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Creato da street.hassle il 13/05/2013

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Il rumore dei passi. Trentaseiesimo estratto

Post n°239 pubblicato il 12 Settembre 2016 da street.hassle








Il capitano scoppiò in una crisi isterica: "Qualcuno l'ha fatto sparire e non
ci vuole molta fantasia! Quel libro deve essermi restituito altrimenti metterò
sottosopra questa stamberga." I presenti erano attoniti e, nello stupore,
nemmeno si davano d'attorno per vedere se l'opera letteraria fosse stata
posta in qualche altro luogo della piccola stanza. Leslie era balzato dal letto
e aggrediva verbalmente le due sorelle, evidenti responsabili ai suoi occhi,
del dissolversi di David Fitzroy: "Finalmente ci siete riuscite, streghe isteriche
a nascondere le vostre malefatte, ma non finisce qui! Quello che avete fatto
a Baltasar verrà alla luce! Non è facendo sparire un libro che si nascondono
le colpe." Urlava in un inglese sempre più sconnesso. Il Generale Arngeirsson
si era ritirato verso la porta e osservava la scena dall'alto dei suoi quasi due
metri senza profferire motto ma riflettendo su quanto l'inglese stava sboccando
a destra e a sinistra. Nessuno osava fermarlo anche perché riconosceva la
sua fondamentale ragione e restava perplesso sulla maniera in cui l'opera
era scomparsa, come in seguito a un gioco di prestigio. Terminato il suo sfogo
Atwater ricadde sul letto e chiese a Sesil di preparare le sue cose per spostarsi
in un altro luogo riparato. "Posso ospitarla in una delle casette lungo la costa,
proprietà dell'esercito islandese." Mormorò il generale "Non sono molto spaziose
ma hanno i comfort indispensabili: sono in legno e resistenti al freddo e a tutte
le intemperie." "Se vuole può venire a stare da me, capitano." Intervenne Sesil
Gunnarsson "Ho una casa a 12 chilometri da qui. è confortevole, un po'
disordinata ma dignitosa, e lei sa che può tranquillamente fidarsi di me."
Il graduato britannico riflettè a lungo, poi, in base ai suoi elaborati pensieri
accettò l'offerta del giovane pescatore: "Non perché non mi fidi dell'esercito
islandese" prese a dire "Ma con Sesil si è stabilito un rapporto speciale, non
ho mai avuto un luogotenente così affidabile e sincero. So di potermi appoggiare
a lui in ogni mia esigenza." "Conosciamo Sesil" Fece Jòn Beiddarsson "Del resto
siamo stati noi a presentarglielo. Ma mi permetta un'osservazione... Perché
tutto questo polverone per un libro che si stava rivelando letale per lei?"
Leslie sospirò profondamente: "Forse quel tomo mi stava veramente
ammazzando ma era anche l'unico modo per ottenere giustizia riguardo la
fine di Baltasar. Lui parlava attraverso quel libro. E ora? cosa sarà delle
ricerche che il generale Arngeirsson intende avviare? Il terreno è enorme
e dispersivo. Senza i dettagli che Baltasar lasciava attraversare possedendomi
diventa tutto più complicato." Ci fu un'approvazione generale. Solo le sorelle
rimasero zitte, avvolte dal silenzio come da un sudario bianchissimo.






(Continua)









 
 
 

Il rumore dei passi. Trentacinquesimo estratto.

