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Attaccato al muro insieme all'ombra XLI

Post n°272 pubblicato il 02 Dicembre 2016 da deteriora_sequor






Feci appena in tempo a vederlo prendere la strada della toilette che
Io ero già sulla ben nota e riconoscibile via per l'obitorio. La testa
mi girava forsennatamente e le gambe mi reggevano a malapena, ma
sapevo di dovere resistere per mio padre, per mia madre, per Danilo.
Attraversai corridoi asettici e ogni tanto incontravo qualche coppia, o
più persone che si sorreggevano stravolte dal dolore. Avevo pianto
durante quella terribile cavalcata insieme alla pena? Non lo ricordavo
più. Adesso mi sembrava di avere del marmo al posto delle guance
dove ogni tanto si posava l'umida carezza di una lacrima. Ma nulla
di diverso. Era come se il lutto continuo mi avesse cristallizzato e
scolpito con cura, mi muovevo simile a un automa; ero cosciente
che ci sarebbero voluti anni per metabolizzare quello che stavo
sperimentando in pochi minuti. Il cammino era lungo e mi permetteva
di sentire con chiarezza la congerie di pensieri che si agitava nel
 cervello, sbattendo contro le pareti craniche. Non v'era un nesso,
un filo logico: ogni tanto canticchiavo tra me e me e subito un pensiero
molesto si insinuava con visioni di ferrovie, di uomini e donne in un
letto, di bambini che giocavano nei prati. Solo dopo un quarto d'ora mi
accorsi di avere sbagliato direzione e di essere finito nel reparto di
cardiologia. Un'addetta mi accompagnò dolcemente sulla giusta strada
e tornai a procedere con i ricordi e i pensieri che non la smettevano
di straziarmi e di confondermi. Fu quando le mie gambe stavano
rifiutando di reggermi oltre che giunsi davanti alla morgue. Mi sorprese
di trovare una famiglia intera ad attendere il proprio turno, e la cosa
mi indispose. La morte non metteva la freccia e non aveva diritto di
precedenza. Mi avrebbero sentito allo sportello reclami! Vi sono attimi
in cui non si può abbandonarsi come sempre alla burocrazia ospedaliera,
oppure era una cosa normalissima ed ero solo Io a stare sclerando?
Pensai a Danilo, che forse in quel momento stava seguendo le mie
tracce verso l'estremo saluto a nostro padre. Provai un senso di
vertigine e mi sedetti su un pancaccio. La famiglia di fronte a me
restava in piedi e non smetteva di singhiozzare. Pensai a chi
avessero perduto: un figlio? Una nonna? Il mondo fuori dagli
altissimi finestroni sembrava sbarrato e nulla trapelava delle piccole,
allegre gioie, delle partite a pallone, dei videogiochi elettronici, delle
scopate, dell'alacre lavoro dei dipendenti di tutte le ditte del mondo.
Sentivo montarmi la rabbia a rimpiazzare la confusione mentale
quando la famigliola venne invitata a entrare. Se tardavo ancora
un poco pensai che avrei avuto accesso con Danilo. Non doveva
essere molto lontano, a meno che non si stesse perdendo fra
oncologia e neuropsichiatria infantile. Accavallai le gambe e mi
lisciai la riga dei pantaloni per non assopirmi. L'unica cosa che mi
risultava perfettamente chiara era che fossi completamente solo
in un mondo dove non esisteva il minimo rumore e le pareti erano
affrescate di bianco e di sbavature di azzurro. Suggerivano il cielo?
Forse questo era l'intento ma Io allungavo il collo verso i corridoi
nell'attesa della venuta del mio fratellastro.






(Continua)








 
 
 
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Un blog di: deteriora_sequor
Data di creazione: 13/05/2013
 
 

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