Creato da lab79 il 05/02/2010

TheNesT

a place called home

 

Messaggi di Dicembre 2014

Più tardi

Post n°350 pubblicato il 31 Dicembre 2014 da lab79
 

Alla fine suonano le campane, anche se nessuno le nota. Scoppiano i fuochi, la festa prosegue: la musica e i balli, gli abbracci e i baci, gli addio anno vecchio, e i benvenuto anno nuovo, i domani sarà un giorno migliore, gli auguri di tutto cuore e quelli gettati al vento, perché li prenda qualcuno che sta peggio di noi.  Ad alcuni si accende la fiammella tremula dei rimpianti, ma in una notte così è tanto facile mascherare le lacrime nel tumulto delle risate. Nessuno le noterà mai. Agli altri restano i postumi della sbornia e il sapore delle sigarette, e la ferma decisione di non addormentarsi mai, mai più, come se questa notte fosse la fine di ogni cosa, e non ci fosse più niente da temere.

Poi arriva l'alba.

Dormono storditi e senza sogni, i più; nei letti sfatti, con i vestiti indosso e le scarpe sulle lenzuola. Altri, nei lettini ordinati degli ospedali, si chiedono come hanno fatto ad arrivare fin lì, come se morire non fosse la conseguenza naturale del vivere. Come se la corse a perdifiato sulle strade ghiacciate, e i nasi impolverati, e l'alcol nelle vene non fossero abbastanza per giustificare la propria morte.

Altri ancora siedono ai tavolini dei bar, stanchi e quieti: si sente soltanto il tintinnio del cucchiaino che rigira un cappuccino troppo caldo, intanto che aspettano i cornetti appena sfornati.

Quasi non hanno pensieri.

Più tardi si ritroveranno soli, tutti quanti a pensare che è un peccato, in fondo, che la fine dell'anno abbia una fine essa stessa. Che è stato così divertente, che è stato così bello. Che ogni promessa urlata nel fragore della musica è stata fatta più a se stessi che al mondo,  che in fondo l'anno passato non era malaccio, che chissà cosa ci aspetta. 

Non ci aspetta niente di ché.

Saremo di nuovo soli con i resti di noi stessi, quelli che ci ostiniamo a imbellettare la sera prima di uscire fuori a celebrare la dipartita del sole, quei resti che poi chiudiamo in casa quando infine nessuno viene più da noi, alla ricerca di una carezza mercenaria.

Saremo di nuovo soli.

Oppure no.

Ci sveglieremo la mattina quando il resto del mondo ancora dorme, con un getto di acqua fredda dal rubinetto, uno spasmo in viso e infine un sorriso sfatto, ma pieno. Forse un tantino sbronzi ancora, ma vivi. Forse avremo davvero superato la soglia, forse a quel punto oggi sarà davvero qui, e non avrà più bisogno di promesse. Forse avremo il cuore pulito, non importa quanto vissuto, se scuciti i lembi e consunte le pieghe. Non importa. 

Dietro le porte bianche delle mie stanze custodisco quel che più sento di dover proteggere, nonostante il male, il dolore, l'amore sottratto e quello negato, nonostante ogni momento in cui mi sono sentito inadeguato. Nonostante le lacrime trattenute, i pugni serrati e le parole al vento, i desideri trafugati, i sogni rimessi a dormire. Ma è tutto qui, davanti a me.

E' tutto quello che ho.

E se dovessi fare una promessa, la faccio a me soltanto.

Qui, ora, io la tacerò.

(Buon Anno, a tutti)

Glòsoli - Sigur Ròs (Takk, 2005)

 

 
 
 

Dispensa

Post n°349 pubblicato il 26 Dicembre 2014 da lab79

Muto nel silenzio del mondo alle quattro di notte, sposto uno a uno i ricordi di una felicità recente sullo scaffale più alto della dispensa, a maturare fino alla fine dell'inverno. Nel silenzio spengo la debole fiamma dei miei pensieri rimuginati tutto l'anno, nemmeno con un soffio ma con la punta inumidita delle dita della mano destra.  Brucia, fa male, ma lo fa in silenzio. Solo la stoffa dei miei vestiti stride strofinando una piega contro un'altra, e sembra che non ci sia nessun altro rumore nel mondo, al di fuori di me. 