Post n°238 pubblicato il 07 Settembre 2016 da street.hassle








Leslie Atwater restò un attimo perplesso, poi appoggiò i gomiti sul
materasso e si inarcò con la parte superiore del corpo in avanti:
"Nessuna ostinazione, nessuna pervicacia. Posso andarmene in
qualsiasi istante da questa casa." Le sorelle non reagirono e questo
parve al capitano molto più che un'opinione. I due ufficiali islandesi
stavano attoniti e alticci di fianco al letto. Sesil si lisciava la ciocca di
capelli biondo cinerognola con fare nervoso e l'intenzione, non ancora
molto chiara, di riportare una tregua a quell'improvviso scontro. "Beh,
allora è deciso..." Fece l'inglese scostando le coperte "Me ne vado da
questo posto. Sesil mi darà una mano con le mie cose e poi effettuerò
il trasloco. Dove? sinceramente non lo so..." E Fissò con sguardo
interlocutorio Jòn Beiddarsson e Falur Heimirsson "Ma comunque
troverò un tetto sopra la testa per un ufficiale di Sua Maestà che ha
sempre fatto il suo dovere in modo inappuntabile e..." Lo sguardo gli
cadde sul pesante libro nero di David Fitzroy "Senza possedere sensi
di colpa per qualsivoglia ragione militare." A quel punto ebbe un manca
mento e Sesil lo sorresse immediatamente prima che scoppiasse il
putiferio e il capitano scivolasse dal giaciglio. Quando si riebbe aveva
una pezzuola sulla fronte e un termomentro sotto l'ascella. Cominciò
a mettere a fuoco gli oggetti e le persone intorno a lui è notò una nuova
presenza nella piccola stanza della sua degenza. Era il generale Arngeirsson,
capo del dipartimento militare da cui dipendevano Atwater e tutti gli inglesi
sbarcati su quel lembo di terra. Un uomo severo, asciutto e quadrato, dalla
mascella volitiva e gli occhi infuocati. Immensamente alto e carismatico.
Inizialmente al capitano parve di trovarsi di fronte al proprio antico
insegnante di religione e balbettò qualcosa a propria discolpa, fino a
quando non riprese pieno possesso della propria razionalità e capacità
obiettiva. "Mi scusi" Boccheggiò accennando un saluto militare "Io e lei
ci conosciamo. Lei è il generale Arngeirsson. Non doveva scomodarsi
a piombare in questo abbaino...Penso di avere avuto l'ennesimo svenimento
e me ne dispiace. Spero di non avere delirato troppo e di non avere rivelato
segreti che è sempre meglio mantenere nella propria intimità." "Nessuna
vergogna da celare, capitano." Fece Arngeirsson affabilmente "E se ha
voglia di discutere possiamo già cominciare a parlare." "Beh, certo...Io...
Un momento! Il libro di David che era sulla finestra, dov'è finito?" Tutti
seguirono l'indice tremante di Atwater che indicava uno spazio vuoto
dove fino a poco prima c'era l'opera conclusiva del suo grande amico.







(Continua)








 
 
 

Il rumore dei passi. Trentaquattresimo estratto.

Post n°237 pubblicato il 03 Settembre 2016 da street.hassle

 







I due ufficiali islandesi piombarono con passo malcerto nella stanza di
Atwater. Gli fecero il saluto militare, poi si misero comodi sistemandosi
su due sedie impagliate spinte da una parte e iniziarono a fissarlo, quasi
dandosi di gomito nell'attesa che lui gli rivolgesse la parola. Ma il capitano
britannico li aveva appena degnati di uno sguardo ed era tornato a sfogliare
le pagine di David Fitzroy con languido trasporto. Jòn Beiddarsson fece un
accenno con il mento al libro: "Abbiamo l'ordine di sequestrare quell'opera."
Leslie diventò di tutti i colori mentre Sesil non rideva alla pessima battuta
dell'ufficiale islandese. Istintivamente l'inglese si portò il manoscritto al petto
e lo strinse forte. "Chiunque tenterà di prendermelo volerà fuori dalla finestra."
Aggiunse poi in tono selvaggio. Gli islandesi scoppiarono a ridere e si diedero
grosse pacche sulle spalle. "Lo scherzo ha funzionato." Urlò Falur Heimirsson
mentre il collega tirava fuori il pacchetto delle sigarette. Nel frattempo un forte
trapestio dabbasso lasciava capire che anche Isveig e Eyleif erano tornate dal
loro giro con la piccola Agnes. Leslie chiuse repentinamente il libro e lo appoggiò
sul comodino, quasi con l'intenzione di non farsi cogliere dalle due donne mentre
stava leggendo. Tutti sentirono i passi indugiare sulle scale e poi aprirsi una
fessura nella porta da cui dardeggiarono due occhi azzurri. Era Eyleif, che
squadrò con attenzione i presenti e poi chiese, temperando dolcemente la voce:
"Possiamo entrare?" I presenti annuirono quasi all'unisono, e dentro fecero
la loro irruzione Isveig e Eyleif senza la piccola Agnes. "Dov'è la bambina?"
Chiese Sesil incuriosito. "è in giardino a giocare." Fu la risposta, che aleggiò
per diverso tempo nell'aria secca e tiepida del mattino inoltrato. Nessuno
sembrava avere voglia di prendere l'iniziativa fino a quando la vodka non
inumidì ancora la favella di Falur e gli fece sussurrare rivolto alle sorelle:
"Ci saranno degli scavi nei dintorni, alla ricerca del cadavere di Baltasar."
Solo un lievissimo sussulto tradì la compostezza delle donne. "E chi l'ha
deciso?" Proruppe Isveig con un filo di voce. "Arngeirsson, ovviamente.
Gli sono giunte diverse lamentele da parte della famiglia del ragazzo, e poi
tutte le bizzarre trovate di Filippus stanno facendo saltare i nervi agli abitanti
del posto." "Non è stato lei a lamentarsi?" Fece improvvisamente la donna,
arcigna, rivolgendosi a Leslie Atwater. Il capitano scosse la testa e replicò
con calma assoluta: "Ci debbono essere nell'aria strane componenti che
vanno a fondersi. Penso che una voce persistente gironzoli per il cervello
del comandante e lo abbia convinto a setacciare la zona. La chiami giustizia,
la chiami carità, la chiami dovere ma penso che Arngeirsson stia facendo
la cosa giusta. è indubbio che questo posto celi qualcosa. Le donne ora
sussultavano vistosamente: "Da quando è arrivato lei, inglese, sono
cominciate le nostre disgrazie. Non so con che coraggio abbia ancora
l'ostinazione di restare in questa casa."  








