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Post n°68 pubblicato il 04 Aprile 2009 da eticamedia
AGLI EVENTI VANNO AGGIUNTI I LABORATORI IN PIAZZA, PER DARE UN'IDEA COMPLETA DI UNA COMUNICAZIONE EFFICACE, CON UN INTENTO DI FONDO Progetto CAMPANIAMAZE - LA CITTA’ DI SANT’ELIA 6-7-8 aprile TURISMO FORMAZIONE COMUNICAZIONE BENI CULTURALI 6 aprile 2009 Ore 12 Anche io sono napoletano – mostra d’arte diretta da Mario De Cunzo inaugurazione ore 12 con Teresa Armato, Valeria Valente, Angela Cortese Sala Grandi Eventi del Comune – Colonnato di San Francesco di Paola Ore 15 – Biblioteca Nazionale Sala Rari Informatori o venditori di almanacchi? L’epoca delle gazzette e la cultura dell’immagine, introduce e modera Clementina Gily con Ermanno Corsi, Mauro Giancaspro, Fabrizio Lomonaco 7 aprile 2009 Ore 10 Anche io sono napoletano – mostra d’arte , Colonnato MiniReading Ore 15 – Laboratorio di scrittura: Antonella Cilento parla agli allievi del Laboratorio di ecfrastica della Federico II Biblioteca Nazionale – Sala Rari 8 aprile 2009Ore 10.30 Chi era Sant’Elia - Gemellaggio I.P.I.A. Colosimo Il Braille per tutti Ore 15 – Proiezioni di testi pluricodificati - Palazzo Reale Sala dell’Accoglienza Saluto del Sovrintendente ai Beni architettonici e paesaggistici di Napoli e Provincia arch.Stefano Gizzi Ugo Carughi-Daniele Panebarco Il cantiere di Sant’Aniello a Caponapoli Luciano De Fraia – La storia di Napoli dal Vi secolo al 1657 dC Elena Miranda De Martino - L’identità greca di Napoli Ore 19 – Reading dei Poeti, Colonnato – “Una piazza per la poesia” Mostra d’arte Anche io sono napoletano - brindisi di chiusura dell’evento
Post n°67 pubblicato il 04 Aprile 2009 da eticamedia
FOCUS GROUP VIAREGGIO
Nell’occasione dell’evento organizzato a Viareggio dalla SCUOLA DELLA PACE e dal Comune, di cui c’è nel blog c’è qui di seguito il programma, si sono realizzati dei focus group, per fare un’esperienza di conversazione libera e regolata, orientata alla relazione finale.
Ambra Benucci, Alessandro Cortopassi, Valentina Battistoni, Luca Garibaldi, Simone Conserva hanno discusso insieme il tema:Etica e comunicazione Schema del focus - Oltre famiglia scuola e chiesa, quali sono i luoghi dove ci si fa aggrega? – Condividi il parere di Comenio, che quando due uomini sono insieme, si ha un rapporto di formazione – Dove scegli le idee più conformi al tuo modo di vedere? - Hai mai pensato che da secoli la Chiesa ha un ufficio di comunicazione stabile nelle parrocchie? Relazione finale: Gli eventi TV risultano come luoghi di socializzazione, e quindi di formazione, in senso lato. Perché è vero che quando si sta insieme ognuno educa l’altro, insegna il proprio punto di vista. Ma tante cose si apprendono dalle istituzioni, dallo Stato, che ha ipito di indirizzare le menti dei giovani; la famiglia contribuisce in modo sostanziale. Però ognuno si fa delle idee a seconda della propria indole e principi. Molti sono attratti dalle idee che animano gli spettacoli televisivi, e su questo manca la formazione, utile specie per i bambini piccoli. Si può ovviare parlandone, discutendo con gli altri con metodo, così che gli input negativi, contestualizzati, divengano base di un giudizio critico – è impossibile chiudere l’audio. La Chiesa ha molta esperienza di comunicazione, oggi meno di prima, i praticanti giovani non sono molti, contrariamente a prima. Ma i parrocchiani preferiscono una informazione controllata, vietano molti libri: il che spinge altrove.
