Creato da fedechiara il 14/11/2014
l'indistinto e il distinto nel suo farsi
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Messaggi di Settembre 2021
E, finalmente libero dopo l'imposizione del vaccino, eccomi al vaglio del mitico greenpass – che dovrebbe dare luce verde all'ingresso di una mostra collaterale della Biennale Architettura, ma vengo fermato perché 'non ancora valido'. Che vuol dire? Misteri eleusini della burocrazia italica. Perplessità del controllore che dice 'non mi è mai capitato', ira sorda del controllato perché, se rilasci un 'passi' che dà, finalmente, luce verde alla libera usufruizione degli elementari diritti di cittadinanza, non è che poi aggiungi un 'vedremo più avanti' a discrezione dei burocrati sordi e grigi e nascosti nell'ombra di un irraggiungibile ministero di una pretesa 'salute pubblica'. E provo a fare una contro verifica nel vicino palazzo Grassi di una mostra raggelante che fissa la città di Venezia in suo 'vuoto a perdere' pandemico, ma uguale lettura dà il marchingegno di controllo. Per mia fortuna il vigilante, più solerte, telefona a un misterioso ragioniere super visore e ottengo il sospirato via libera che mi equipara ad una maggioranza di succubi cittadini. E torno a bomba a palazzo Levi, mostrando fiero il biglietto benevolo della mostra testé visitata - che ci ricorda l'angosciante esperienza del vuoto cosmico di una città asfissiata, naturaliter, da un turismo assassino - ed è un secondo 'passi' rubato all'ottusità burocratica che non mi impedisce di sentirmi di bel nuovo 'cittadino del mondo' e cittadino onorario di questi palazzi veneziani prestati alla Biennale di cui ho dato testimonianza artistica per anni. Il ritorno del cretino alla prova di un liberi tutti. E la speranza – dura a morire – che sia finita, finalmente, e che mai più nessun burocrate della biennale follia politica di s-governi nati dai vergognosi inciuci parlamentari di 'onorevoli' incollati alla cadrega di un potere usurpato possa avere in pugno la libertà dei cittadini. Ad maiora. |
Animali intelligenti 30 settembre 2014 In una pubblicità della Rai, 'da novant'anni in onda', Cochi e Renato ci informano che 'La gallina non è un animale intelligente. / Lo si capisce da come guarda la gente'. E, per la verità, mi capita di incocciare per strada persone (molti 'giovani') che nulla hanno da invidiare a questo straordinario animale - al quale dobbiamo riconoscenza massima non foss'altro che per il dono divino che ci ha fatto nei millenni delle sue uova. Immaginate cosa sarebbe la nostra vita senza lo zabaglione, le frittate di ogni genere e tipo, le impanature e tutto quanto della nostra fantasiosissima gastronomia comporti l'uso delle uova. E trovatemi, di contro, uguale utilità sociale e relazionale per certi nostri 'giovani' della movida notturna, il cui sguardo ci riporta indubitabilmente alla gallina. Per tacere di quelli che si affiliano all'Isis per provare l'emozione intensissima del tagliare gole e teste di gente indifesa attribuendone il merito all'ineffabile allah e al suo mitico profeta. E, con una piccola digressione, sull'articolo 18, viene fatto di chiedersi se 'è nato prima l'uovo o la gallina'. Ovvero se questo diritto elementare di non venire licenziati perché 'stiamo sulle palle' a un padrone caratteriale e un filo stronxo sia cosa buona e giusta in sé e da estendere a tutti o, invece, è solo una palla al piede delle nostre mitiche 'imprese' che, senza, assumerebbero lavoratori a mucchi e dozzine - tanto, poi, li mando a casa quando mi pare e piace, che bel divertimento. Chiedere lumi a Renzi, una volta spenti i riflettori sul teatrino insulso della sua Direzione. E chiediamogli conto, poi, di tutte le altre promesse che dispensa a piene mani sui disoccupati e i mitici 'corsi di formazione' che dovrebbero restituire il lavoro perduto ai cinquantenni con l'ansia atroce di una pensione che non arriverà. Ma chiedeteglielo davvero, cari i miei concittadini, - coi toni duri e ultimativi di elettori incazzati e indignati - e rendeteglielo bollente quest'autunno che incede col passo del gambero: uno avanti e due indietro. E ho nelle orecchie i resoconti di amici e conoscenti che mi parlano di condizioni di lavoro talmente degradanti da venire voglia di cambiare pianeta per mai incontrare quei tali che offrono un tale tipo di 'lavoro' - e si dicono 'imprenditori' e colonne portanti di una società di infami e ignorano e non si curano delle più elementari regole di rispetto della dignità delle persone. |