(Continua)








 
 
 

Il rumore dei passi. Trentatreesimo estratto

Post n°236 pubblicato il 30 Agosto 2016 da street.hassle








Udirono un'automobile frenare poco fuori dalla casa. Sesil posò il libro
e si accinse ad alzarsi per andare incontro alle due donne mentre Leslie
restava a letto con le mani allacciate dietro la testa. "Cosa intendi dirle?"
Fece al suo giovane autista. "Nulla di particolare. Farò presente che ci
sono mille modi per uccidere una persona e che lasciarlo affogare
dall'alta marea è uno dei più crudeli." "Non essere così duro. è colpa
mia. Ho forzato troppo le cose e ho esasperato quella donna. Sono stato
deliberatamente crudele per metterla alla prova." "Questo non giustifica
il suo comportamento.  Lei è un ufficiale di Sua Maestà Britannica ed è
stato ospitato senza nessuna requisizione o forzatura. Se a loro non sta
più bene possiamo cercarci un'altra sistemazione. " Detto questo Sesil
Gunnarsson si alzò in piedi e si diresse alla porta, fino a giungere alle
scale dove sentì trillare il campanello. "Al diavolo" pensò "Perché
suonare? Non hanno forse le chiavi?" Scese di corsa fino al pianoterra
e aprì la porta senza nemmeno guardare. Jòn Beiddarsson e Falur
Heimirsson erano davanti a lui nella loro immacolata uniforme
islandese e negli occhi qualcosa a metà fra un sorriso irritato e una
apparente soddisfazione. "Aspettavo qualcun altro veramente." Buttò
lì seccato Sesil. "Non sei contento di vederci Gunnarsson?" Replicò
Falur Heimirsson squadrando da capo a piedi il suo interlocutore
"Ormai sembra tu sia diventato di casa. Ti permetti addirittura di
scegliere gli ospiti? Dove sono le donne?" "Sono andate in città a
fare compere e c'hanno lasciati qui a badare all'abitazione." Replicò
Sesil senza accennare alla disavventura di Atwater. Un bizzarro senso
di preservazione lo convinse a non spingersi oltre nelle confidenze.
Sentiva, inoltre, un pungente aroma di vodka provenire dalle due
figure che aveva di fronte e lui si ritrasse istintivamente come gli
capitava sempre davanti a individui alticci. "Ti abbiamo portato
un regalo, Gunnarsson. A te e al capitano" Pronunziò con la lingua
lievemente intrecciata Jòn Beiddarsson, estraendo con una mano
nascosta dietro la schiena una bottiglia di liquore mezza piena.
"Puro whiskey di malto irlandese" Aggiunse Heimirsson strascicando
le parole "Lo abbiamo recuperato grazie al colonnello Arngeirsson,
che ha ritenuto fosse una bella idea far ritrovare il gusto delle sue
terre ad Atwater. è della collezione personale del colonnello." Sesil
accennò una smorfia, poi si mise a ridere "Non credo proprio che
il capitano abbia qualcosa a che fare con gli irlandesi ma comunque
accetto da parte sua il regalo di Arngeirsson." E allungò la mano
prendendo la bottiglia e soppesandola. "Non penso gli faccia bene
in questo momento, ma la terremo da parte per tempi migliori." I
due graduati islandesi accennarono un moto di disappunto ma
sfoderarono ben presto il loro charme da divisa. "Non ci fai entrare,
Sesil? Dobbiamo parlare con Atwater; è una cosa abbastanza
importante." "Accomodatevi." E Gunnarsson si fece da parte.
Passandogli accanto Heimirsson non riuscì a tapparsi la bocca
e mormorò all'orecchio del giovane: "Arngeirsson si è convinto
che ci sia qualcosa di strano nella sparizione di Baltasar e si è
messo in contatto con la magistratura. Pare che passeranno la
spiaggia al pettine con i riservisti." Sesil, dopo avere aguzzato
l'udito fissò i suoi occhi in quelli del confidente: erano torbidi
ma una lieve angoscia vi affiorava sullo sfondo; come il retro
gusto di un'ottima bottiglia di whiskey irlandese.










(Continua)










 
 
 

Il rumore dei passi. Trentaduesimo estratto.

