GIORNI STRANI

Vita di comunità: mai come ora dobbiamo fare appello a ogni nostra singola cellula. E' giunto il momento di imprimere una violenta accelerazione all'intelligenza della nostra specie, come una frustata di tramontana: l'occhio non sarà occhio e la mano non sarà più mano, negli anni venturi.

Creato da sergioemmeuno il 22/04/2011
 

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La qualificazione per Tarna 2

Post n°173 pubblicato il 28 Agosto 2011 da sergioemmeuno
 

Per quanto riguardava il nostro schieramento in campo, Flavio difendeva i pali, coadiuvato, da sinistra verso destra, da Alessio, Eugenio e Pietro; in mezzo al campo danzavano le gambe del terribile Ungherese, di Vladimiro e le mie, che dovevano a turno sostenere l’azione di Roland. La panchina era scaldata dai culi pigri di Felice e di Tommy.

La notizia più sorprendente era che i due intossicati della sera precedente, Pietro e il Grifo, si erano miracolosamente ripresi e non avevano più alcun dolore né conati di vomito, a parte una lieve e giustificabile spossatezza. Evidentemente, in quella brutta storia dell’acqua inquinata, ci eravamo fatti prendere dal panico per nulla.

Fischio d’inizio. Gli avversari si catapultarono subito nella nostra metà campo. Un nanetto, sulla fascia sinistra, tutto finte e scatti, iniziò a fare il cattivo e il brutto tempo, facendo impazzire i tre della difesa: cross bassi e alti a ripetizione per gli arieti in maglia verde. Si preannunciava una giornataccia, con loro a spingere come posseduti, colpire di testa, calciare da tutte le angolazioni e correre, entrare duro, correre, guadagnare calci d’angolo uno dietro l’altro; ma per fortuna eravamo difesi da quei prodigiosi guantoni da ciclope di Flavio. Il portierone dapprima spedì lontano la palla su un paio di insidiosi corner, con la nostra area paragonabile a Fort Apache; poi, per ben due volte, uscì a valanga sui piedi di un nemico lanciato a rete. E quando la sorte lo stava abbandonando, con lui ormai col sedere per terra, il centravanti si mangiò un goal fatto calciando la sfera in tribuna.

Scoccò l’ora della pausa e Gabriel, all’istante, ci sputò tutti gli insulti immaginabili, sottolineando che non avevamo effettuato nemmeno un tiro nello specchio della porta nemica.

<<Zeus! Dobbiamo giocare più raccolti e ripartire in contropiede>>, ci martellava. Teste basse e bocche cucite. <<E Sandor, sulla fascia, lo dobbiamo sempre accompagnare con almeno due… che devono tagliare in diagonale>>, le sue mani affettavano l’aria. <<Se uno và al Centro, l’altro deve andare dall’altra parte! chiaro?>> Teste basse. Il suo schema di gioco era lineare, ma di fatto ci eravamo ritrovati sempre con le bocche spalancate a rincorrere le maglie verdi.

E ancora: <<E in difesa, passate o buttate la palla sempre di lato, mai al Centro. Se queste zappe ci sbattono fuori, prima vi sodomizzo a sangue, e poi vi giuro che me ne vado a piedi fino al Tibet.>> Era furioso. Nessuno osava immaginare che si potesse alterare per una partita di pallone.

Quanto più il tempo passava, tanto più il risultato rimaneva inchiodato sul pareggio, con la sensazione che solo un colpo di genio avrebbe sbloccato la partita. Ora anche loro annaspavano, con i piedi sempre più simili a quelli dei palmipedi, piedi pesanti nella sabbia. E anche la loro punta di diamante, quella perfida e velocissima ala, era a corto di fiato.

Dalle due panchine, i rispettivi mister si sbracciavano e fischiavano per impartirci le loro istruzioni. Avevo talmente la vista annebbiata che, a un certo punto, volgendomi verso la nostra panchina, al posto del trainer vidi una sagoma che sbraitava e salterellava come un canguro irrequieto.

Ognuno si  incazzava con  un proprio  compagno:  Flavio  ormai  comunicava  solo
attraverso gli occhi, poiché non aveva più voce; Eugenio strillava per chiedere l’aiuto di noi Centrocampisti; i laterali Pietro e Alessio sbruffavano e sacramentavano; là davanti, noi quattro chiedevamo sfrontatamente giustizia al padre Eterno, e ci scagliavamo di volta in volta contro la vittima di turno. Ma gli stessi avversari non è che se la passassero meglio di noi.

 

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