Che cosa può significare lo strano abbinamento di un famosissimo motto latino che tuttora campeggia sulla testata dell'Osservatore romano, ma trova(va) il suo misterioso equivalente nel campo di concentramento di Buchenwald – scritto a rovescio perché a leggerlo, beffardamente, fossero i morituri ivi rinchiusi? Unicuique suum. 'A ciascuno il suo'. Che mai vorrà davvero significare, se una tale ambigua definizione si presta anche allo spaventoso rovesciamento di senso di 'Jedem das Seine' del campo di morte di cui sopra? Ci spetta davvero qualcosa, in questo nostro mondo caotico e crudele e nel corso delle nostre vite delle più varie e diverse? Siamo creditori di qualcosa, che so: la fruizione libera e gratuita e impunita del pianeta, come ci rimprovera Greta, - che, quando non sorride, il guardarla è penitenza di molto maggiore delle 'tre pateravegloria' che recitavamo con sincera compunzione genuflessi di fronte al ligneo crocefisso e ne uscivamo bellamente assolti? E chi più ha è tenuto a devolvere le proprie eccedenze a chi meno ha (o proprio non ha) – perché esiste un 'suo' dei ciascuno nascosti o poco visibili, un 'suo' del nostro prossimo globale poco o nulla tenente a cui Marx, Engels e Lenin predicavano il doversi liberare con forza 'dalle proprie catene' – ma, dopo tante rivoluzioni, ci siamo ridotti, agli inizi del terzo millennio, all'otto per mille della chiesa cattolica, che chissà come amministra il suo bel gruzzolo, data l'elefantiasi istituzionale di cui soffre? E, certo, i prigionieri di Buchenwald distoglievano lo sguardo dalla beffarda scritta sovrastante il cancello di ingresso perché mai hanno accettato che il 'Seine' - il 'loro' dovuto a ciascuno dei reclusi e morituri stancamente deambulanti tra le baracche - dovesse essere quella condanna incomprensibile ed atroce, quella riduzione del loro stato di esseri umani a carne da macello e grasso da sapone in virtù della vittoria militare dei loro malvagi oppressori. E, nel mio piccolo, anch'io spesso mi interrogo su cosa effettivamente sia il mio dovuto, quella piccola parte di riconoscimento ad personam di uno stato di diritto niente affatto certo e tutto e sempre da rivendicare per ottenerne una ragionevole, bastevole porzione (vedi le lotte operaie nelle fabbriche che chiudono) – ed è triste dover convenire che 'niente è per sempre' e che, se sono in troppi a chiedere e premere ai confini ben difesi dal filo spinato, qualcuno presto apparirà di là del muro con i cani e il taser e i manganelli a ricordarci che 'a ciascuno il suo' è un motto tutto e sempre da interpretare e, in certi contesti, pure un filo beffardo, ahinoi. |
Col cuore pesante devo ammettere che c'è un maledetto 'uso politico della giustizia' in questo paese. E' una nebbia umida che grava pesante e permanente - e niente consente di distinguere del vero e del falso che si rappresentano e vengono inutilmente evocati negli avvilenti teatri della giustizia. Perché, a suo tempo, ci avevano fatto convinti, i p.m. e i giudici in aula e i giornalisti di grido, che Berlusconi l'avesse fatta grossa più volte e ripetutamente, a tal punto da dirlo indegno del titolo di onorevole senatore, ma l'hanno vinta i suoi cavalli di Caligola, gli avvocati valenti che, in punta di diritto e di rovescio, hanno rovesciato i primi verdetti e le fragili sentenze - e oggi lo vediamo/ascoltiamo pontificare in video e in voce, seppure con quella voce impastata dall'età e fuori e dentro gli ospedali che gli fan da schermo giudiziario, a recitare le tristi, vuote litanie di una politica che quotidianamente ci indigna, ma che ognora ci propina impunita i suoi veleni e le sue evidenti schifezze - e con il conforto e il viatico costituzionali e istituzionali che consentono il durare oltre il limite del lecito delle male cose parlamentari e i vergognosi inciuci dei volta gabbana di turno. E il caso di quel giudice di Sassari, più realista del re, che dà seguito non petito ad un provvedimento giudiziario spagnolo che imbarazza l'Europa e la stessa Spagna – impegnata a mediare con gli indipendentisti catalani una durevole tregua politica – mostra come il teatro della giustizia italica annoveri parecchi attori sfiatati e in conflitto tra loro che, sul proscenio, azzardano la battute amare di un loro teatro dell'assurdo. E Puigdemont, il giorno dopo, è di nuovo libero e più legittimato che mai a trattare da leader politico le condizioni del suo reintegro e ritorno in patria, osannato e in trionfo. E taccio la vicenda di quel Dell'Utri di cui giornali e telegiornali dissero peste e corna e mediatore politico con la 'mafia', nientemeno, e oggi torna sul palcoscenico giudiziario a rivendicare una sua specchiata onestà – e noi telespettatori, basiti, ci chiediamo dove stia il trucco scenico, il marchingegno che sostiene la complessa trama che un narratore di scarso ingegno ha scritto e rappresentato lungo i vent'anni del nostro scontento. E ci arrovelliamo a dargli un titolo che ben si attagli a questa commedia nostra, questo fescennino italico che intesse malamente il riso e il pianto (greco) nel racconto delle disavventure di un visconte dimezzato che dice di volersi ritirare tra i rami dei suoi alberi con appresso i suoi amati libri da collezione - e ammicca sul proscenio al suo pubblico come un attore consumato e fa capire che l'Italia è il paese dove tutto è davvero possibile, il migliore dei mondi di cui narrava Candido ai tempi suoi. The end e scarsi applausi dalla platea semivuota.