Non potrei chiedere altro che questo.

Mi spoglio del mio orgoglio, ed ora non indosso altro che la povertà di me stesso: Un abito di lana, una camicia azzurra, una cravatta nera. Ai piedi, le scarpe scamosciate che porto d'inverno, per non tremare di freddo quando il riscaldamento la notte si spegne. In tasca alcuni dei miei ricordi più antichi, sparsi e disperso il senso che li legava insieme, e tutti insieme al me stesso che sono diventato, col passare degli anni.

E non penso neanche al letto caldo che accoglie le ossa avvinghiate degli amanti tristi, che hanno trovato rifugio dietro la porta dell'ultima stanza in fondo al corridoio, pagando l'obolo di una bugia. Chissà che non sia il modo più onesto di vivere la propria vita: ammettendo di non essere capaci di viverla, se non al prezzo di una bugia.

No, nemmeno questo dubbio trova posto nel mio animo, ora. Sorrido a malapena, tanto da rendermene conto soltanto quando per caso incrocio il mio riflesso sulla superficie liscia di una bottiglia di vetro, nella quale trasluce un liquido talmente chiaro che diresti lacrime, o forse veleno, e forse sono la stessa cosa. Ripongo anche quella nella mia dispensa, ma un po' da parte, dove non possa trovarla per caso. La cassa del cuore lentamente si svuota, si alleggerisce e intanto fuori soffia un vento caldo che non sembra nemmeno dicembre, e non so da dove arrivi, né dove mi porterà. 

 

(Non voglio più sentire dolore, dice la voce che mi canta affianco al cuore. Ma io non la ascolto, senza rancore la lascio cantare, e la voce non trova riverbero né risonanza dentro di me. Sentire dolore significa sapermi vivo.)

 

 

 

Funny time of the Year - Beth Gibbons and Rustin Man (Out of Season, 2002)

 
 
 

AmeriKa

Post n°348 pubblicato il 23 Dicembre 2014 da lab79
 

Che avranno gli Stati Uniti che tanto ci affascinano, ancora oggi, nonostante un certo decadentismo? Il loro cibo, la loro cultura, la loro storia: tutto quanto è come un riflesso di quanti sono arrivati nelle loro terre, nei decenni e ormai nei due secoli scorsi, ad inseguire un sogno americano. Un melting-pot, come qualcuno lo definiva, delle culture e delle abitudini del mondo. 

Un grande paese, anche geograficamente, gli Stati Uniti, non c'è che dire. Tanto da chiamare se stessi America. Titolo dal quale io, da americano, dissento. (Non starò qui a spiegare che l'america è un continente, mica un paese soltanto, ed ecc...) Ma è un fatto: Se per molto tempo si è parlato di sogno americano, come di un principio ispiratore ammirato dal mondo intero, e fatto di libertà, opportunità e diversità, anche ora che quel sogno sembra essersi rivelato falso persino per gli americani stessi, la nostra fascinazione per gli Stati Uniti rimane forte. E quindi non dipende solo da quel sogno sbandierato, ed ora quasi ammainato, quanto forse dalla effettiva influenza del terroir in cui quel sogno cresce e di cui si nutre: l'economia. Che è il carburante e il comburente che tiene la fiamma accesa, anche a un costo che raramente siamo disposti ad ammettere.

L'economia più grande del mondo è una grande fornace, che alimenta se stessa col proprio fuoco che brucia, illuminando e scaldando il mondo come conseguenza. Non vi piace come metafora? Preferite quella dello specchio magico, che deforma il riflesso di chi vede se stesso? Fatto stà che è nella capacità di influenzare e persino piegare le culture altrui, il fascino degli Stati Uniti. Non che sia una novità: da sempre gli stati colonialisti occupavano a forze il cuore dei popoli conquistati. Ma il potere con cui gli Usa conformano il mondo a loro immagine e somiglianza è diverso, e poggia in quel che Joseph Nye chiama "Soft Power": la capacità di attrarre, convincere, persuadere e cooptare il mondo che li circonda, piegando o comunque influenzando il cambiamento naturale a cui vanno incontro i popoli e la storia.