Giacomo Ricci, Lorenzo Bifera, Bruno Peirone, Nicola Pardini, Veronica Giunta, Priscilla, Jessica, hanno discusso il tema: Etica e media. Schema del focus: Qual è la nostra comunità? - Si può pensare un’etica per la televisione? - C’è un’etica della rete? - C’è un’etica dei media? Relazione finale: Nel nostro sistema di comunicazione sono molti i livelli dei media, ed è irrinunciabile la ricchezza che si lega ad essi, anche dal punto di vista economico. E’ difficile delineare un’etica che venga dalla televisione: non è giusto che ci si lasci influenzare da persone che hanno interesse commerciale e politico nel dare informazioni. Quando praticano un nocivo terrorismo psicologico l’etica è di non dare una visione unilaterale, di moltiplicare gli interessi. Non basta cambiare i linguaggi, occorre avere rispetto delle persone, delle donne, dell’amore, troppo spesso ridotto ad atto sessuale. I bambini vanno tutelati da immagini troppo crude. Tutto ciò è possibile regolare per tutti i media tranne internet, troppo vasto; ma dove si può occorre portare l’attenzione delle fasce orarie anche alla pubblicità; difendere i punti di vista diversi; fare programmi di informazione sui rischi della rete.
Chiara Giorgieri, Beatrice Padroni, Salvatore Di Ronza, Italia Denise, Simone Della Tommasina, Azzurra Beani, Lorenzo Garmacci, Andrea Pieralli hanno discusso il tema:Il rapporto del testo e delle immagini, Che accade se si contraddicono? Schema del focus - La parola problema immagine vuol dire tutto, ma niente di determinato - Scrivere con le immagini, scrivere con le parole - È facile trovare testi in cui si capisce qualcosa dalle immagini e qualcosa di diverso dalle parole? - Dove scegli le idee più belle? Relazione finale: L’immagine è un medium di comunicazione che scatena emozioni veloci, molto diverse dal testo scritto. I tipi principali di immagini sono icone indici e simboli. Ma anche le icone possono essere interpretate in modo diverso da ognuno. Non c’è una traduzione diretta tra immagini e parole, come fra due lingue in parole, non c’è un vocabolario. Si pensi all’arte moderna. I simboli sono fatti per richiamare subito un concetto, un sentire comune, come le bandiere, i simboli politici e religiosi, i marchi commerciali, i loghi. L’immagine simbolo è riconosciuta con facilità da chi la condivide, come nel caso del numero ha valore universale. Per l’ampio e mobile senso, le immagini possono anche contraddire il testo scritto, e possono essere usate per manipolare le persone, in modo anche più efficace delle parole. Molti i cambiamenti nelle immagini nella storia, il 500, l’ espressionismo, il futurismo mostrano dinamiche diverse per elaborare il pensiero. Si diffondono dai luoghi d’arte, ma anche dai media, dai cellulari, dalla rete: inoltre, tutti ormai siamo diventati produttori e scrittori d’immagini. Proprio per questo e per la grande facilità con cui si fraintende il loro senso, è necessario studiare il modo con cui le formiamo e le scegliamo.
Chiara, Nadia, Martina, Lorenzo, Eleonora e Lorenzo II hanno discusso insieme il tema:Il programma televisivo più negativo Schema del focus - Quale programma preferiresti non vedesse tuo figlio o tuo fratello piccolo? - Perché? - Come potresti eliminare definire il suo difetto principale? - Perché ha successo e viene programmato, se è negativo? Relazione finale: Il programma che abbiamo scelto di criticare è Il Grande Fratello, perché quasi mai le immagini e le trame lasciano passare concetti e comportamenti che riteniamo giusti e positivi. L’etica dei concorrenti è spesso criticabile. La stessa azione di vita non è molto accettabile. Le persone passano il tempo in uno stato di ozio che non è lavoro né cultura, non crea nulla di buono. Inoltre, il loro modo di comunicare è persino più volgare del consueto, e anche i loro errori di vita, di comportamento. L’abitudine ad esibirsi non è nemmeno encomiabile e spesso lascia anche l’impressione di una vera e propria falsità nel modo. Eppure tutti lo vediamo, e pensiamo che a migliorarlo basterebbe rendere obbligatorio il parlare di scrittori, di libri, di film, insistere insomma su quelle discussioni culturali che pure qualche volta si fanno tra amici. E sarebbe indispensabile mettere la regola che chi eccede nel comportamento sbagliato sia punito con l’esclusione se non dal programma almeno da parti significative di esso. Tutti l’abbiamo visto e lo vediamo, perciò sappiamo indicare i difetti e proporre regole: ciò succede perché soprattutto crea curiosità, quando c’è uno choc è uno stimola a pensare, anche se lo si giudichi negativo. Inoltre, i protagonisti sono persone giovani come noi, è facile identificarsi con loro, col loro parlare di sesso e di amori senza prospettive troppo serie, come si fa tra amici. Non siamo pentiti di vederlo, nonostante i difetti non fa male, non si tratta di uno spettacolo cattivo o negativo; quando la sera si è stanchi, distrae e riposa.