Post n°235 pubblicato il 26 Agosto 2016 da street.hassle







"Perché dovrei, dunque, sentirmi in colpa per David? Io...ho fatto tutto
quello che potevo per alleviare le sue sofferenze. Non gli sono mai stato
ostile...gli sono sempre stato amico." "Ma forse lui voleva qualcosa di più."
Leslie Atwater si morse il labbro inferiore: "Io non potevo dargli quello che
lui desiderava...Insomma l'Amore. Da ragazzino non capivo quel suo
starmi così vicino, quasi incollato. Non riuscivo a capire che in questo
modo cercava una difesa dai bulli della scuola, una consacrazione al mio
fianco. Io, al contrario di lui ero molto rispettato. Quasi temuto." "E per
evitare di perdere la sua aura di inattaccabile, per non sminuire la sua
fama presso i coetanei ha lasciato che David affrontasse il suo destino."
"Ma fu lui a offrirsi volontario quel giorno a Dunkerque." "Era una missione
pericolosa, immagino." Il capitano annuì: "Si trattava di minare un ponticello
sotto le incursioni degli stukas tedeschi. Era talmente esaltato che non me
la sentii di rifiutare. Ricordo ancora l'espressione nei suoi occhi: era come
acciaio mescolato a oro. Non avevo mai visto né rivedrò mai più uno
sguardo simile." "Stava andando a morire e lo sapeva. Lo capisce questo?"
"Certo. Lo intesi sin dal primo istante." "E non poteva impedirgli di suicidarsi?"
Sesil si era alzato in piedi e rimirava il territorio fuori dalla finestra, cosparsa
di migliaia di goccioline minuscole. "Non ne ebbi la forza. A questo siamo
arrivati, dunque? Ricordo che pensai. Ma ancora adesso sono convinto che
non v'era alternativa e che quello fosse la decisione migliore che David
potesse prendere. Riscattare la dignità del suo Paese, lo Stesso che lo
aveva messo ai margini a causa della sua...natura." "Lei non fece nulla
per rendergli la vita più facile, malgrado si proclamasse amico. Forse non
lo abbracciò mai o gli disse una buona parola. Sotto le armi è l'onore prima
di tutto, non è forse così?" "Lui era un sottufficiale come altri. Un sottoposto.
dovevo rispondere della vita di centinaia di ragazzi, non esisteva solo David
Fitzroy." Sesil Gunnarsson si staccò dalla finestra e tornò a sedersi vicino
al capitano, prendendo nuovamente il libro in grembo. "Quando le diede
questo?" "La sera prima di partire in missione. Venne appositamente nella
mia tenda." "Le disse qualcosa?" Oh sì, parlammo brevemente e lui mi
sussurrò: "Dentro questo libro non ti scorderai di me. Io lo afferrai come se
scottasse e lo misi sulla mia branda. Effettivamente realizzai presto che c'era
tutto David Fitzroy in quell'opera." "Forse non solo il ricordo." "Già." Replicò
mestamente Leslie. "Per un motivo o un altro una parte della personalità
di quel ragazzo si è trasfusa con le pagine della sua opera omnia, e non
riesce ad abbandonarmi." "Perché non ci fa i conti una volta per tutte con
il fantasma di quel povero diavolo? è ancora così dannatamente impettito
da non riuscire ad ammettere che voleva bene a David? Non mi fraintenda,
non sto parlando inclinazioni sessuali, sto parlando che David aveva un
bisogno fottuto della sua approvazione mentre riusciva a trovare solo
freddezza e rigore, da perfetto gentleman inglese. Non le stava chiedendo
di venire a letto con lei, solo di non emarginarlo, di non fare come tutti gli
altri, di non lasciarsi andare a risolini alle sue spalle, o a battute fuori luogo,
o a sottili riprovazioni morali." Leslie Atwater sollevò il pugno verso Sesil:
"Non t'azzardare! Mai mi sono permesso con David delle cose del genere."
"Va bene, non si alteri. Ma cerchi di capire che David voleva solo un amico,
un sodale e ha trovato un superiore glaciale e imperturbabile, al quale ha
sacrificato persino la sua vita."







(Continua)









 

 
 
 

Il rumore dei passi. Trentunesimo estratto.