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26 settembre 2015 Ha chiuso di recente la meravigliosa mostra 'Alefbet – L'alfabeto della memoria' di Grisha Bruskin alla Stampalia che mostrava, stupendamente raffigurati, i temi e i personaggi della Gnosi della religione ebraica: tanto ricca e fantasiosa quanto mirabile e avvincente nel fascino che promana dalle storie di ognuno dei suoi personaggi. Non so se Bruskin sia 'credente', ma di certo è stato 'colpito sulla via di Gerusalemme' dalle avvincenti narrazioni della religione dei suoi avi e le ha tradotte con abilità artistica straordinaria. Così è stato per me, nei riguardi della sua religione e di tutte le altre che ho conosciuto e approfondito la conoscenza nel corso di molti viaggi iniziatici: in India e nell'estremo Oriente delle moschee frammiste alle pagode e ai templi induisti e le caverne buddiste. Religione e storia dell'uomo procedono tuttora affiancate: sogno e leggenda l'una dell'altro e tormento di una evoluzione che non riesce ad affrancarsi dal peggio della cultura religiosa fondamentalista e 'unicista' – quella di coloro che pretendono di affermare e interpretare 'l'unico e vero Dio' e il suo Verbo. Verbo detto e scritto nel Libro da un Profeta e/o da un 'figlio di Dio' sceso in terra e partorito da una vergine, nientemeno. Miracolo della Fede. E si fatica a mandare a memoria gli episodi storici in cui si sono affrontati, spade (oggi bombe e mitraglie) alla mano, gli aderenti a questa o quella Fede e dottrina o le sette e gli scismatici e le centinaia di migliaia di morti che hanno lasciato sul terreno. E altri sette/ottocento sono rimasti a terra - donne e bambini compresi - l'altro ieri alla Mecca, schiacciati dall'ondeggiare pauroso della calca dei 'pellegrini' che volevano bersagliare con le pietre un qualche loro demone – dei molti partoriti dall'insana follia delle varie e diverse fedi nel corso dei secoli. E mi chiedo perché siamo una ristrettissima minoranza, noi atei (non devoti) che notiamo e additiamo l'incredibilità e la favolistica dei miti e dei riti persi nella notte dei tempi di tutte le religioni e ne denunciamo l'oppio dei popoli – e il veleno, se lo relazioniamo ai morti in battaglia e alle catastrofi ricorrenti dei pellegrini islamici alla Mecca. E, oggi, importiamo a migliaia, dalle nostre frontiere-colabrodo, il virus di un islam medioevale che è destinato a fare danni e alimentare i conflitti etnico-religiosi a centinaia e migliaia nel cuore di un'Europa che più fragile e indifesa non si può – e si arrabatta con provvedimenti-tampone e sempre in ritardo sui tempi e insufficienti nella titanica impresa di arginare a governare i nuovi barbari. Integrarli, poi, è parola davvero grossa, dati i moltissimi casi di immigrati di seconda e terza generazione coinvolti in predicazioni fondamentaliste che alimentano l'odio e armano le mani degli assassini di 'Charlie Hedbo' e del museo del Bardo. |
Inviato da: LewisCannon
il 15/08/2024 alle 09:09
Inviato da: cassetta2
il 29/07/2024 alle 22:19
Inviato da: ARCAN020
il 29/06/2024 alle 12:34
Inviato da: fedechiara
il 24/06/2024 alle 06:56
Inviato da: VIOLA_DIMARZO
il 23/06/2024 alle 16:38