Post n°66 pubblicato il 11 Febbraio 2009 da eticamedia
Dal 12 al 14 febbraio si terrà a Viareggio, in piazza Mazzini, Palazzo delle Muse, un incontro sul tema della politica della comunicazione, organizzato dall’Associazione Popoli, Diritti, Cultura, dall’OSCOM Federico II di Napoli, in collaborazione con la Provincia di Lucca e la Scuola della pace; con il patrocinio morale della Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele di Napoli. Partecipano all’incontro Magda Tomei, Ermanno Corsi, Clementina Gily, Franco Cambi, Ilaria Vietina. Comunicazione è una parola problema, dice Edgard Morin, perché nell’accezione comune ha sensi così ampi da significare tutto e nulla. Il termine risulta denso di problemi senza soluzione presente soprattutto in due sensi
Per il resto, il termine ha un senso più immediato e determinato, si parla di insuccesso di comunicazione tra le persone (o successo) di capacità relazionale, di comunicazione che è andata ad effetto: tutti sensi su cui non si accende nessun dubbio e che completano la parola problema. Il titolo dell’incontro INFORMAZIONE E VENDITORI DI ALMANACCHI L’EPOCA DELLE GAZZETTE E LA CULTURA D’IMMAGINE richiama il senso di cosa voglia dire “informazione”. Rivolgendosi alla scuole, si suppone che siano note le Operette Morali di Leopardi, dove c’è la figura del Venditore di Almanacchi. Non si tratta di un informatore, ma di un commerciante di calendari astrologici, che intavola una conversazione con l’acquirente, la cui esplicita conclusione (a parte le consuete valutazioni pessimistiche) è che in realtà l’almanacco non prevede nulla, non fornisce informazioni. Perché in realtà che giorno cadrà il 4 aprile basta il calendario dell’anno scorso per saperlo. Quindi, l’informazione è un gadget. Perché torni in mente quest’immagine, quando ci si impegna in una discussione sulla politica della comunicazione è presto detto. Basta ascoltare una di quelle trasmissioni in cui tutti pretendono di parlare, assolutamente; e alla fine le nostre idee sui contenuti del discorrere sono meno chiare di prima. Il fatto non cambia quando si leggano con attenzione gli articoli di tanti giornali, pieni di polemiche pretestuose e di ballon d’essai , per non dire di chiacchiere messe su per sviare da urgenti problematiche, alla cui pubblicazione si sacrificano altri articoli. Qualche nome in più, qualche fatto in più fanno la differenza acquisita informandosi. L’opinionista, invece, dà una visione del problema: ma il suo ruolo ne fa per definizione una visione di parte. Una volta, se Croce o Einaudi parlavano, la gente discuteva, si fidava. Oggi si valuta piuttosto se sanno centrare il bersaglio. Il consenso è diventato indifferenza; l’avversario politico è uno che mi fa venire il mal di testa. Perciò bisogna dargli sulla voce di continuo per negare tutto quel che dice. Sono cose che dovrebbero essere elementari. Appena qualche anno fa si sarebbe evitato di dire volgarità – semplicità eccessive - come queste qui dette. Ma i tempi corrono veloci. La classe politica fa scendere sempre di più il livello della discussione e quindi l’interesse della gente: parlare di politica vuol dire capire quel che si fa, distinguere nel dettaglio, sapere il bene e il male di governo e opposizione. Per fare una scelta. L’attuale situazione dell’informazione che non fa passare una informazione compresa, è posta qui nel riflettore dell’attenzione. Fino a che punto l’informazione è giusto sia parziale? Quali caratteristiche ha il buon professionista dell’informazione? C’è nella politica inglese della pubblica amministrazione una distinzione tra play e dis-play che vale a distinguere tra informazione corretta e scorretta. Dicono gli amministrativisti inglesi, che chi nelle istituzioni comunica con il pubblico deve praticare la consumer’s care, cioè deve prendersi cura del suo cliente, chi entra in contatto con l’amministrazione pubblica. Ovviamente non gli può concedere di non pagare le tasse, anche se farebbe felice il cliente – ma nemmeno il venditore lo fa. Si prende cura del benessere del cliente nel senso che evita che l’ospedale destinatario delle sue tasse vada in