Post n°234 pubblicato il 22 Agosto 2016 da street.hassle








Poi fu la volta del controllo medico di prammatica
e il Dottore entrò con passo spedito e il volto
corrucciato, quasi non vedesse l'ora di sbrigare
quelle patetiche incombenze e andarsene verso
la sua Vita: Una passeggiata con la sua fidanzata,
osservare con Lei le vetrine, un buon sigaro, un
bicchiere o due di xeres e la chiacchierata al
circolo in ottima compagnia. Questo gli si leggeva
in fronte mentre sbrogliava la fasciatura. Davanti
alla situazione peggiorata ristette un attimo, poi fissò
Curtius quasi con astio, come fosse colpa sua se non
si decideva a guarire :"Le cose non vanno per niente,
Krabbe, e se non migliorano saremo costretti ad
amputare, altro che storpio per il resto della Vita." Il
ragazzo ristette sorpreso e le lacrime presero ad
affollarglisi agli occhi mentre il dolore per essere
sbatacchiato qua e là dal mediconzolo lo costringeva
a vedere le stelle. Finita la visita il dottorino si rivolse,
con una rabbia sempre più malcelata, all'infermiera e
strepitò :"E chiuda quella porta. I malati devono avere
tranquillità, riposo e riservatezza." L'infermiera sotto lo
sguardo attonito di Curtius si avvicinò alla porta che
separava le due stanze e la chiuse con un tonfo. Sparita
era la ragazzina e i suoi occhioni vasti, sparita era la
ragazzina con il suo sorriso che pareva intaccare persino
i bordi del piccolo volto. In pochi minuti Il Dottore e
l'infermiera erano scomparsi e il ragazzo si trovava solo e
spaurito in quella stanza che sapeva di acido fenico e
ammoniaca. Ristette per un attimo a collezionare pensieri
cupi, poi un'idea meravigliosa gli attraversò il vestibolo
cerebrale e lo colmò di determinazione: si sollevò sui
gomiti e fissò le stampelle, finora inutili, che giacevano
contro il letto. Le afferrò e gettò con immensa fatica le
gambe oltre quella trappola. Il dolore gli attraversava le
 gambe come scariche galvaniche e gli devastava il
cranio, la paura di non farcela gli serrava la gola e lo
faceva ansimare come un mantice. Ma non recedette
di un centimetro. Facendo leva sulle grucce, e andando
a sbattere contro il piccolo tavolino, si fece largo. I piedi
gli si strascicavano al suolo e le caviglie spezzate dentro
l'armatura gli sbranavano muscoli e carne. Gli ci volle un'ora
per percorrere cinque metri, ma alla fine era lì. Sentiva il
cuore battergli come un martello intento su chiodi lunghissimi.
Aveva il volto madido di sudore e il buio intorno si era fatto
deciso, temperato solo dal pieno turgore della luna. Girò
la maniglia strapazzato dall'emozione, tremava vistosamente
e i denti gli battevano mentre la porta si spalancava. Folle,
posò immediatamente gli occhi sul giaciglio dei suoi sogni.
Sconvolto, lo trovò vuoto. Le forze gli mancarono in un attimo
e crollò a terra come una statua dinamitata. Perdendo
l'equilibrio e allungandosi sull'impiantito vene a incocciare con
uno strano fagotto a sua volta disteso al suolo. Nel buio allungò
le dita e trovò un viso, nel buio riconobbe degli occhi enormi, nel
buio seguì i contorni di una bellissima bocca ancora ferma nel
sorriso. E allora capì tutto. Si erano cercati disperatamente e,
alla fine, si erano incontrati. Proprio lì, mentre la Morte aveva
calato le sue ali sulla ragazza, ora indugiava ad avvolgere anche
Curtius nella sua stretta. Ma Curtius non aveva paura: il suo
percorso si era compiuto e il loro Amore, appena nato, era
bruciato in fretta nel mondo ma ora si avviava a durare per l'Eternità.
Saldo come le loro gambe, finalmente. Dolce come i baci con cui
Lui le stava riempiendo, in quel momento decisivo, il volto.


"Beh, che ne pensa?" Fece Sesil all'ufficiale. Questi era rimasto inchiodato
al letto e non osava aprire bocca quasi potesse sciupare quell'attimo di
eternità che la storia aveva scalpellinato fra loro. Solo dopo cinque minuti 
spalancò le labbra e l'aria gli si fece suono. Ma un suono stentato e asmatico
che produsse una sola parola: "Agghiacciante." "Davvero lo trova così? eppure
dovrebbe essere stato suo amico e conoscerlo bene. Quello che mi viene in
mente è: straziante. Non chiede pietà a nessuno. C'è un grande orgoglio qui
dentro. Nulla di sdolcinato e strappalacrime. L'insieme è asciutto e duro,
poche pennellate per dipingere il dottorino e l'infermiera, altri rapidi accenni
al vetriolo all'ospedale. I veri protagonisti restano i due ragazzi e il loro amore
esploso all'improvviso; una bufera in un bicchiere d'acqua. La società li
sconfigge ma loro vincono scavalcando persino la morte. Sono eternati,
trasfigurati, assunti in cielo senza carro di fuoco ma con una leggera brezza
che asciuga le loro madide fronti." Sesil Gunnarsson represse un forte
singulto e per evitare imbarazzanti confronti guardò fuori dalla finestra.
Leslie se ne accorse immediatamente e mormorò: "è per questa ragione
che lo porto sempre con me. Per me è come se fosse ancora vivo, e
attraverso le sue prose e le sue poesie ne evoco l'immagine tutti i giorni."
"Sbagliato" Replicò il pescatore alzando di qualche semitono la voce: "Lei
lo porta con sé per tenerlo in ostaggio, per non farlo uscire da quelle pagine,
perché teme che potrebbe nuocerle molto. Per una ragione che mi è ancora
sconosciuta sente una colpa profondissima nei confronti di David Fitzroy, e
questa colpa si è trasformata in ossessione costringendola a portare quel
libro nero con sé ovunque andasse, come un paio di catene. Ma i nodi 
vengono sempre al pettine, capitano Atwater, e si da il caso che un povero
islandese, ammazzato come un cane, abbia fatto conoscenza con David 
Fitzroy e che le stia chiedendo un po' di spazio nella sua coscienza. Lei
non immagina come sono i revenant islandesi: spesso burberi e brutali,
non vanno per le spicce. Quando si apre una leggera fessura nelle fasce
spazio-temporali si introducono sgomitando, senza chiedere il permesso
a nessuno." 








