Creato da Signorina_Golightly il 23/06/2014

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Post n°929 pubblicato il 08 Luglio 2019 da Signorina_Golightly
 

 A volte è facile sopravvalutarsi ed essere convinti che siamo giusti.

In questi anni di leoni da tastiera penso di essermi confusa anche io sul mio conto, credendomi diversa da loro, certa che in una situazione reale e improvvisa io avrei saputo comportarmi nel modo giusto.

Invece ho capito che pure io mi sono fatta prendere da questa tendenza a ruggire dal pc salvo poi essere passiva e vigliacca al momento in cui serve un'azione concreta.

Ieri ero all'altro addio al nubilato, il secondo in meno di un mese.

Uscivo insieme alle altre da un pomeriggio paradisiaco in una spa di lusso dove non avrei mai pensato di mettere piede e dove quasi certamente non lo metterò più per i costi proibitivi (potrò soltanto serbare il ricordo di tanta goduria).

Tutto bene, tutte allegre, le straccione nella beauty spa. Quando uscite, assistiamo ad una scena sconcertante proprio davanti all'ingresso: un bambino (11 anni? Azzardo) credo non italiano e con un apparecchietto per l'udito veniva cacciato a male parole dal custode in livrea della spa. Riesco soltanto a sentire "vattene! ti ho detto che non devi più farti vedere qui!".

Un bambino. Mi sono chiesta perché un bambino di quell'età avrebbe voluto entrare là, e ho cercato di elaborare un quadro della situazione sulla base delle poche informazioni a mia disposizione: è un bimbo che deve aver provato più volte ad entrare; cerca qualcuno? vuole lasciare un foglio? (ne aveva uno in mano) vorrebbe chiedere la carità là dentro? è un piccolo ladro? ha un qualche ritardo cognitivo? cerca sua madre che magari lavora là?

E intanto mi volto a guardare seria il custode: troppo duro. Sta parlando ad un bambino. Qualunque ragione abbia per farlo, si trattasse anche di un ladro, è un bambino, e ad un bambino non si può parlare così. Siamo tutti responsabili di un bambino quando gli unici adulti intorno siamo noi, me e custode compresi.

Cerco di attirare l'attenzione delle altre che sono troppo allegre per badarci più di tanto. 

Per un attimo vorrei voltarmi, tornare indietro di qualche passo e chiedere al custode "che succede? qual è il problema?".

Ma vedo le altre allegre continuare a camminare, penso che non riesco a sopportare di litigare, di sentirmi prendere a male parole (ultimamente dalle persone che conosco me ne sono prese in po') dal custode, e pure io mi sento molto ebbra di piacere e poco propensa ad addossarmi un problema non mio. E colpevolmente me ne vado.

Ecco, è da ieri sera che ci penso. Penso che se il mondo va avanti è per quelli che non sono come me, che si fermano e guardano invece di continuare indifferenti, che si prendono addosso la seccatura.

Ed è da ieri sera che mi vergogno e che penso che sono ancora molto lontana dalla persona che vorrei essere.

La cosa più triste è che soltanto il giorno prima mi ero detta che sarei migliorata. Questo perché, accidenti che eventi vicini nel tempo!, venerdì ho senza volerlo ma purtroppo senza scusanti ferito un mio collega.

La storia delle nostre interazioni è lunga e costellata da frequenti litigi alternati a periodi di indifferenza, questo a causa dei nostro difficili caratteri.

Ci siamo sempre andati giù pesanti l'un l'altro, taglienti e cinici, finanche stronzi.

Ma venerdì durante uno dei nostri velenosi siparietti mi è scappata una cosa che non avrei dovuto dire. Non perché ci fosse l'intenzione, ma perché semplicemente alla mia età dovrei sapere che non si dice, punto, come non si dice ad una persona "ma sei mongola?", perché non è corretto a prescindere nei confronti delle persone con problemi cognitivi e pure perché non posso conoscere la storia dettagliata di tutti.

Insomma, ho avuto la bella idea di dirgli di farsi i fatti suoi e tornare a fare l'autistico al pc.

Frittata fatta.

Si è infuriato. E mi ha detto che sono perfetta nel dire le peggiori le cose scegliendo accuratamente su che dettaglio concentrarmi.

Ho fatto due più due: il collega ha la sindrome di asperger.

A complicare tutto c'è stata la mia reazione: riesco ad accorgermi del dolore che provoco agli altri soltanto quando mi mostrano rabbia; altrimenti non lo vedo. E' come accade agli scienziati con i buchi neri: non riescono a vedere direttamente loro, ma capiscono di trovarsi di fronte a un buco nero a causa del cambiamento del movimento degli oggetti che gli orbitano intorno.

E poi? E poi la mia prima reazione, prima che di senso di colpa per il male arrecato, è stizza per l'aggressività che mi piove addosso di riflesso. E anche questo non aiuta.

Tutto questo per dire che cosa?

Per dire che mi sveglio ogni mattina desiderando fare del bene, mentre chiudo le mie giornate non solo senza averlo fatto ma anche avendo spesso e volentieri ferito gratuitamente qualcuno in modo profondo.

Ripasso nella mente la mia storia, e riconosco amaramente che la mia lingua tagliente ha più volte fatto del male, mentre le mie mani si sono raramente prodigate per gli altri.

Dicono che la consapevolezza è la prima cosa, il primo passo per cambiare.

Ma non lo so davvero se basti.

 

 
 
 
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