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I vantaggi dell'unità d'Italia

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Messaggi di Agosto 2014

Fuga dal Sud, in dieci anni persi oltre 400 mila abitanti

Post n°2338 pubblicato il 31 Agosto 2014 da luger2
 

Un calo demografico che preoccupa: in dieci anni gliabitanti dei Comuni del Sud sono diminuiti di 420mila unità. E dal Mezzogiornosi fugge per la mancanza di lavoro. È quanto evidenzia la Svimez sulla base didati Istat, e contenuti nel numero monografico della Rivista economica delMezzogiorno, presentato a Napoli.  Al Centro-Nord, dati alla mano, nello stesso periodo la popolazione è cresciutadel 6,8% e la Svimez lancia la necessità di predisporre un piano di primo intervento e rigenerazione urbana come driver di sviluppo. In base ai dati SVIMEZ, il 64% dei cittadini meridionali, oltre due su tre, che nel 2011 hanno lasciato il Mezzogiorno per una regione del Centro-Nord aveva un titolo di studio medio-alto, diploma o laurea. Il Sud continua quindia sostenere i costi del suo capitale umano qualificato ma a impoverirsi esportandolo in senso univoco, cioè senza ritorno. E le rimesse di un tempo chei lavoratori meridionali al Nord mandavano a Sud oggi non ci sono più, anzi:pare che viaggino nella direzione opposta. Visto che la crescita prevista per il 2014 non presenta segnali incoraggianti, attendiamo dal nuovo Governo misure decisamente robuste per tamponare questa deriva”. È quanto ha affermato il Presidente della Svimez Adriano Giannola nella sua relazione al convegno internazionale “La nuova emigrazione italiana” che si è svolto all’Università Ca’ Foscari di Venezia. “Di fronte agli ultimi dati ISTAT di un’ulteriore perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro persi in Italia dall’anno scorso, ha continuato il presidente, la crisi sembra alimentare le diseguaglianze territoriali, come dimostrano i dati SVIMEZ sulla povertà. Dividendo 100 famiglie meridionali in cinque classi da 20 l’una dalle più ricche alle più povere, emerge che il 62% delle famiglie meridionali, cioè due su tre, appartengono alle classi più povere.

In questo quadro, dal punto di vista demografico, si conferma con sempre maggiore evidenza come il Mezzogiorno abbia perso il tradizionale ruolo di bacino di crescita dell’Italia. Anzi: da qui ai prossimi 50 anni stimiamo di perdere ancora 4,2 milioni di abitanti rispetto all’incremento di 4,5 milioni al Centro-Nord: nonostante il positivo incremento degli immigrati la tendenza che si prospetta è un anziano ogni tre abitanti, e una sostanziale parità tra le persone in età lavorativa e quelle troppo anziane o troppo giovani per farlo, con conseguenti problemi di welfare e di sostenibilità del sistema

Nel 2013 il tasso di occupazione del Mezzogiorno si è fermato al 42% contro il 63% del Centro-Nord; a livello di aree urbane, la provincia di Milano arriva al 66,5%, Torino al 62%, Roma al 59%; al Sud invece Bari supera la media meridionale con il 45%, mentre Palermo e Napoli si attestano rispettivamente al 37% e al 36%. Ancora più bassa l’occupazione femminile: se a Milano sono occupate due donne su tre, con un tasso dioccupazione del 61%, a Napoli e a Palermo i numeri si invertono: solo una su quattro e’ occupata, pari al 25% (media Mezzogiorno 30%). Penalizzati anche i giovani: se nel 2013 gli under 34 occupati al Centro-Nord sono il 48%, a Bari sono il 32%, a Palermo il 23% e a Napoli soltanto il 22%. Impressionanti anche i numeri della disoccupazione: i giovani under 34 disoccupati sono a Bari il 33%, a Palermo il 38% e a Napoli addirittura il 44%.  ”In dieci anni, in base ai dati disponibili dall’ultimo censimento – ha detto Riccardo Padovani, direttore di Svimez - i Comuni del Mezzogiorno con popolazione superiore a 150mila abitanti hanno perso oltre 420mila abitanti, pari a un crollo quasi del 13%, Napoli ha perso 42mila abitanti, Palermo 29mila; nello stesso periodo i comuni del Centro-Nord sono cresciutidi oltre 530mila unità, con un incremento del 6,8%”.  Per questo secondo la Svimez è urgente un”piano strategico nazionale e meridionale di primo intervento” che punti sullarigenerazione urbana per trasformare il degrado a cui stanno andando incontro le città meridionali in un’opportunità di sviluppo e di ripresa della crescita. Per Francesco Tuccillo, presidente dell’Acen, Associazione costruttori edili di Napoli, ”per rendere la città più moderna e competitiva è necessario puntare sulla riqualificazione urbana di vaste aree del nostro territorio”. ”In questo senso, mentre la filosofia del Piano Regolatore Generale sembra andare incontro alle esigenze di rigenerazionee della riqualificazione della città – ha concluso – le norme attuative da una partee la troppa la burocrazia dall’altro, ne frenano la completa realizzazione”.

 
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Bankitalia certifica il saccheggio post-unitario delle industrie meridionali

Post n°2337 pubblicato il 28 Agosto 2014 da luger2
 

“Abbiamo sempre avuto ragione”, penseranno i meridionalisti. Il Mezzogiorno d’Italia è stato fortemente danneggiato e depauperato delle sue ricchezze a causa delle vicende storiche legate all’Unità d’Italia. A sostenerlo persone qualificate, professori, che certificano carte alla mano quanto per decenni gran parte del Sud ha ribadito con forza. Uno studio pubblicato nel 2010 da Bankitalia – non una sprovveduta insomma – a firma di Stefano Fenoaltea e Carlo Ciccarelli docenti di Economia all’Università di Tor Vergata, certifica la condizione di inferiorità in cui è piombato il Meridione dopo il 1861. Dati, numeri, statistiche che confermano quanto sia andato a rilento il processo di industrializzazione da Roma in giù, inversamente proporzionale a quanto registratosi al Nord. Per farlo, i ricercatori romani hanno analizzato gli anni 1871, 1881, 1901 e 1911. Comparando la produzione industriale provincia per provincia nelle 5 diverse date post unitarie, è emerso che “l’arretratezza industriale del Sud, evidente già all’inizio della prima guerra mondiale non è un’eredità dell’Italia pre-unitaria – si legge nel documento – ma dall’esame disaggregato di 69 province si rafforza le principali ipotesi revisioniste suggerite dai dati regionali”. Perché? Beh, nel 1871 il tasso d’industrializzazione del Piemonte era dell’1.13%, in Lombardia del 1,37% e in Campania si attestava all’ 1.01% ( più o meno omogenee alle altre Regioni meridionali ) nonostante il già avviato processo di ‘distruzione’ dell’opificio di Petrarsa e di Mongiana in Calabria. Quarant’anni dopo, nel 1911, i numeri del Sud Italia registrano un drammatico e clamoroso segno meno. Mentre l’indice di industrializzazione del Piemonte salì all’1.30% quello della Campania era sceso a 0.93%, con Napoli all’1.32%. La Lombardia era arrivata all’1.67%, la Liguria all’1.62%, mentre la Sicilia era crollata allo 0.65%, la Puglia allo 0.62%, la Calabria allo 0.58%, la Basilicata allo 0.51%. Insomma, altro che nostalgia e fanatici del regno. L’Italia unificata ha portato solo fame e carestia al Sud, dando vita alla questione meridionale che, altrimenti, non sarebbe mai esistita. Basta far parlare i numeri per credere.                      tratto da www.retenews24.it/

 
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