(Continua)









 
 
 

Il rumore dei passi. Trentesimo estratto.

Post n°233 pubblicato il 12 Agosto 2016 da street.hassle




Sfogliando le pagine si imbatté in una prosa che attirò la sua attenzione;
si intitolava "Curtius" e prese a leggerla avidamente. Era molto breve e si
risolveva in due brevissimi capitoli. Quando ebbe terminato Sesil si leccò
le labbra tumide e uscì con un'imprecazione colorita in inglese. "L'ha mai
letta?" Fece ad Atwater. L'ufficiale scosse il capo: "Non ricordo nulla con
quel titolo. Ho letto parecchio di quel librone, ma soprattutto le poesie e
parte del poema maggiore. Magari alcune prose, ma non ricordo Curtius."
Il pescatore gli allungò l'edizione e disse sommessamente: "Legga. Lo
legga. Lo trovo molto istruttivo su David Fitzroy." Leslie afferrò il libro e
prese a scorrere le parole del piccolo racconto. Chissà perché sentiva che
doveva farlo ad alta voce.

Avevano portato il ragazzo in ospedale tre mesi
prima. Si era addormentato su un carro che
portava fieno ed era caduto con le ruote che gli
passavano sopra e gli tritavano le gambe sotto il
ginocchio. L'avevano portato in ospedale che era
tutto viola e le macchie del vomito gli inondavano la
camicia di canapa. Nemmeno si pensava di poterlo
salvare, tantomeno di salvargli le gambe ma, si sa,
i miracoli avvengono, e Curtius era riuscito a preservare
le sue estremità a prezzo di dolori indicibili e sofferenze
inenarrabili. Anche adesso, mentre mordeva la coperta
per non urlare, si chiedeva se fosse più fortunato o
 dannato ad essersi aggrappato con i denti al suo essere
integro e ad averlo difeso contro tutte le previsioni. Tanto
per tirarlo su il medico gli aveva comunque annunciato
che doveva convivere con la possibilità di restare storpio.
E allora, si diceva Curtius, perso per perso vale la pena di
tenersi quelle propaggini inutili e soffrire tutto il dolore del
Mondo, come quel Cristo che pendeva incassato e scarno
dalla parete? Sollevò la coperta e fissò le gambe dentro la
gabbia di ferri che gli era stata costruita intorno. La carne
era enfiata e violacea, e mandava cattivi odori. Capì subito
che si stava consumando forse per la dabbenaggine di
qualche dottore, forse per un inevitabile giro del Destino.
Tirò su il panno e girò la testa verso il muro, disperato e
scosso dalla pena fisica. E fu proprio allora che si accorse
che la porticina che dava sulla stanza confinante era semi
aperta e poteva vedervi dentro. Per Lui fu come si fosse
spalancato il sole sopra un paesaggio incrostato di nebbia.
Poteva occhieggiare nella stanza e vedere una ragazza
distesa nel suo letto che lo osservava a sua volta. Era
pallida, ma bellissima, riusciva addirittura a individuarne
gli occhi, così grandi da colmarle quasi tutto il volto, talmente
profondi da attirarlo nella sua direzione, simile al pozzo che
 custodisce l'acqua. Curtius si sentiva bruciare. Aveva finito
i liquidi ma non osava suonare il campanello poiché temeva
che l'infermiera, una volta giunta nella stanza avrebbe chiuso
immancabilmente la piccola porticina e gli avrebbe negato
la visione della sua personale salvezza: il volto della ragazzina
che faceva capolino, ora con un grande sorriso stampato sulle
labbra enfiate. Il ragazzo avrebbe voluto parlare ma la voce
non gli perveniva: gli saliva fino in gola ma lì si annichiliva e
 si disperdeva dandogli solo un grande raspare e la sensazione
di fastidiosa impotenza. Tentò più volte finché, alla fine, si
rassegnò e rimase, muto, a osservarla mentre i dolori forti
alle gambe gli davano tregua e andavano in libera uscita.
Per un attimo, mentre scendeva la sera, gli sembrò che
potessero essere fratello e sorella o due teneri amanti, separati
da qualche disavventura nella vita, e iniziò a fantasticare non
togliendo per un attimo lo sguardo dalla ragazza. Il crepuscolo
calava con dolcezza e iniziava a stingere i contorni. Ma anche
se non la vedeva più chiaramente, sapeva che la fanciulla era
 sempre lì, con gli occhioni spalancati e il sorriso gigantesco,
e questo gli offriva lenimento alla pena. Dimenticava di essere
un mezzo uomo.







