GIORNI STRANI

Vita di comunità: mai come ora dobbiamo fare appello a ogni nostra singola cellula. E' giunto il momento di imprimere una violenta accelerazione all'intelligenza della nostra specie, come una frustata di tramontana: l'occhio non sarà occhio e la mano non sarà più mano, negli anni venturi.

Creato da sergioemmeuno il 22/04/2011
 

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Il nome e cognome dei personaggi appartenenti ai racconti e ai tag "frammenti di scrittori in erba" e "il mio romanzo", come pure i fatti narrati, sono frutto della mia fantasia.

 

 

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Il mio avatar e il mio coinquilino guru, la Garbatella, Volto allo specchio, gli echi di appartenenza...

Post n°621 pubblicato il 10 Maggio 2012 da sergioemmeuno
 

  

  

 

 

   Salve a tutti. Come avevo accennato giorni fa, vi racconterò due miei scorci di vita: oggi è la volta del mio coinquilino Andrea.

 

   E’ curioso come ci siano delle persone che entrino ed escano dal nostro cammino in men che non si dica. In genere, la loro immagine rimane invischiata nella “grande palude dei mille volti”: tutta quella numerosa schiera di conoscenti che abbiamo incrociato occasionalmente, e di cui non memorizziamo affatto le sembianze. Qualche volta - ed è meraviglioso quando capita - , quella persona non ce la scorderemo più: tanto ci ha donato come qualità, e tanto noi abbiamo assorbito come spugne avide.

 

   Dal 1994 al 1997 abitai in affitto in un bilocale del ridente quartiere romano della Garbatella. Un quartiere che fu creato nel 1920, quando ancora c’era qualche mente che concepiva l’architettura urbanistica come un progetto serio e grandioso; l’idea del quartiere che fosse un tutt’uno con la vita sociale e in grado di garantire un certo qual benessere ai propri Figli.

   Non a caso, gli architetti si ispirarono al modello inglese della città-giardino, le Garden Cities per l’appunto, non molto distanti e ben collegate al cuore delle città. Tale idea è attribuita al genio di Roben Owen, il padre del socialismo. Orbene, le case della Garbatella vennero edificate seguendo una pianta squadrata e regolare, e furono considerati anche appositi spazi verdi coltivabili che potevano fornire agli operai un’importante fonte di sussistenza: l’orto.

 

   Quando portai le valigie in quel bilocale di metratura modesta, il cui cucinotto si affacciava su un delizioso parco, sapevo che avrei condiviso lo spazio con un uomo non più giovanissimo di nome Andrea, sui sessant’anni o poco più, un impiegato comunale.

   Nel momento di stringergli la mano, rimasi un tantino perplesso: capelli molto lunghi, lenti oscurate, pizzetto sale e pepe, altezza media ma fisico compatto.  Dietro le lenti intravidi piccoli occhi azzurri e svegli; occhi laboriosi, che perlustravano l'aria circostante come fossero quelli di un volatile. 

   Avete presente il mio avatar di Gandalf? Bene, il volto di Andrea era assai simile, seppure riflettesse quel non so che di persona cattiva o dura. Tra l’altro, il figuro non mi fece neanche un sorriso: si limitò a squadrarmi dalla testa ai piedi.

  E io avrei dovuto dividere l’appartamento con un simile personaggio?

 

   Per fortuna ci mettemmo poco a socializzare e, seppure in tre anni uscimmo insieme solamente una volta, potemmo condividere piacevoli segmenti di tempo, ovviamente in casa. Diceva di essere un pranoterapeuta e di praticare la disciplina tantrica; quasi tutte le sere, usciva di casa accennandomi che partecipava agli incontri di una comunità. Fatto curioso: non mi chiese mai di seguirlo nel suo gruppo, e io stesso non manifestai mai la volontà di aggregarmici...

