Creato da carpediem56maestral0 il 23/09/2006

come le nuvole

le guardi e credi di poter parlare di loro, di aver catturato la loro essenza ed ecco che sono altro e ancora altro e non le puoi incasellare, descrivere e neppure toccare...

 

 

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Post N° 374

Post n°374 pubblicato il 29 Agosto 2008 da carpediem56maestral0
 

   Una fetta di anguria ghiacciata

Questo racconto “non” partecipa all’iniziativa della stimolante Elliy, anche se…

 

L’odore, già lo sentiva che non aveva ancora girato la curva. 

Subito dopo ne riconobbe anche l’inconfondibile colore azzurro, spennellato per tutto l’orizzonte visibile: erano giunti al mare.

I bambini, seduti sul sedile posteriore dalla vecchia Renault, non stavano nella pelle e sua moglie Adriana, sorrideva senza un perchè, guardando dal finestrino le dune sabbiose che costeggiavano la stradina sterrata, trovata non senza difficoltà, dopo qualche chilometro, abbandonata la provinciale.

Luigi sentiva come il suo stesso respiro prendesse cadenze diverse, meno sincopate e più profonde.

I giorni precedenti quella brevissima vacanza, strappata a forza ad impegni importanti e a scadenze improrogabili (ma non erano tutti così gli impegni e le scadenze?), erano stati particolarmente faticosi per ognuno di loro. 

C’erano stati problemi sul lavoro, ansie legate alla salute malferma degli anziani genitori ma, soprattutto, c’erano state le difficoltà scolastiche causate dal comportamento irrequieto del loro secondogenito, Lorenzo.

A differenza di Martina, la saggia primogenita e di Sara, disciplinatissima ultima nata, l’infanzia di Lorenzo si era caratterizzata da subito per il suo moto perpetuo che rendeva difficile  averci a che fare e quasi impossibile indurlo alla concentrazione per più di qualche secondo. Era stato indispensabile effettuare una revisione approfondita di alcuni dei loro metodi educativi e avevano dovuto imparare come meglio approcciarsi al bambino, sotto lo sguardo, estraneo seppur competente, di una giovane psicologa.

Non era stato piacevole. Né facile. Nè indolore.

Adesso però Luigi sentiva che tutto veniva come spazzato via, da quel vento di levante che soffiava forte e ristoratore.

Fermata la macchina sotto l’ombra di un grande pino, i tre bambini scesero veloci e vocianti, riversandosi come una orda barbarica sul quel tratto di spiaggia deserta e, fino al loro arrivo, silenziosa.

Luigi montò tra le dune con abilità, la piccola canadese arancione, mentre Adriana piantava l’ombrellone, stendeva gli asciugamani e si cospargeva di abbronzante.  Poi, dopo spruzzi e nuotate, sospirato, giunse il momento di smettere ogni attività e godersi l’immobilità più totale sotto un caldo ed amichevole sole giallo.

Un frugale pranzo a base di panini e tutti assieme si ritrovarono a collaborare, schiacciando a turno col piede il soffietto, per gonfiare il piccolo canotto. Sara lo avrebbe utilizzato più tardi  per seguirli senza stancarsi troppo quando, sotto i raggi mitigati di un sole al tramonto, avrebbero iniziato, immersi a metà coscia nel mare, la caccia alle patelle e ai piccoli granchi nascosti tra le rocce che delimitavano, chiudendola sulla destra, la lunga spiaggia. 

Tuttavia, appena fu gonfio, dentro al canottino fu Luigi che vi si distese, lasciandosi cullare pigramente, in quel meriggio perfetto, dalle piccole onde che si frangevano mormorando sul bagnasciuga.

Ad occhi chiusi ascoltò per un po’ il chiacchiericcio dei bambini, i loro gridolini di stupore ad ogni conchiglia o sassolino colorato e speciale che trovavano.  Poi fu il silenzio di un sonno ristoratore, ripieno di sogni colorati.

