parti pudende venivano tagliati. Dopo, legate agli alberi, erano esposte al pubblico. A Trepuzzi, dodici braccianti donne furono violentate davanti alla madre e poi esposte. Angela Greco fu violentata davanti al marito. Non mancano, casi di briganti romantici, come Romano che scrisse alla sua Lauretta, pochi giorni prima di morire: ”…ossequia i tuoi fratelli, e a voi più volte vi stringo al seno”. Qualche scrittore famoso, come Bacchelli, ispirandosi a queste storie vere, ha creato racconti commoventi, come quello del cafone Sciancuglia che uccide in duello il brigante di Tacca del lupo che gli aveva rapito la bellissima moglie di Peschici. Furono anni difficili. Le brigantesse combatterono al fianco dei briganti, come a Vieste. Qui la popolana Leonida Azzarone fu uccisa sul terrazzo dalle guardie nazionali durante uno scontro a fuoco. Stessa sorte per Lucia Taronna di Mattinata e la nostra compaesana Mattia Prencipe. Sul Gargano non ci fu un comune dove questa violenza non lasciasse un segno. Come appariva lo Stato alle plebi, se queste ne conoscevano solo i carabinieri, i bersaglieri e le guardie nazionali? Perché con una politica avveduta non si affrontò la questione delle terre demaniali? Non si costruirono strade, scuole e ospedali? Ha ragione il contadino di Roccamandolfi che si rivolse al giudice con queste parole: ” Noi siamo tristi, è vero, ma i galantuomini ci hanno sempre perseguitati”. Sul Gargano, forse per la prima volta, le plebi insorsero per scrivere la loro prima pagina di storia. Giustamente Gramsci, cinquant’anni dopo, dirà che la mancata soluzione della questione contadina rappresenterà per lo Stato italiano uno degli anelli più deboli della struttura sociale. E da ciò è derivata la questione meridionale, che ancora condiziona la vita delle popolazioni garganiche, costrette a cercare lavoro al Nord o all’estero. Le classi dirigenti furono e sono responsabili dei lutti, della violenza e degli eccessi. La cultura non può ignorare tutto questo e la Sinistra ha il dovere di farsi carico delle responsabilità per il riscatto dei deboli.
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