   Facevamo regolarmente esercizi di meditazione, sotto la sua guida, aiutati dal silenzio della palazzina; spesso gli leggevo pezzi di alcune mie poesie o racconti, e lui non mancava mai di sostenermi alla grande, incoraggiandomi a perseverare nella passione; pranzavamo insieme, con quell’immancabile spruzzata di erbe (le preparava lui…) sul risotto o sulla pasta; fumavamo e chiacchieravamo su tutto, con lui che non mancava mai di far scivolare i discorsi sulle donne. E sì, perché gli piacevano le donne, eccome se gli piacevano. 

   Ricordo che mi sfotteva sul modo di cucinare, perché, a differenza di lui, per preparare una sciocchezza sporcavo sempre tre pentole e tre padelle…

   Un giorno, mi spiegò a grosse linee i problemi con la ex moglie, a suo dire completamente fuori di melone, a cui era stato costretto a lasciare l’appartamento di sua proprietà. E un pomeriggio d'estate mi ci portò pure.

   Un’altra volta, mi illustrò la tecnica del “Volto allo specchio”, il cui fine è quello di mostrarci il Volto nella nostra vita precedente.

  Ignoro se qualcuno ne sia a conoscenza: consiste nel mettersi di fronte a uno specchio e fissare il proprio Volto; a un certo punto, i tratti iniziano a deformarsi sempre più sino alla definizione di una nuova faccia. Quelle poche volte che ci ho provato, ho ritenuto opportuno fermarmi alle prime deformazioni dei miei lineamenti. Credo che sia una tecnica che affatichi molto la vista e la testa, oltre al rischio di traumatizzarci se non possediamo una mente solida. Quindi eviterò, in questa sede, di illustrare aprofondimenti su questo sconvolgente esercizio, che sconsiglio vivamente a ogni cervello ragionevole. 

   Nello specifico, nella mia vita passata  AVREI DOVUTO ESSERE un esattore delle tasse dell’Impero Austro-ungarico. Si noti il condizionale, eh! a mio avviso, se siamo recettivi possiamo recepire qualche vago segnale di tempi e luoghi di secoli passati, che possiamo poi ritrovare nella nostra vita: chi non ha mai assaporato quel senso di strana famigliarità calpestando selciati di vicoli storici, passeggiando sotto gli archi, udendo i rintocchi delle campane delle chiese paesane? Purtuttavia tali segnali non costituiscono alcuna certezza di vite passate, e vanno presi per ciò che sono: poesia pura, e punto; io ho sempre sentito assai familiari alcuni scorci della Vienna o della Parigi antica, e punto. E se proprio si vuole un tantino osare, mi piace considerarli "echi di appartenenza". 

   Ce ne sarebbero tanti altri – eccome se ce ne sono – di aneddoti su Andrea, a cui ho voluto davvero un gran bene. Non a caso lo invitai pure alle mie nozze, nell’anno di grazia 1999 (?). Ma non poté venire.

 

   Cos’altro dire… Una persona meteora che è vissuta con me solo per tre anni, ma  è stato più importante di altre persone che conosco da decenni...

   Poi, qualche anno fa, la peggiore delle notizie: qualcuno lo ha  privato del dono della  vita. Ho preferito non approfondire l'atroce vicenda, e probabilmente non lo farò neanche in futuro: non voglio rovinarmi il suo bel ricordo.

   E quando talvolta fisso l’avatar di Gandalf, attraverso il quale voi mi “conoscete” dall'aprile del 2011, mi si affaccia un’idea insolita e meravigliosa: qualche molecola irriverente di Andrea B. ancora sopravvive. E mi sussurra e mi incita, quella voce calma e suadente, a scrivere, scrivere e scrivere; a prescindere dall'Impero Austro-ungarico o dal Regno dei Savoia. 

 

Sapevo così poco di lui. Eppure sapevo così tanto di lui…

Te la devo una dedica, un giorno. Direi proprio di sì.

Hai orientato un fascio di luce sulle mie possibilità.

 

 

 
 
 
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