Sognò sua madre, costume intero blu, che sotto l’ombrellone lo chiamava a gran voce e assaporò la pasta al sugo, fredda e densa, che lo aspettava dentro una gavetta di metallo come quella dei muratori. Vide anche loro, cappello di giornale in testa, che mangiavano il pranzo portato da casa, seduti all’ombra di una impalcatura e poi suo padre, severo, che  lo rimproverava perché si era arrampicato troppo in alto su quel palazzo in costruzione. Luigi in effetti si accorse che stava camminando, in costume e ciabatte, su di una lunga trave che oscillava, in bilico sul nulla. Poi, mentre sorridendo si girava a rassicurare il padre che ce l’avrebbe fatta, mise un piede in fallo e volò a testa in giù, avvertendo alla bocca dello stomaco, la piacevole vertigine che dà il vuoto.

Il contatto del suo piede destro con l’acqua fredda del mare lo svegliò di colpo.

Si guardò intorno frastornato e intontito e si accorse di essere circondato, per ogni dove, dall’azzurro del mare.

Il silenzio rumoroso della natura lo ipnotizzò per qualche istante tenendolo in bilico tra il sonno e la veglia ad ascoltare lo sciabordio delle onde sul canottino e il sibilo del vento che, leggero, sfiorava la superficie dell’acqua.

Ma dove diavolo era? Dove erano i bambini? E che fine aveva fatto la spiaggia?

Si rese conto di aver dormito e concluse di essersi spinto, senza che nessuno se ne accorgesse, piuttosto al largo. Per quanto si girasse non vedeva altro che mare.  Mare in ogni direzione e fù colto da una sottile inquietudine non sapendo da che parte remare, con le braccia, per tornare subito a riva.

Si erano accorti che lui mancava? Sicuramente si. 

Ma poi gli sovvenne di aver visto Adriana entrare nella tenda per schiacciare un pisolino, intollerante com’era alla luce del sole, e i bambini li ricordava, piccoli puntini sempre più lontani, mentre si incamminavano sulla spiaggia, diretti verso esplorazioni fantastiche.

Che poteva fare? Il canotto era privo di remi e non aveva nulla con se. Né un telefonino, né un cappellino per ripararsi dal sole, né un goccio d’acqua. E, adesso che ci pensava, aveva proprio la bocca riarsa. 

Bè, si disse facendosi coraggio, prima o poi si sarebbero accorti che lui non c’era più e allora…

Però, pensò, la spiaggia è piuttosto isolata e quasi deserta e Adriana avrebbe dunque dovuto prendere la macchina per andare a cercare aiuto. Si sforzò di ricordare a che distanza fosse il piccolo paesino di pescatori che avevano attraversato lungo il viaggio. La cosa migliore era che Adriana chiamasse subito la Guardia Costiera. Sperò che questa fosse la decisione della moglie, che non si attardasse a chiedere aiuto a impotenti bagnanti.

Scrutò il cielo azzurrissimo e già gli parve di udire in lontananza il rumore ritmico delle pale dell’elicottero che si era alzato in volo alla sua ricerca, così come immaginò la lunga scia bianca della motovedetta che perlustrava il mare.

Chissà di quanto si era allontanato. Comunque, si rassicurò, non era poi così difficile trovarlo. E che diamine, mica era un Oceano quello, era solo il Mediterraneo, un mare relativamente piccolo e circondato da terre emerse.

Poteva finire addirittura, portato dalle correnti, sulle rive della Sardegna o, perché no, anche in Spagna. Sulla Costa del Sol. Certo, lì ci sarebbe arrivato un po’ disidratato, forse anche leggermente ricoperto da ustioni di primo grado. Rise da solo al pensiero.

Passò del tempo, quanto non avrebbe saputo dire, ma a lui sembrò tanto, anche perché cominciò a notare un lieve, inquietante cambiamento nella luce. Si andava come smorzando.