fallimento; inoltre, gli rende facile capire cosa deve pagare, dove, quando e risponde a domande e dubbi - come un venditore ad un cliente. Dunque, tratta il cittadino come cliente ma non per questo lo accontenta troppo: è una istituzione che cerca di imparare dal metodo delle pubbliche relazioni come condurre un processo di qualità. Si tratta, dicono, di praticare il play e non il dis-play. Le due parole in inglese hanno la caratteristica sempre molto illuminante della contrarietà. In italiano potremmo tradurre con mettere in gioco ed esibire, come fanno i display dei prodotti che sono nei negozi. Quel che cambia nei due casi è il comportamento dell’emittente: se accetta il gioco e si dispone ad accettare la critica e cambiare se occorre; oppure se invece si limita ad esibire le proprie scelte e se c’è chi non è d’accordo, a convincerlo. La prima è una visione democratica e la seconda autoritaria. La visione del play è un’ottica di comunicazione; la visione del dis-play è un’ottica di informazione. Nella politica della comunicazione, riuscire a realizzare la prima quanto più è possibile, in relazione al presente della storia, è il fine stesso di questa politica. Un fine reso necessario dall’’era delle gazzette, un riferimento meno noto dell’altro, che è un invito alla lettura del libro di Hermann Hesse Il gioco delle perle di vetro . E’ l’era della grande e infinita sciagura in cui l’informazione giunse al collasso entropico, si accartocciò su se stessa per eccesso di sviluppo – persi i significati, scatenò la lotta più brutale. Da essa - scrisse Hesse nel ’42 tessendo come altri il flebile e cristallino filo dell’utopia, la vera luce del mondo - s’era sviluppata la società del gioco delle perle di vetro. Come in un grande MUD, i conflitti del mondo non seguivano la musica delle armi, ma quella degli strumenti raffinati che fabbricano le perle transludice, ricche del senso perduto, simboli cosmici da giocare su grandi scacchiere per decidere le forme future. Dopo il collasso di ogni senso, la Repubblica di Platone. Le utopie, va detto, non si possono raccontare e men che mai sunteggiare: questa è tanto struggente da sfiorare il sublime.
Post n°65 pubblicato il 27 Gennaio 2009 da eticamedia
L’attualità di gennaio ha visto Veltroni tornare al tema TV: ci saremmo aspettati molti più commenti, in uno che che ha scritto vari libri sul tema, sui programmi ecc. Ma soprattutto ci saremmo aspettati di più a livello di commento: forse anche lui pensa che siamo tutti cretini. Ed ecco il giudizio: la critica di Affari tuoi. Veltroni va ripetendo una frase con cui credo molti saranno d’accordo, che guardando la tv a volte ha la sensazione di venire da Marte. Non so se sapete che la parola tronista è passata nel vocabolario italiano; ma pochi andranno a cercare nel vocabolario, tutti sanno chi è. Trattasi di fosca figura, generalmente bel ragazzo, che ha vinto la battaglia per l’immortalità: è passato in televisione. Viene in mente Sartre che ricordava che sappiamo il nome di Eratostene, incendiario di un tempio che nessuno sa più chi costruì. Per dire, la fama è fama. Caino è famoso come Abele. Se conta solo questo, la vita può farsi molto ma molto difficile. Conviene farsi mordere da Wolf al prossimo chiar di luna piena, così poi vediamo chi vince. Ma i politici non possono venire da Marte; e se proprio vengono, si paghino un consigliere fidato. Lui critica Affari Tuoi con toni da non so cosa di antico, tipo la vita si guadagna duramente in fabbrica dove s'impara cos'è la catena di montaggio ecc. - che già negli anni '70 pareva soltanto un'altra retorica, e che ora si dice ai ragazzi del call center e della fila ai provini delle veline.... Certo, è un quiz dove non si fa nulla, si vince quanto vince un povero travet in anni di lavoro; anche se sono poveri travet i concorrenti, la morale non è tranquilla - un azzardo è un azzardo. Subito ribatte quel volpone di Del Noce: allora, aboliamo il lotto. E qui credo che Veltroni abbia capito di aver toppato. Perché il lotto e ancor più il tris e tutti i pullulanti analoghi infuriano ovunque; non risentono nemmeno della crisi. Popolo di