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DEI DELITTI E DELLE PENE

Post n°51 pubblicato il 12 Febbraio 2007 da luvi57

Dei delitti e delle pene è un saggio scritto dall'illuminista milanese Cesare Beccaria tra il 1763 ed il 1764.

In questo breve trattato Beccaria si pone con spirito illuminista delle domande circa le pene allora in uso. Nel 1766 il libro viene incluso nell'indice dei libri proibiti a causa della sua distinzione tra reato e peccato. Il milanese affermava che il reato è un danno alla società, a differenza del peccato, che non essendolo, può essere giudicabile e condannabile solo da Dio. L'ambito in cui il diritto può intervenire legittimamente non attiene dunque alla coscienza morale del singolo. Per Beccaria, inoltre non è «l'intensione», ma «l'estensione» della pena ad esercitare un ruolo preventivo dei reati.

L'inglese Robert Peel affermò che la certezza della pena è un valore altrettanto fondamentale, e prevalente sulla gravità della punizione.

Voglio di seguito riportare il capitolo nel quale Beccaria, dimostrando una mentalità all'avanguardia per l'epoca in cui è vissuto, già insisteva sulla certezza e soprattutto sulla "prontezza" della pena

Capitolo 19 - PRONTEZZA DELLA PENA

Quanto la pena sarà piú pronta e piú vicina al delitto commesso, ella sarà tanto piú giusta e tanto piú utile. Dico piú giusta, perché risparmia al reo gli inutili e fieri tormenti dell'incertezza, che crescono col vigore dell'immaginazione e col sentimento della propria debolezza; piú giusta, perché la privazione della libertà essendo una pena, essa non può precedere la sentenza se non quando la necessità lo chiede. La carcere è dunque la semplice custodia d'un cittadino finché sia giudicato reo, e questa custodia essendo essenzialmente penosa, deve durare il minor tempo possibile e dev'essere meno dura che si possa. Il minor tempo dev'esser misurato e dalla necessaria durazione del processo e dall'anzianità di chi prima ha un diritto di esser giudicato. La strettezza della carcere non può essere che la necessaria, o per impedire la fuga, o per non occultare le prove dei delitti. Il processo medesimo dev'essere finito nel piú breve tempo possibile. Qual piú crudele contrasto che l'indolenza di un giudice e le angosce d'un reo? I comodi e i piaceri di un insensibile magistrato da una parte e dall'altra le lagrime, lo squallore d'un prigioniero? In generale il peso della pena e la conseguenza di un delitto dev'essere la piú efficace per gli altri e la meno dura che sia possibile per chi la soffre, perché non si può chiamare legittima società quella dove non sia principio infallibile che gli uomini si sian voluti assoggettare ai minori mali possibili.

Ho detto che la prontezza delle pene è piú utile, perché quanto è minore la distanza del tempo che passa tra la pena ed il misfatto, tanto è piú forte e piú durevole nell'animo umano l'associazione di queste due idee, delitto e pena, talché insensibilmente si considerano uno come cagione e l'altra come effetto necessario immancabile. Egli è dimostrato che l'unione delle idee è il cemento che forma tutta la fabbrica dell'intelletto umano, senza di cui il piacere ed il dolore sarebbero sentimenti isolati e di nessun effetto. Quanto piú gli uomini si allontanano dalle idee generali e dai principii universali, cioè quanto piú sono volgari, tanto piú agiscono per le immediate e piú vicine associazioni, trascurando le piú remote e complicate, che non servono che agli uomini fortemente appassionati per l'oggetto a cui tendono, poiché la luce dell'attenzione rischiara un solo oggetto, lasciando gli altri oscuri. Servono parimente alle menti piú elevate, perché hanno acquistata l'abitudine di scorrere rapidamente su molti oggetti in una volta, ed hanno la facilità di far contrastare molti sentimenti parziali gli uni cogli altri, talché il risultato, che è l'azione, è meno pericoloso ed incerto.

Egli è dunque di somma importanza la vicinanza del delitto e della pena, se si vuole che nelle rozze menti volgari, alla seducente pittura di un tal delitto vantaggioso, immediatamente riscuotasi l'idea associata della pena. Il lungo ritardo non produce altro effetto che di sempre piú disgiungere queste due idee, e quantunque faccia impressione il castigo d'un delitto, la fa meno come castigo che come spettacolo, e non la fa che dopo indebolito negli animi degli spettatori l'orrore di un tal delitto particolare, che servirebbe a rinforzare il sentimento della pena.

Un altro principio serve mirabilmente a stringere sempre piú l'importante connessione tra 'l misfatto e la pena, cioè che questa sia conforme quanto piú si possa alla natura del delitto. Questa analogia facilita mirabilmente il contrasto che dev'essere tra la spinta al delitto e la ripercussione della pena, cioè che questa allontani e conduca l'animo ad un fine opposto di quello per dove cerca d'incamminarlo la seducente idea dell'infrazione della legge.

Oggi purtroppo non vi è nè certezza nè prontezza, con cosa allora combattere l'incalzante tendenza a delinquere?