(continua)












 
 
 

Il rumore dei passi. Ventinovesimo estratto.

Post n°232 pubblicato il 08 Agosto 2016 da street.hassle








"Via, non facciamola troppo tragica. quelle due donne sono solo spaventate."
"Fino al punto da lasciarmi sommergere dalla marea ed essere trascinato
al largo dai flutti?" "Si metta nei loro panni, capitano. Forse hanno compiuto
qualcosa, forse anche involontariamente, e ora uno spirito viene a presentare
loro il conto sotto la forma di un ufficiale inglese invasato. Non sarebbe
spiacevole anche per lei?" "Io sono la vittima. Non ho chiesto Io di essere
trascinato in questo verminaio." E spinse con rabbia la sedia che stava a
fianco del letto. Cadde anche il libro di David Fitzroy, lasciando affiorare
una vecchia cartolina con una veduta naturale tipicamente britannica.
Sesil l'afferrò girandolo e lesse il posto della località: Glenridding nel Lake
District. Sopra vi erano scarabocchiati dei saluti e due firme indecifrabili.
La porse a Leslie: "è di David?" Il capitano le diede un'occhiata distratta
e annuì mormorando di non sapere quale fosse l'altra firma. "Magari era
la sua ragazza?" "David non aveva ragazze, ed era vittime di stupidi scherzi
anche per questo. Probabile che fosse sua madre. O una zia." "Poteva
essere un suo amico, allora. Magari era lei, con una firma contraffatta."
Il ragazzo esplose in una risata ma si ricompose rapidamente: "Mi spiace.
non volevo essere irriverente. Ma...Con il fatto che non avesse amici,
intende quello che sto intendendo Io?" Atwater fece un cenno con il capo
e si fece mesto: "Ne soffriva parecchio. Non accettava la sua inclinazione,
la viveva come un morbo da sradicare. Sapessi quanti psicanalisti ha
visitato." Il giovane marinaio si forbì la bocca prima di parlare: "Un uomo
così non è un uomo senza amici, è solo un uomo infelice." Il volto del
capitano si fece cupo: "L'esercito non è pronto ad accettare quel genere
di situazioni, come non lo è il mondo, come, forse, non lo ero Io, per
quanto lo apprezzassi e lo difendessi con tutto il mio cuore." "Ma ne era
anche imbarazzato, vero?" "Sapevo quanto potesse costarmi in fatto di
carriera l'essere oggetto di chiacchiere insulse, ma, per quello che ho
potuto non l'ho mai abbandonato." "Ha mai girato la faccia dall'altra parte?"
Leslie ebbe un moto di rabbia: "Non sei il mio confessore! E Io posso
avere sbagliato ma, fino all'ultimo, sono stato il suo confidente più
stretto, il suo compagno più deciso, e il continuatore della sua eredità
spirituale." Detto questo Atwater diede un'occhiata all'imponente volume
e cominciò a sfogliarlo: "C'è una sezione dedicata ai Canti, e una,
altrettanto imponente fatta di piccole prose, bozzetti impressionistici con
i quali descrive le sensazioni di viaggi, certi incontri, il finale è un lungo
poema in stile Miltoniano."  Il ragazzo si sedette a fianco del capitano
sul letto e seguì le sue mani mentre vagolavano tra le pagine. "C'è
tutta una vita lì dentro. Qualcosa che nemmeno la sua esistenza reale può
avere mai rivelato."








(Continua)








 
 
 

Il rumore dei passi. Ventottesimo estratto.