mentecatti, commenterà tra sé il marziano. Però, è proprio lui, il marziano, che non ha potuto assistere alla meravigliosa fioritura di teorie sul gioco che nel 900 hanno spiegato che il gioco è la cosa più seria di tutte, che le jeu de Dieu è la creazione, che anche l'azzardo ha il suo senso. E lo dice una piccola e disgustosa formichina laboriosa che conosce il proprio difetto - esita al rischio. Basta questo per perdere le battaglie: a sette anni gli spartani mandavano bambine e bambini fuori di casa al freddo. Chi sopravvive impara a rischiare. Altrimenti, inutile sopravvivere, si vivrebbe comunque da schiavi. Questo insegna il gioco d’azzardo. Certo non serve a tutti, molti rischiano troppo, ma il male non è il gioco, è il suo abuso. Basta conoscere il gioco, mentre nessuno ne sa la teoria (al massimo quella matematica dei giochi). La riprova dell'errore: Veltroni cita a miglior esempio X Factor, e infatti il suo produttore Gori si è inorgoglito per la sua trasmissione, assentendo vigorosamente. Veltroni s'è per un momento dimenticato,forse, chi è Gori, e se mai sia ipotizzabile che faccia qualcosa per la tv che non appartenga al genere panem et circenses. E questo è infatti: la trasformazione, in agguato da tempo, della vita in musical. Il mondo delle veline. Ci si va fino in Parlamento! Imparare a ballare, a muoversi, a recitare, trascurare il pensiero critico e la capacità di pensare; per raggiungere livelli elevati e vincere i tanti altri aspiranti, tutti perdono tutto il loro tempo prezioso, la scuola e l’Università - regni bacucchi su cui è lazzo e stridor di denti. Meglio X Factor? ma è la fabbrica del consenso! Le scatole restano un gioco di Natale, come la tombola, che si gioca con misura. Il team di ballo è una scelta di vita alternativa all'impegno ed alla discussione politica. Il circo è una cosa bellissima, anche se i circensi sono artisti girovaghi, che non si radicano in una nazione e forse non votano. Spero che almeno questo dissuada Veltroni dal desiderare una bella nazione circense.
Post n°60 pubblicato il 15 Luglio 2008 da eticamedia
Francamente esagera Diamanti a considerare Berlusconi inventore del prodotto di successo: non solo così disconosce la paternità craxiana del modello e del successo, ma si dimentica anche che anche il perfetto lancio del populismo mediatico fu attuato da Ross Perot in elezioni americane ormai dimenticate, per via del fallimento di Perot. Ciò accadde perché in America la politica soffre lo stesso bilanciamento ridicolo delle parti (che rende importante la grandezza della famiglia del candidato) ma in compenso i giornali fanno il loro mestiere, non sono soltanto gli acquirenti della pubblicità (infatti vendono copie). Perciò si vota pro o contro la guerra in Iran; perché si capisce chi vuole continuarla e chi vuole smetterla. Qui invece sappiamo bene solo chi è per il ponte sullo stretto e chi è contro: ma tanto tutti sanno benissimo che non si farà mai per via del terremoto e di Scilla e Cariddi e per via di Impregilo; quindi, è come è la questione del sesso degli angeli: viene fatta solo per guadagnare indulgenze e tutto il resto che si accompagna di solito alle indulgenze. Comunque, la mediocrazia, il potere dei media, porta come mediocrati uomini che se non sono loro stessi persone di spettacolo, si rivolgono a loro; e poi eleggono ai parlamenti i giornalisti specie se tv. L’intreccio quindi è certo, ha venature sordide, ma soprattutto è in sé il pericolo – la Nemesi - che si è rivelato a Piazza Navona. Perché se questa è la politica, dove le facce contano più del cervello politico: allora che meraviglia se Guzzanti e Grillo, Fo e Rame ecc ecc sono meglio di Foa e Vespa? Talmente meno belli e meno abili! L’imbianchino che prese lezioni di dizioni prima di diventare genocida, avrebbe certo perso in molti tipi di concorso, con la Greta Garbo o la Marlene Dietrich – Gino Cervi, poi, ne avrebbe fatto polpette. E quindi ha ragione Diamanti: i politici non si lamentino di Piazza Navona: hanno trasformato la politica in palcoscenico, accettino la lezione dei professionisti!
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