Non significa che il mondo sia costretto a subire acriticamente quel che la cultura americana propone. Ma di certo, è un'influenza che, ancora oggi, non può venire ignorata.

 

Amerika - Rammstein ("Reise, Reise", 2004)

 
 
 

Alle cinque di mattina

Post n°347 pubblicato il 22 Dicembre 2014 da lab79
 

Alle cinque di mattina il ghiaccio non si scioglie ancora, l'alba è lontana ancora. Alle cinque di mattina meno cinque, la strada è ancora silenziosa, ma le luci nelle case già si accendono. I primi passi in silenzio, che c'è sempre qualcuno che dorme, e che dorma ancora un poco. Chissà cosa sta sognando. Ancora cinque minuti e la prima parte del giorno è già compiuta, i primi accendono il riscaldamento in macchina, si strofinano le mani, si avviano verso i propri posti. La macchina non aspetta. Alcuni si fermeranno lungo la strada: un caffé amaro, una colazione frugale, le luci del bar accese solo per metà.

Io li guardo passare.

Il mio tempo si esaurisce, completo gli ultimi documenti, spengo la musica, attendo l'alba. Mi concedo di fantasticare di me che dormo, ancora un paio d'ore e sarà tutto finito. Mi nasconderò alla luce del sole, e sotto le coperte ancora calde cercherò il tepore dell'ultimo sogno, quello che mai ho finito di sognare. Mi addormenterò cieco, e sordo al mondo. 

Non guarderò il mondo passare.

Finché l'imbrunire non avrà riportato le stelle al loro posto.

Farewell and Goodnight - The Smashing Pumpkins

(Mellon Collie and The Infinite Sadness, 1995)

 
 
 

Sonno profondo (2)

Post n°346 pubblicato il 16 Dicembre 2014 da lab79
 

Fatto sta che il tema portante del libro è proprio "[...]la notte di alcuni personaggi che si trovano in una situazione di blocco, in una fase in cui il flusso regolare del tempo si è interrotto[...]" Una situazione che non mi era nuova, allora.  Ho finito forse non con l'identificarmi in alcuno dei personaggi, ma di certo nel riconoscere in alcuni dei loro sentimenti, i miei. Ma come diluiti, allungati appunto dal tempo che allora sembrava non passare mai, delle ore che rincorrevano se stesse, e sembrava non portassero da nessuna parte.

Un presagio triste di quel che sarebbe stato il mio futuro?

No, non arriverei ad essere così crudele con gli anni che seguirono. Certo, alla fine i miei obiettivi sono stati mancati, e i fallimenti travestiti da procrastinazioni. Se non posso oggi, ci penserò domani. Oggi la precedenza alle necessità, domani ai sogni. E invece domani non è mai arrivato, è rimasto come incastrato tra le lancette dell'orologio che segnava la mezzanotte, ed ho finito col dimenticarlo lì, lasciando che la vita scorresse come una barca nella corrente frenetica, guidandone la direzione man mano che mi avvicinavo alle rive rocciose.

Sono diventato reattivo.

Ad ogni avvenimento una reazione, che tutto proceda, che nulla si inceppi. Ma ho lasciato affogare la volontà di programmare dopodomani, l'alba del giorno dopo si è fatta vaga, un dicembre che non arriva mai, una primavera che non fiorisce ancora, ci penserò domani.

Adesso il fiume sembra seccarsi, ed io mi ritrovo come perso, e quasi non ho più il coraggio di chiedermi questo fiume, dove mi porterà.

Adesso sveglia.

Lascia la barca sulla riva.

E con i tuoi piedi e con le tue gambe

e con i giorni che ti restano

Vattene.

Più lontano che potrai.

This is the life - Amy McDonald (This is the life, 2007)

 
 
 

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