Post n°231 pubblicato il 02 Agosto 2016 da street.hassle





Sesil comprese solo mozziconi di parole. Il discorso non era fluido
ed evidentemente compromesso dallo stato fisico dell'ufficiale che
virava sul delirante con brio. Comunque si parlava sempre di un naso,
di pietre, di un morto e di pioggia. E il ragazzo cominciava a mettere
insieme i pezzi del rompicapo e la sua testa lavorava incessantemente.
Quando, finalmente, arrivò alla casa delle sorelle non trovò nessuno.
Guardò sotto al tappeto e rinvenne la chiave d'ingresso insieme a un
bigliettino scritto velocemente: "Siamo andate in città a fare compere."
Il ragazzo imprecò ad alta voce ma riuscì ad aprire la porta dopo avere
appoggiato Atwater. Quindi lo risollevò e lo condusse fino alla sua stanza
al primo piano, dove lo spogliò e lo mise a letto. Sorprendentemente il
capitano non dava più segni di squilibrio e anche il gelo che lo attanagliava
si era attenuato. Sesil si rese conto di stare peggio del suo compagno di
cammino. Andò in bagno per immergersi nell'acqua bollente e ritrovare un
equilibrio di temperatura e, quando ne uscì, realizzò di stare meglio e, con
indosso l'accappatoio di una delle due sorelle tornò dal malato che lo
stava aspettando ad occhi spalancati. "Che succede? Ricordo solo che
ero su una spiaggia sferzata dal vento con le mani e le ginocchia che
sprofondavano. Poi sei arrivato tu." "Isveig. Ti ha accompagnato in una
escursione lungo l'oceano e poi ti ha abbandonato. Deve essere successo
qualcosa." "Ho...parlato?" Sesil sorrise: "Solo qualche frase sconclusionata,
difficile da decifrare. In islandese perfetto, però." "Adesso sto bene. Dove
sono le donne?" "Beh, sono andate in città a fare compere." "Intendi dire
che mi hanno abbandonato al mio destino?" Il ragazzo si sedette e prese in
mano il libro di David Fitzroy. "Sono in una situazione difficile. Penso che
anche per loro il cerchio si stia stringendo e stanno facendo di tutto per
salvarsi la pellaccia." "Anche ammazzarmi?" "Ammazzarti? Sarebbe stato
un incidente frutto solo della tua testardaggine. La marea che cresce in
fretta per un inesperto e ti travolge tra i flutti." "Sono ancora al sicuro qui
dentro? Stanotte Eyleif mi si è infilata nel letto." "Davvero? Allora la cosa
sta diventando estremamente seria. Quelle due donne stanno cercando
in ogni modo di esorcizzarti e di cacciare Baltasar o chi per lui dal tuo
corpo e dal tuo spirito. Devono avere fatto una scorpacciata dei libri della
vecchia madre." "Ma un revenant non è un testimone" Sbottò Leslie
"Nessuna legge presterà mai ascolti ai deliri di un...pazzo schizofrenico.
Perché è così che sarò classificato." E il militare si gettò indietro, con la
testa nel cuscino e minuscole lacrime che si affollavano intorno ai suoi occhi.






(Continua)








 
 
 

Il rumore dei passi. Ventisettesimo estratto.

Post n°230 pubblicato il 29 Luglio 2016 da street.hassle




Sesil Gunnarsson era piombato nella casa delle donne proprio mentre
Isveig stava tornando dalla passeggiata e dall'abbandono di Atwater.
Lui sollevò il cappellino militare in cenno di saluto e chiese se poteva
entrare un attimo a fare due chiacchiere. La donna aveva il viso
stravolto, la bocca serrata e le labbra livide. Gli occhi neri erano
spalancati e le ciglia non sbattevano. Il ragazzo si accorse subito che
qualcosa non andava: "è andata a fare una passeggiata?" Disse, con
un accento di preoccupazione. "Sì, sono appena tornata. Il tempo non
promette bene. C'è aria di tempesta e verrà l'alta marea." Poi entrò in
casa senza fargli cenno di seguirla. "Un momento" Fece Sesil " Posso
parlare con il capitano. In questo momento sta bene? è in grado di
capirmi?" Isveig si girò con tutta la possanza della maturità e un sorriso
ben visibile a mezza bocca: "Nella stanza non lo troverà. Ha insistito
per fare una passeggiata stamane e Io l'ho accompagnato fino al naso
di Birkir. "Poi" E qui si arrestò un attimo come colta da un fremito "Ha
insistito per restare da solo. Doveva riflettere su alcune cose, mi ha detto."
Il ragazzo comprese al volo il significato recondito delle parole della
donna e abbandonò di corsa l'ingresso alla casa per dirigersi verso il
bagnasciuga con passo rapido. Giunto sulla spiaggia iniziò a correre,
ansimando pesantemente. Il naso di Birkir non era lontano: poteva
decifrarlo in mezzo alla nebbia ma la sabbia e l'acqua alta iniziavano
a ostacolargli l'avanzata. Gli ci volle parecchio per arrivare a una trentina
di metri dal promontorio e notare una figura appoggiata per terra con i
gomiti e le ginocchia. Avvicinandosi ulteriormente si rese conto che si
trattava esattamente di Leslie, parzialmente sommerso dall'alta marea.
Gli arrivò a fianco e lo sollevò. Era cianotico e pallido, e respirava con
fatica. Gli passò il braccio intorno alle spalle, sollevandolo, e prese a
incamminarsi verso l'abitazione delle sorelle. "Mi riconosce, capitano?"
Urlò mentre la pioggia e la nebbia si infittivano. Il freddo cominciava
a mangiare i corpi. Grazie al cielo il corpo dell'ufficiale era leggerissimo
e non intralciava gli spostamenti di Sesil. Entrambi battevano i denti
quando furono giunti a metà del loro cammino di rientro. Tutto sommato
Atwater sembrava reagire bene e non fare opposizione passiva. Solo,
di tanto in tanto, borbottava qualcosa di inintelligibile che fece, ben
presto, venire ulteriori brividi al giovane accompagnatore. L'uomo
che lui stava trasportando era tornato a parlare in islandese stretto.






(Continua)







 
 
 

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