Cavoli, che fosse già pomeriggio inoltrato?

Aveva cambiato posizione un paio di volte, raggomitolandosi all’interno del piccolissimo canotto e, dopo aver patito il caldo adesso, che si era alzato un vento più potente e il sole sembrava indifferente, cominciò a sentire freddo.

Le onde, rilevò con disappunto, si andavano ingrossando e lo sbatacchiamento non aveva requie.

Si rifiutò di avere paura e cercò di tornare alla lieta immagine mentale della motovedetta che da lì a poco lo avrebbe avvistato e dei marinai che si sporgevano a guardarlo, sorridendogli per la lieta conclusione della sua avventura.

Poi, quasi improvvisa, scese la sera.

Luigi, adesso, oltre ad essere anchilosato per la posizione, aveva sempre più fame e le sue labbra asciutte e screpolate, tremavano per il freddo. Realizzò come fosse sotto ricatto delle mille ed una necessità del suo corpo animale. Finiva di prestare attenzione ad un bisogno, che già qualche altra richiesta dolorosa, emergeva impellente.

Aveva sete, era intirizzito ed estenuato dallo sforzo, prolungato e vano, di non venire in contatto con l’acqua fredda del mare. Le onde infatti, oramai con sempre maggiore frequenza man mano che il mare ingrossava, entravano prepotenti dentro il canotto e cambiavano quel po’ di acqua che era riuscito a  riscaldare col tepore del suo corpo e con la sua stessa pipì.

Ma che faceva Adriana? Poteva essere mai che ancora non avesse dato l’allarme? Com’era che non lo trovavano?

Quando vide apparire le prime stelle di una notte senza luna, gli venne da piangere.

Si sentiva debole e non riusciva quasi più a rintuzzare, col buon senso e l’ottimismo che gli erano connaturali, le mille paure che, senza più argini, gli si riversavano addosso.

C’erano squali? Il tempo sarebbe mutato al peggio? Il canottino, unico suo baluardo contro la morte, si sarebbe pian piano sgonfiato?

Era quasi in preda al terrore quando, di colpo, come i bambini che hanno raggiunto la saturazione delle emozioni, si addormentò stringendosi le gambe al petto.

Il suo incubo peggiore lo aspettò paziente per le poche ore in cui riuscì a dormire dimentico di sé e della situazione in cui si trovava. L’incubo attese, calmo, che riaprisse gli occhi.

Fu allora che, nella luce livida dell’alba di un nuovo giorno, mentre uccelli sconosciuti e altissimi lo sorvolavano, i suoi occhi gli comunicarono la ferale notizia: era ancora circondato dal mare, solo dal mare, nient’altro che dal mare. Era passato quasi un giorno e non lo avevano trovato.

Piombò, allora, in una depressione terribile cui subentrò, di lì a pochi istanti, una altrettanto estrema, folle e immotivata gioia, che lo fece alzare, mettendosi in ginocchio sul capottino rischiando di farlo ribaltare.

Si mise a remare vorticosamente con le braccia, emettendo urla incoerenti e muovendosi veloce tra gli spruzzi bianchi.

Ecco che appariva, per poi sparire coperta dalle onde e quindi riemergere ancora, qualcosa di familiare, qualcosa di finalmente colorato in quella monotona, immensa, minacciosa distesa azzurra.

Non era poi così sfortunato. Non tutto era perduto.

A pochi metri da lui si andava avvicinando, seppur lenta, galleggiando e beccheggiando sul mare increspato, la buccia verde di una grossa fetta di anguria alla deriva.

Luigi notò, con un moto di autentica felicità, come avesse ancora attaccata, almeno due dita di ottima polpa rossa.

                   

….anche se non avrei mai immaginato le notevoli potenzialità evocative possedute da una semplice fetta di melone ghiacciato!…

 
 
 
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