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Commenti al Post:
Dike_vendicatrice
Dike_vendicatrice il 13/02/07 alle 20:14 via WEB
Ciao cara Luvy….La modernità di Beccaria per l’epoca è veramente esemplare. Egli al posto della crudezza della pena propendeva per la certezza della pena. Io a volte auspico che certe pene edittali magari vengano aumentare per reati di particolare gravita, come ad esempio gli stupri. Poi però ne convengo che come deterrente al delinquere è di gran lunga migliore la certezza della pena, anche se è una pena di modesta entità. Che senso ha la previsione di un castigo punito in modo severo se poi c’è la consapevolezza che si potrebbe uscirne impuniti? Non sarebbe male nemmeno la prontezza della pena, ossia un processo piuttosto celere, che garantirebbe anche di impedire la fuga, o di non occultare le prove. E’ vero che il processo deve avere una durata ragionevole, come prevede anche la Costituzione, ma chiunque adisce le vie legali ha il sacrosanto diritto di vedersi risolte le proprie controversie in un tempo ragionevole, anche se alcune cause sono più complesse di altre. Ti auguro una felice serata.
 
a_tiv
a_tiv il 13/02/07 alle 20:43 via WEB
Ciao mia cara amica. Non ho avuto tempo di commentare il tuo post e non l'ho ancora. Sono appena rientrato e sto per riuscire. Domattina...sarà il mio primo impegno. Ciao! Un abbraccio ed a domani! Vito
 
a_tiv
a_tiv il 14/02/07 alle 09:46 via WEB
Mia cara luvi...oggi quasi per caso sul mio blog in risposta al commento della nostra comune amica Dike al mio post "Violenza!" ho ricordato il famoso decreto Biondi, quello definito "salvaladri". Ho ricordato lo spirito di quel decreto e come si traducesse nell'interpretazione di una civiltà giuridica in cui le garanzie e le certezze fossero i principi ispiratori della giustizia. E' da ricordare che il decreto faceva riferimento alla carcerazione preventiva, e che l'iniziativa traeva origine da una realtà in cui la carcerazione preventiva era l'anticamera di una deriva giustizialista ed in cui si applicavano metodi di tortura giuridica e mediatica. Il decreto prevedeva per la carcerazione preventiva i presupposti della reiterazione del reato, del pericolo della fuga e dell'inquinamento delle prove. Durante il periodo di mani pulite ed il primo governo Berlusconi, di cui Biondi, uomo liberale ed illuminista, era ministro della giustizia, la carcerazione preventiva, invece veniva usata come forma di tortura e di minaccia e senza che ci fossero i presupposti accusatori(come abbiamo in seguito constatato) che ne giustificassero le ragioni. Proprio come in seguito abbiamo constatato con le assoluzioni degli accusati. Ho ricordato anche il proclama televisivo del pool di mani pulite, con Di Pietro allora magistrato, che inveiva contro il decreto e con l'accusa a Biondi di essere il Ministro "salvaladri". Associo il ricordo a quello dei leader religiosi nei paesi islamici che arringano la folla ai principi del fondamentalismo religioso e che portavoce del loro dio indicano la strada da seguire per la glorificazione del loro credo e per la salvezza del popolo. Sarebbe anche interessante soffermarsi sul vulnus istituzionale inferto al Paese da queste forme di imposizione di fondamentalismo giuridico, ma non lo faccio perchè si uscirebbe dall'argomento. L'argomento è la giustizia e lo spunto degli scritti di Cesare Beccaria "Sui delitti e sulle pene". Penso, però, che quanto detto serva a chiarire sia i presupposti della certezza del delitto che della prontezza dell'azione giudiziaria. Devo solo rimarcare, ancora, che la prontezza dell'intervento debba essere garantito dalla consistenza degli indizi e delle prove a carico. Se un impianto giudiziario è fondato sulla ricerca di prove e conferme, e quindi solo sui presupposti di colpevolezza, è difficile che regga ai tre gradi di giudizio ed è facile che si concluda con un nulla di fatto, ma anche, purtroppo, con una grave ferita morale ed economica a danno della persona accusata. La giustizia spesso si dice che è a favore dei più ricchi ed è vero: solo costoro si possono permettere i suoi costi. Il povero diavolo viene lasciato marcire in galera, si ammala, impazzisce, si dispera, si abbrutisce. E' quello che accade tutti i giorni nel nostro Paese. Non c'è alcuna giustizia, nessuna certezza e nessuna prontezza. E' su questa realtà che poi si applica l'indulgenza, l'indulto e le misure di sollievo e di speranza per il recupero dei giudicati. La precarietà, la mancanza di equilibrio tra le parti, l'incapacità della magistratura inquirente a rendersi disponibile alla ricerca degli elementi di prova a discolpa, il protagonismo, a volte il teorema ideologico rendono inapplicabile la giustizia e ne compromettono la certezza. A questo punto quest'ultima rimane solo una conseguenza di un errato modo di gestire la giustizia e dei mancati equilibri di controllo che poi sono quelli che garntirebbero anche la certezza dell'azione giudiziaria. Ciao luvi. A presto. Vito
 
The_Dark_Inside
The_Dark_Inside il 15/02/07 alle 16:05 via WEB
Oggi, quasi duecentocinquanta anni dopo, con i progressi della scienza giuridica e criminale, le teorie del Beccaria sono state approfondite e recepite così bene... ...che il Governo ha aprovato l'INDULTO. E vabbè, e noi subiamo... >:-)
 
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